Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7085 del 16/10/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 7085 Anno 2016
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GALVANI GIORGIO N. IL 08/02/1932
avverso la sentenza n. 3/2014 TRIBUNALE di LIVORNO, del
14/07/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/10/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 16/10/2015

- Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione,
dr. Luigi Birritteri, che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata.
– Udito, per l’imputato, l’avv. Alfio Paglione in sostituzione dell’avv. Rolando
Rossi, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso

1. Il Tribunale di Livorno, con la sentenza impugnata, ha confermato quella
emessa dal locale Giudice di pace, che aveva ritenuto Galvani Giorgio
responsabile di diffamazione in danno di Martinelli Francesco e lo aveva
condannato a pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni in favore della
persona offesa, costituitasi parte civile.
Il Galvani aveva inviato una lettera alla Milano Ass.ni, presso cui Martinelli avvocato – aveva stipulato una polizza di copertura della responsabilità
professionale, con cui accusava il Martinelli – che lo aveva assistito
professionalmente in una vertenza legale contro la Alga srl – di appropriazione di
una somma di denaro.

2.

Ha presentato ricorso per Cassazione, nell’interesse dell’imputato, l’avv.

Rolando Rossi dolendosi della superficialità e incompletezza della sentenza
d’appello, che non ha dato risposta alle specifiche censure mosse col gravame;
censure che riguardavano la potenzialità offensiva delle espressioni contenute
nella missiva, la comunicazione dello scritto a più persone e la coscienza e
volontà di diffamare il legale.

3. Con “motivi aggiunti” depositati il 29/9/2015 Galvani Giorgio ha eccepito la
intervenuta prescrizione del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato. Va premesso che questa
Corte ha affermato il principio di diritto in base al quale, quando le sentenze di
primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi
di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale
della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico
complessivo corpo argomentativo (Così, tra le altre, Sez. 2, n. 5606
dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez 1, n. 8868 dell’8/8/2000,
Sangiorgi, Rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv.

2

RITENUTO IN FATTO

209145). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorché i giudici di
secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri
omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle
determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a
maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi
nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed
ampiamente chiarite nella decisione di primo grado, in risposta ai quali è
consentita anche la motivazione per relationem (Cfr. la parte motiva della

che tale rinvio non comporti una sottrazione alle puntuali censure prospettate in
sede di impugnazione.
Ciò posto, è di tutta evidenza che i giudici – attraverso le decisioni di
primo e secondo grado – hanno dato esaustiva spiegazione delle ragioni poste a
fondamento della condanna, avendo evidenziato – sulla base delle dichiarazioni
della persona offesa e del teste Avvantaggiato – che la missiva – chiaramente
diffamatoria per i suoi contenuti, posto che in essa si accusava l’avvocato
Martinelli, senza uno straccio di prova, non solo di appropriazione di somme di
denaro, ma anche di patrocinio infedele reiterato per una serie di precisi
comportamenti, di falsificazione di firme, di mancata fatturazione degli importi
ricevuti – inviata alla Milano Ass.ni, fu letta da numerose persone (l’impiegata dei
sinistri, lo stesso Avvantaggiato, altro dipendente dell’agenzia, personale
dell’Ispettorato sinistri), talché nessuna censura può muoversi, sotto detto
profilo, alla sentenza impugnata, che ha ritenuto integrato il requisito della
comunicazione con più persone, necessario per la sussistenza della diffamazione.
Quanto alla capacità lesiva delle espressioni, non è dato comprendere cosa
dovessero aggiungere o spiegare i giudici di secondo grado, posto che, per
comune sentire, la qualifica di ladro, falsario e patrocinatore infedele (ma anche
una sola di esse) svilisce la reputazione del soggetto nell’ambiente sociale e
professionale di appartenenza. “Sentire” che non poteva essere escluso per
Galvani, in quanto non si tratta di selvaggio piombato, per caso o per avventura,
nella società del XXI secolo, giacché l’elemento soggettivo della diffamazione è
dato dalla coscienza e volontà della condotta diffamatoria e non anche dalla
consapevolezza della sua offensività.
Il ricorso è pertanto inammissibile. Consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ravvisandosi
profili di colpa nella proposizione della causa di inammissibilità, di una somma a
favore della Cassa delle ammende, che, tenuto conto delle doglianze sollevate, si
reputa equo quantificare in C 1.000.

P.Q.M.

3

sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116), sempre

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000 a favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 16/10/2015

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