Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7109 del 14/12/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7109 Anno 2016
Presidente: SABEONE GERARDO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DOMINIJANNI GERARDO N. IL 03/02/1963
nei confronti di:
GRECO SALVINO N. IL 15/02/1954
avverso la sentenza n. 5/2014 TRIBUNALE di LOCRI, del 12/11/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/12/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 14/12/2015

- Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione,
dr.ssa Felicetta Marinelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
– Udito, per la parte civile, l’avv. Francesco Gambardella in sostituzione dell’avv.
Riccardo Misaggi, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
– Udito, per l’imputato, l’avv. Raffaela Bava, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

1. Il Tribunale di Locri, quale giudice d’appello avverso i provvedimenti del
Giudice di pace, ha, con la sentenza impugnata, in totale riforma di quella
emessa dal primo giudice, assolto Greco Salvino dal reato di ingiuria a lui ascritto
per insussistenza del fatto ed ha annullato le statuizioni civili.
Greco, avvocato in Soverato, che assisteva alcuni degli eredi di Addino Paolo, è
accusato di avere, in una missiva diretta ad altri avvocati e al dr. Gerardo
Dominijanni, Sostituto Procuratore presso il Tribunale di Catanzaro, offeso
l’onore e il decoro di quest’ultimo con la seguente espressione: “In tutti questi
anni il Dott. Dominijanni non ha fornito la benché minima collaborazione ma si è
limitato soltanto a considerare l’eredità Addino Paolo come un bancomat. E
d’altronde il benefattore Addino ha consentito ai suoi eredi di rinfrescarsi con €
50.000 ciascuno (già 100.000.000 milioni di vecchie lire). Il Dott. Dominijanni
non può arrogarsi il diritto di imporre a chi ha lavorato sodo in tutti questi anni i
suoi diktat e/o desiderata: ciò è per lo stesso fattibile degli Uffici della Procura
della Repubblica di Catanzaro – Sezione Ordinaria – presso i quali presta servizio
quale Sostituto”.
La missiva faceva seguito ad una richiesta del dr. Dominijanni, coerede di Addino
Paolo, di spostare la data dell’atto pubblico di vendita di alcuni immobili facenti
parte dell’asse ereditario (dal 14 aprile 2011 a data compresa tra il 27 aprile e il
15 maggio successivi). A giudizio del Tribunale, la missiva dell’avv. Greco,
seppur irriguardosa per i toni usati, non conteneva alcuna manifestazione di
disprezzo, né era gratuitamente offensiva per il dr. Dominijanni, perché si
inseriva in un contesto polemico in cui anche l’imputato era stato oggetto di
attacchi personali.

2. Ha presentato ricorso per Cassazione nell’interesse della parte civile l’avv.
Riccardo Misaggi per erronea applicazione dell’art. 594 cod. pen. e vizio di
motivazione. Il ricorrente lamenta che il Tribunale abbia, innanzitutto, trascurato
di dare rilievo ad altra corrispondenza intercorsa, in precedenza (nel 20062007), tra le parti – che è dimostrativa dell’acredine dell’imputato verso la
controparte e della tendenza a strumentalizzare, in senso denigratorio ed
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RITENUTO IN FATTO

offensivo, il ruolo della persona offesa – e che abbia, travisando la prova,
attribuito al dr. Dominijanni comportamenti irrispettosi verso l’avv. Greco.
Sottolinea – circostanza pretermessa dal giudicante – che mai il dr. Dominijanni
ha fatto valere – nella vertenza in corso coi coeredi – la sua qualità di Sostituto
Procuratore e che i riferimenti dell’avv. Greco alle funzioni esercitate da
quest’ultimo sono del tutto avulse dal contesto della vertenza, che ha ad oggetto
esclusivo la divisione dell’eredità Addino.
Premesso, poi, che la valenza offensiva di un’espressione va esaminata in

convenzionale in rapporto alla personalità dell’offeso e dell’offensore,
argomenta che, nel contesto sociale della comunicazione, rileva non solo il
significato in sé delle parole, “ma anche il significato dell’azione che con quelle
parole risulti effettivamente compiuta”, talché, ove il messaggio lanciato con le
parole manifesti disprezzo per il destinatario si rientra appieno nella fattispecie
incriminatrice delineata dall’art. 594 cod. pen.. E’ – conclude – quanto avvenuto
nella specie, col denigratorio riferimento alle presunte modalità di esercizio della
professione da parte del dr. Dominijanni; modalità che si riflettono
inevitabilmente sulla considerazione della persona.

3. In data 30/11/2015 l’imputato Salvino Greco ha fatto pervenire memoria
difensiva, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.
1. Non ogni espressione irriguardosa è idonea ad integrare la fattispecie di cui
all’art. 594, ma quella che rivela disprezzo o scarsa considerazione della
persona, perché solo espressioni siffatte sono idonee ad incidere sull’onore,
inteso come complesso delle condizioni da cui dipende il valore sociale della
persona e, sotto il profilo soggettivo, come sentimento del proprio valore. Per
non dare spazio a concezioni esasperatamente personalistiche è consolidata, in
giurisprudenza, l’affermazione – riportata anche in ricorso – che il parametro di
riferimento dell’onore debba avere una sua oggettività e che sia necessario, a tal
fine, fare riferimento ad un criterio di media convenzionale in rapporto alla
personalità dell’offeso e dell’offensore ed al contesto nel quale la frase ingiuriosa
sia stata pronunciata, onde accertare, sulla base di detto criterio, se
l’espressione incriminata esprima realmente una carica dispregiativa (da ultimo,
Cass., n. 19070 del 27/03/2015).
Per questo, e in virtù di tanto, nessun appunto può muoversi alla
sentenza impugnata che, valutando la missiva nell’ambito del contrasto esistente
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relazione al contesto in cui è stata utilizzata e ad un criterio di media

