Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 708 del 01/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 708 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MALGIOGLIO FRANCESCO N. IL 13/09/1985
avverso la sentenza n. 184/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
16/03/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 01/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
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Udito, per parte civile, l’Avv

Data Udienza: 01/10/2013

1
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe,
ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale della stessa città in
composizione monocratica, che in data 26 settembre 2011 aveva
dichiarato l’odierno ricorrente colpevole della ricettazione di una somma
imprecisata di denaro provento di furto commesso in danno dei coniugi

prossima al 3 gennaio 2006), condannandolo alla pena ritenuta di
giustizia.
2. Avverso tale provvedimento, ha proposto ricorso per cassazione
l’imputato (con l’ausilio di un difensore iscritto nell’apposito albo
speciale), deducendo il motivo di seguito enunciato nei limiti
strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173,
comma 1, disp. att. c.p.p.:
I – violazione degli artt. 191 c.p.p. nonché 13 e 111 della
Costituzione (lamentando l’utilizzazione di prove acquisite in violazione
di divieti stabiliti dalla legge, perché «tutte le dichiarazioni attribuite
agli imputati che derivano de relato dai testi o dalle persone offese o
dagli indagati in reato connesso sono nulle e non possono essere
utilizzate>>, perché rilasciate da persone terrorizzate, picchiate e
private della libertà personale).
Ha concluso chiedendo la cassazione della sentenza impugnata,
rimettendo eventualmente gli atti ad altra Corte di merito.

3.

All’odierna udienza pubblica, dopo il controllo della regolarità

degli avvisi di rito, la parte presente ha concluso come da epigrafe, e
questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato
mediante lettura in udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel suo complesso, inammissibile.

4

1. E’ necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di
legittimità, delineati dall’art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p., com

MATTIOLI – RABBI (fatto accertato in Limbate in data anteriore e

2
vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, che,
a parere di questo collegio, la predetta novella non ha comportato la
possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un’indagine sul
discorso giustificativo della decisione finalizzata a sovrapporre una
propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo
il giudice della legittimità limitarsi a verificare l’adeguatezza delle
considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sottolineare il

La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali
può, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora
comporti il c.d. travisamento della prova, purché siano indicate in
maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state
travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in
considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna
necessità di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una
monca individuazione od un esame parcellizzato.

