Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7110 del 14/12/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7110 Anno 2016
Presidente: SABEONE GERARDO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
EMILI PAOLO N. IL 21/05/1955
avverso la sentenza n. 2749/2014 CORTE APPELLO di ROMA, del
12/11/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/12/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 14/12/2015

- Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione,
dr.ssa Felicetta Marinelli, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
– Udito, per l’imputato, l’avv. Luca Perone in sostituzione dell’avv. Mario
Matticoli, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

emessa dal locale Tribunale, che aveva condannato – per diffamazione – Emili
Paolo per aver distribuito un volantino in cui si accusava – falsamente – il sindaco
di Caste! Gandolfo di aver stampato, con soldi pubblici, un “libretto” in cui era
illustrato il bilancio relativo al suo mandato elettorale (anni 2002-2007).
I giudici sottolineano che l’Emili non ha profuso nessuno sforzo per accertare la
verità di quanto denunciato e che l’utilizzo di soldi privati (e non pubblici) era
reso evidente dall’indicazione – sul retro del volantino – dello sponsor e dalle
modalità di presentazione dell’opuscolo (nel corso di una manifestazione politica
organizzata prima della distribuzione della pubblicazione).

2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato
per violazione di legge e vizio di motivazione. Deduce che il tenore interrogativo
dell’espressione, da lui utilizzata, depone per l’inidoneità della stessa a provocare
la lesione del bene giuridico protetto, anche in ragione del fatto che “la
pubblicazione del libello di fine mandato utilizzando i soldi dell’Amministrazione è
consentito dalla normativa in vigore”. Inoltre, l’utilizzo – sul volantino – dello
stemma del Comune depone per l’insussistenza dell’elemento soggettivo del
reato, perché idoneo a trarre in inganno sulla provenienza del libello e dei soldi
necessari a stamparlo e diffonderlo. Tale condotta, conclude, integra una vera e
propria “provocazione” e l’ira che lo ha invaso discende “dall’essere cittadino del
Comune di Castel Gandolfo e dall’essere stato indotto a pensare che, forse, il
primo cittadino avesse utilizzato i soldi dei cittadini e, conseguentemente, anche
quelli versati dall’imputato con il pagamento delle tasse e imposte comunali”.
Eccepisce, infine, la prescrizione del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile, perché rappresenta la pedissequa riproduzione
dell’appello e non tiene in alcuna considerazione la specifica motivazione della
sentenza impugnata, la quale ha rimarcato – sulla scorta di una consolidata
giurisprudenza di legittimità – che nessuna critica può prescindere dalla verità
2

1. La corte d’appello di Roma ha, con la sentenza impugnata, confermato quella

della notizia propalata e che è obbligo di chi la diffonde svolgere, sul punto, ogni
opportuno accertamento, onde evitare che la critica, in sé legittima, si trasformi
in strumento di disinformazione e di aggressione alla sfera morale del criticato.
Nella specie, invece, è stato sottolineato, l’imputato aveva a disposizione molti
strumenti per accertare donde provenissero i soldi di stampa dell’opuscolo e che
era persino messo sull’avviso dall’indicazione, sul retro della copertina, dello
sponsor; e tuttavia non fece nulla per evitare di innestare la sua critica su un
dato falso.

interrogativa, usata nel volantino, sia priva di carica lesiva, giacché – come è
stato messo in evidenza in sentenza – si trattava di interrogativo retorico, che
presupponeva la verità di quanto affermato e non lasciava margini per ipotizzare
una diversa realtà (“quanto ci è costato a noi Castellani il libretto che il sindaco
ha fatto distribuire in ogni luogo del paese?”; “ma questi soldi pubblici non
potevano essere utilizzati per stampare un libro per far conoscere…o per
pagaiare i giovani…?).

Tanto, senza considerare che, come correttamente

rilevato in sentenza, anche l’espressione interrogativa può, per la sua ambiguità,
determinare una lesione della reputazione, se è idonea ad instillare il dubbio
sulle qualità o la correttezza della persona a cui si riferisce.
Quanto alla “provocazione”, essa è costruita su contorsioni verbali che
presuppongono, ancora una volta, la verità del fatto, esclusa, invece, in
sentenza. Inoltre, non si tiene conto che non può essere invocata quando, come
nella specie, l’errore derivi dalla volontaria e colpevole inerzia di chi si dolga di
un fatto che ingiusto non è.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ravvisandosi profili di colpa
nella proposizione del ricorso, al versamento di una somma a favore della Cassa
delle ammende che, in ragione dei motivi dedotti, si stima equo determinare in
Euro 1.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14/12/2015

Suggestiva, e lontana dalla realtà, è, invece, l’affermazione che la forma

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