tra le parti con riferimento all’amministrazione e alla vendita di alcuni beni
ereditari, cui il dr. Dominijanni partecipava pro-quota, ha ritenuto che quella
missiva – pur rivelando il fastidio del mittente per i rinvii richiesti dal dr.
Dominijanni nella stipula di un atto di compravendita e pur palesando il
risentimento del mittente per l’atteggiamento ritenuto “non collaborativo” del
destinatario – fosse priva di manifestazioni di disprezzo, ovvero gratuitamente
offensiva dell’onore e del decoro di quest’ultimo. Non contestabile, infatti, è il
rilievo che la missiva stigmatizzava la condotta specificamente tenuta nella

esigenze e del lavoro altrui, oltre che inopportunamente autoritaria – e non
conteneva alcun argumentum ad hominem, diretto a squalificare il destinatario.
Era, inoltre, una missiva che si inseriva perfettamente nella diatriba in corso, con
espressioni – di per sé continenti e afferenti all’oggetto della controversia – che
concretizzavano una critica (legittima) all’operato altrui, seppur espressa in
maniera colorita e con una certa virulenza.
In questo senso la sentenza impugnata applica fedelmente i principi evocati dallo
stesso ricorrente, perché, effettivamente, connotate di disvalore penale sono le
espressioni rivolte a screditare la persona in quanto tale e non quelle che
esprimono, anche vivacemente, dissenso per l’operato altrui, quando si tratta di
operato che interferisce con i diritti e le aspettative di chi critica.

2. Non ha fondamento, poi, l’affermazione – fatta dal ricorrente – che la lettera
esprima disprezzo verso la persona del magistrato, rappresentato come soggetto
che impone diktat o/o desiderata negli uffici della Procura della Repubblica di
Catanzaro. In realtà, tale affermazione è frutto di una lettura distorta della
missiva, giacché diverso è il significato del passo citato dal ricorrente. In essa si
dice che il dr. Dominijanni non può imporre il suo volere “a chi ha lavorato sodo
in tutti questi anni”; ciò può fare – aggiunge l’estensore – “negli Uffici della
Procura della Repubblica di Catanzaro-Sezione Ordinaria, presso i quali presta
servizio come sostituto procuratore”. L’espressione è rivelatrice di acrimonia
verso la funzione esercitata dal dr. Dominijanni (funzione che, per l’imputato,
può essere esercitata in maniera arbitraria), piuttosto che verso la persona del
sostituto. In ogni caso, esprime una possibile modalità di esercizio della
funzione, senza imputarla – concretamente – al dr. Dominijanni.

3. Esclusa una erronea interpretazione ed applicazione della norma sull’onore,
nonché l’erronea interpretazione delle espressioni contenute nella missiva, va
escluso pure che il giudice d’appello abbia trascurato resame di elementi
rilevanti per la valutazione della missiva incriminata. La corrispondenza
intercorsa tra le parti negli anni 2006-2007 – cui ha fatto riferimento il ricorrente
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circostanza dal dr. Dominijanni – ritenuta defatigatoria e poco rispettosa delle

- conferma l’esistenza di un clima “teso” tra le parti, certamente alimentato (se
non altro) dall’avv. Greco (la corrispondenza suddetta, non contestata nella
memoria difensiva del 30/11/2015, rivela indubbiamente la tendenza di
quest’ultimo a leggere la realtà con lente deformata, per i riferimenti inopportuni e mistificanti – alla “scorta” con cui viaggiava il dr. Dominijanni e per
la tendenza a creare sovrapposizioni – in maniera strumentalmente polemica tra l’attività istituzionale di quest’ultimo e le sue condotte private), ma non
aggiunge nulla alla valutazione dei fatti successivamente occorsi, che si collocano

contrasto di valutazioni e di interessi legittimamente espresse (le prime) e
perseguiti (i secondi) da entrambe le parti (la richiesta di Dominijanni di
stipulare il contratto in un’epoca determinata – tra il primo e il trenta aprile – e la
successiva richiesta di spostare la data suddetta, accompagnata da una velata
critica all’indirizzo dell’imputato. Il disappunto di Greco per la “perdita di tempo”
cui era costretto, originata dal comportamento di Dominijanni, e per
l’atteggiamento, ritenuto autoritario, di quest’ultimo). Lo iato temporale tra i fatti
per cui è stata elevata l’imputazione e quelli desumibili dalla corrispondenza del
2006-2007, nonché l’evoluzione dei rapporti tra le parti – dimostrata proprio
dalla corrispondenza incriminata – esclude, pertanto, che la motivazione della
sentenza impugnata risulti viziata dalla pretermissione di elementi rilevanti per la
definizione della re iudicanda.

4. In conclusione, la sentenza impugnata ha fatto buon governo delle regole
della logica ed ha espresso un giudizio fondato sulla obbiettività dei fatti e degli
elementi disponibili; inoltre, ha fatto corretta applicazione dei principi – la gran
parte di elaborazione giurisprudenziale – relativi alla materia trattata. I vizi
lamentati non sussistono, per cui il ricorso va rigettato, con conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14/12/2015

in un contesto temporale di molto successivo e sono stati originati da un

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