1.1. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, poi, deve
risultare di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, dovendo il
sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le
ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal senso, conservano
validità, e meritano di essere tuttora condivise, Cass. pen., Sez. un., n.
24 del 24 novembre 1999, Spina, rv. 214794; Sez. un., n. 12 del 31
maggio 2000 n. 12, Jakani, rv. 216260; Sez. un., n. 47289 del 24
settembre 2003, Petrella, rv. 226074).
A tal riguardo, devono tuttora escludersi la possibilità di <<un’analisi orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti, nonché i motivi di ricorso su di essi imperniati ed a fornire risposte circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi» (Cass. pen., sez . VI, n. 14624 del 20 marzo 2006, Vecchio, rv. 233621; conforme, sez. H 2 suo convincimento. 3 n. 18163 del 22 aprile 2008, Ferdico, rv. 239789), e la possibilità per il giudice di legittimità di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass. pen., sez. VI, n. 27429 del 4 luglio 2006, Lobriglio, rv. 234559; sez. VI, n. 25255 del 14 febbraio 2012, Minervini, rv. 253099). 606, comma 1, lett. e), c.p.p. intenda far valere il vizio di «travisamento della prova» (consistente nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica) deve, inoltre, a pena di inammissibilità (Cass. pen., sez. I, n. 20344 del 18 maggio 2006, Salaj, rv. 234115; sez. VI, n. 45036 del 2 dicembre 2010, Damiano, rv. 249035): (a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la doglianza; (b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza impugnata; (c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento; (d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato. 1.2.1. In proposito, può ritenersi ormai consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, il principio della c.d. “autosufficienza del 3 1.2. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art. 4 ricorso”, inizialmente elaborato dalle Sezioni civili di questa Corte Suprema. Valorizzando dapprima la formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (a norma del quale le sentenze pronunziate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per Cassazione: «(…) 5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile la disposizione stabilisce attualmente, all’esito delle modifiche apportate dall’art. 54 d.l. n. 83 del 2012, convertito in I. n. 134 del 2012, che le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione «(…) 5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti»), ed attualmente la formulazione (introdotta dal D. Lgs. n. 40 del 2006) dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. (a norma del quale il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità: «(…) 6) la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda»), si è osservato che il ricorso per cassazione deve ritenersi ammissibile in generale, in relazione al principio dell’autosufficienza che lo connota, quando da esso, pur mancando l’esposizione dei motivi del gravame che era stato proposto contro la decisione del giudice di primo grado, non risulti impedito di avere adeguata contezza, senza necessità di utilizzare atti diversi dal ricorso, della materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle ragioni che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo esse univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene riferito circa il contenuto della sentenza impugnata, sia dalle critiche che ad essa vengono rivolte (Cass. civ. sez. II, 2 dicembre 2005, n. 26234, rv. 585217; sez. lav., 17 agosto 2012, n. 14561, rv. 623618). Tenuto conto dei principi e delle finalità complessivamente sottesi al giudizio di legittimità, si è ritenuto che «la teoria dell’autosufficienza del ricorso elaborata in sede civile debba essere recepita e applicata anche in sede penale con la conseguenza che, quando la doglianza abbia riguardo a specifici atti processuali, la cui compiuta valutazione s’ 4 di ufficio»; 5 assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti specificamente indicati (ovviamente nei limiti di quanto era stato già dedotto in precedenza), posto che anche in sede penale – in virtù del principio di autosufficienza del ricorso come sopra formulato e richiamato -deve ritenersi precluso a questa Corte l’esame diretto degli atti del processo, a meno che il fumus del ricorso» (Cass. pen., sez. I, 18 marzo – 22 aprile 2008, n. 16706, rv. 240123; sez. I, 22 gennaio – 12 febbraio 2009, n. 6112, rv. 243225; sez. V, 22 gennaio – 26 marzo 2010, n. 11910, rv. 246552, per la quale è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di manifesta illogicità della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze; sez. VI, 8 – 26 luglio 2010, n. 29263, rv. 248192, per la quale il ricorso per cassazione che denuncia il vizio di motivazione deve contenere, a pena di inammissibilità e in forza del principio di autosufficienza, le argomentazioni logiche e giuridiche sottese alle censure rivolte alla valutazione degli elementi probatori, e non può limitarsi a invitare la Corte alla lettura degli atti indicati, il cui esame diretto è alla stessa precluso; sez. II, 20 marzo – 27 giugno 2012, n. 25315, rv. 253073, per la quale in tema di ricorso per cassazione, è onere del ricorrente, che lamenti l’omessa o travisata valutazione dei risultati delle intercettazioni effettuate, indicare l’atto asseritamene affetto dal vizio denunciato, curando che esso sia effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità o anche provvedendo a produrlo in copia nel giudizio di cassazione). 1.3. Il giudice di legittimità ha, ai sensi del novellato art. 606 c.p.p., il compito di accertare (Cass. pen., sez. VI, n. 35964 del 28 settembre 2006, Foschini ed altro, rv. 234622; sez. III, n. 39729 del 18 giugno 2009, Belloccia ed altro, rv. 244623; sez. V, n. 39048 del 25 settembre 5 vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del 6 2007, Casavola ed altri, rv. 238215; sez. II, n. 18163 del 22 aprile 2008, Ferdico, rv. 239789): (a) il contenuto del ricorso (che deve contenere gli elementi sopra individuati); (b) la decisività del materiale probatorio richiamato (che deve essere tale da disarticolare l’intero ragionamento del giudicante o da (c) l’esistenza di una radicale incompatibilità con l’iter motivazionale seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto (non essendo il giudice di legittimità obbligato a prendere visione degli atti processuali anche se specificamente indicati, ove non risulti detto requisito); (d) la sussistenza di una prova omessa o inventata, e del c.d. «travisamento del fatto>>, ma solo qualora la difformità della realtà
storica sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu °cui/ ed assuma anche
carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi
probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio valutativo non è
sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico e,
quindi, anche contraddittorio).

1.4. Anche il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le
argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono
essere disattese per implicito o per aver seguito un differente

iter

motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione
effettuata (per tutte, Cass. pen., sez. VI, n. 1307 del 26 settembre
2002, dep. 14 gennaio 2003, Delvai, rv. 223061).

1.4.1.

In presenza di una doppia conforma affermazione di

responsabilità, va, peraltro, ritenuta l’ammissibilità della motivazione
della sentenza d’appello

per relationem

a quella della decisione

impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo
grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli rae
già 4
esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazio ,

6

determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione);

7
del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza
impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente
riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato
il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici,
non specificamente e criticamente censurate.
In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di
appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato

organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per
giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici
dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli
usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle
determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione,
sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano
una sola entità (Cass. pen., sez. II, n. 1309 del 22 novembre 1993, dep.
4 febbraio 1994, Albergamo ed altri, rv. 197250; sez. III, n. 13926 del
1° dicembre 2011, dep. 12 aprile 2012, Valerio, rv. 252615).

1.5. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione
«oltre ogni ragionevole dubbio», presente nel testo novellato
dell’art. 533 c.p.p. quale parametro cui conformare la valutazione
inerente all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è opportuno
evidenziare che, al di là dell’icastica espressione, mutuata dal diritto
anglosassone, ne costituiscono fondamento il principio costituzionale
della presunzione di innocenza e la cultura della prova e della sua
valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale.
Si è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha
una funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in
precedenza, il «ragionevole dubbio» sulla colpevolezza dell’imputato
ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’art. 530,
comma 2, c.p.p., sicché non si è in presenza di un diverso e più rigoroso
criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente
adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, già in

r.. . 1

precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed
ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla giurisprudenza di

7

(

8
questa Corte Suprema – per tutte, cfr. Cass. pen., Sez. un., n. 30328
del 10 luglio 2002, Franzese, rv. 222139 -, e solo successivamente
recepita nel testo novellato dell’art. 533 c.p.p.), secondo cui la condanna
è possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della
responsabilità dell’imputato (cfr. Cass. pen., sez. IL n. 19575 del 21
aprile 2006, Serino ed altro, rv. 233785; sez. II, n. 16357 del 2 aprile
2008, Crisiglione, rv. 23979; sez. II, n. 7035 del 9 novembre 2012, dep.

1.6. La giurisprudenza di questa Corte Suprema è, inoltre, orientata
nel senso dell’inammissibilità, per difetto di specificità, del ricorso
presentato prospettando vizi di motivazione del provvedimento
impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa
(Cass. pen., sez. VI, n. 32227 del 16 luglio 2010, T., rv. 248037: nella
fattispecie il ricorrente aveva lamentato la “mancanza e/o insufficienza
e/o illogicità della motivazione” in ordine alla sussistenza dei gravi indizi
di colpevolezza e delle esigenze cautelari posti a fondamento di
un’ordinanza applicativa di misura cautelare personale; conforme, sez.
VI, n. 800 del 6 dicembre 2011, dep. 12 gennaio 2012, Bidognetti ed
altri, rv. 251528).
Invero, l’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. stabilisce che i
provvedimenti sono ricorribili per «mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del
provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo
specificamente indicati nei motivi di gravame»; la disposizione, se
letta in combinazione con l’art. 581, comma 1, lett. c), c.p.p. (a norma
del quale è onere del ricorrente «enunciare i motivi del ricorso, con
l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che
sorreggono ogni richiesta») evidenzia che non può ritenersi consentita
l’enunciazione perplessa ed alternativa dei motivi di ricorso, essendo
onere del ricorrente di specificare con precisione se la deduzione di vizio
di motivazione sia riferita alla mancanza, alla contraddittorietà od alla
manifesta illogicità ovvero a una pluralità di tali vizi, che vanno indicati
specificamente in relazione alle varie parti della motivazione censurata ,….-

8

13 febbraio 2013, De Bartolomei ed altro, rv. 254025).

9
Il principio è stato più recentemente accolto anche da questa
sezione, a parere della quale

«È inammissibile, per difetto di

specificità, il ricorso nel quale siano prospettati vizi di motivazione del
provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma
perplessa o alternativa, essendo onere del ricorrente specificare con
precisione se le censure siano riferite alla mancanza, alla
contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a più di uno tra tali

motivazione oggetto di gravame>> (Sez. II, n. 31811 dell’8 maggio
2012, Sardo ed altro, rv. 254329).
Per tali ragioni la censura alternativa ed indifferenziata di mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risulta priva
della necessaria specificità, il che rende il ricorso inammissibile.

1.7. Infine, secondo altro consolidato orientamento di questa Corte
Suprema (per tutte, Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24
aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27
giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), è inammissibile per
difetto di specificità il ricorso che riproponga pedissequamente le
censure dedotte come motivi di appello (al più con l’aggiunta di frasi
incidentali contenenti contestazioni, meramente assertive ed
apodittiche, della correttezza della sentenza impugnata) senza prendere
in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in virtù delle quali i
motivi di appello non siano stati accolti.

1.8. Alla luce di queste necessarie premesse va esaminato l’odierno
ricorso.

2. Come premesso, il ricorso è, nel suo complesso, inammissibile.

2.1. Le doglianze del ricorrente hanno, infatti, costituito oggetto di
appello, e sono state puntualmente ritenute manifestamente infondate
dalla Corte di appello, con argomentazioni dalle quali il ricorrente

9

vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle parti della

10
prescinde del tutto, limitandosi ad una pedissequa reiterazione delle
proprie doglianze, essenzialmente fondata su rilievi in fatto, richiamando
segmenti di plurime dichiarazioni acquisite nel corso del dibattimento,
ma senza documentare, nei modi di rito (cfr. § 2. s. di queste
Considerazioni in diritto), travisamenti suscettibili di inficiare
decisivamente la “tenuta” dell’impugnata motivazione.

critica di merito all’apprezzamento delle acquisite risultanze
(dettagliatamente riepilogate dalla Corte di appello a f. 1 ss. e
successivamente valutate a f. 16 ss. della sentenza impugnata) sulle
quali è stata fondata l’affermazione di penale responsabilità
dell’imputato.
Su tutti i profili di rilievo, le motivazioni della Corte territoriale
appaiono, peraltro, esaustive, giuridicamente corrette ed indenni da vizi
logici rilevabili in questa sede.

2.2.1. In particolare, la Corte di appello ha ampiamente illustrato le
ragioni poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità,
valorizzando (f. 16 ss.):
– il dato certo ed incontestato della sottrazione di denaro alla
famiglia MATTIOLI-RABBI;

la (motivatamente) ritenuta coerenza ed attendibilità della

testimonianza della persona offesa che, quanto alla riunione del 3
gennaio, trova riscontro nelle dichiarazioni di tutte le altre persone che
vi erano intervenute: la Corte di appello ha precisato che il notevole
clima di tensione, dovuto a quello che si stava scoprendo (ovvero la
continua sottrazione di denaro ai MATTIOLI – RABBI da parte del
nipote dei custodi che da sempre avevano abitato con i derubati),
«non può bastare per rendere inattendibile tutto ciò che in quella
riunione è emerso».
Quanto al reato di ricettazione contestato all’odierno imputato, è
stato lo stesso MALGIOGLIO ad ammettere di avere ricevuto somme di
denaro e a regali vari da DENIS (MANCIN): d’altro canto, il
MALGIOGLIO era stato chiamato in causa, come beneficiario in parte

10

2.2. Le doglianze del ricorrente si risolvono, a ben vedere, in una

11
elargizioni di parte della refurtiva dall’altro amico BONCORDO e dallo
stesso DENIS MANCIN, ed aveva ammesso – sempre nella riunione del
3 gennaio – di aver ricevuto parecchio denaro dall’amico DENIS e di
averlo consegnato alla madre per l’acquisto di un appartamento e di
una autovettura.
Ed, in conclusione, la Corte di appello, dopo avere ritenuto accertata
la circostanza della disponibilità, da parte dell’odierno imputato, di

famiglia MATTIOLI – RABBI, ha osservato (f. 18), quanto alla
consapevolezza della sua provenienza illecita, che «il MALGIOGLIO
ha ammesso di aver ricevuto dall’amico DENIS almeno 10.000 euro e
che aveva visto insieme all’amico DENIS e su suo invito che nel calcio
balilla della famiglia MATTIOLI – RABBI erano nascoste quattro buste
della spesa piene di soldi. In questa affermazione c’è tutta la
consapevolezza della provenienza illecita del denaro ricevuto dall’amico
DENIS».
Inoltre, dalle dichiarazioni di DENIS MANCIN (imputato di reato
connesso), pienamente conformi alle predette, «è emerso che il
giovane ha ammesso di aver parlato con gli amici FRANCESCO
MALGIOGLIO e DARIO BONCORDO che avevano reagito male quando
lui aveva fatto il loro nome coinvolgendoli nell’illecita destinazione del
denaro sottratto alla famiglia MATTIOLI – RABBI».

Le statuizioni accessorie.
3. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai
sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali, nonché – apparendo evidente che egli ha proposto il
ricorso determinando le cause di inammissibilità per colpa (Corte cost.,
13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto della rilevante entità di detta
colpa – al versamento della somma di Euro mille in favore della Cassa
delle Ammende, a titolo di sanzione pecuniaria.

11

denaro provento del furto perpetrato da DENIS MANCIN ai danni della

12
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille alla
Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, udienza pubblica 1° ottobre 2013.

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