Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 707 del 01/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 707 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LO VECCHIO ANGELO N. IL 11/11/1957
avverso la sentenza n. 1465/2011 CORTE APPELLO di LECCE, del
22/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 01/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per d

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Data Udienza: 01/10/2013

I
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Lecce, con la sentenza indicata in epigrafe,
ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Brindisi in
composizione collegiale, che in data 28 febbraio 2011 aveva dichiarato
l’odierno ricorrente colpevole del riciclaggio di una autovettura (fatti
commessi in Fasano, fino al 10 marzo 2003), condannandolo alla pena

reati di cui ai capi A) e C).
2. Avverso tale provvedimento, l’imputato (con l’ausilio di un
difensore iscritto nell’apposito albo speciale) ha proposto ricorso per
cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173,
comma 1, disp. att. c.p.p.:
I – erronea applicazione dell’art. 129 c.p.p. ed illogicità manifesta
della motivazione (lamentando la mancata assoluzione dal reato di cui al
capo A);

Il – travisamento dei fatti, contraddittorietà ed illogicità della prova,
mancanza di prova decisiva (lamentando, sempre in relazione al reato di
cui al capo A), vizio di motivazione);
III – quanto al reato di riciclaggio, motivazione contraddittoria e
travisamento dei fatti (lamentando l’inadeguatezza della motivazione
posta a fondamento dell’affermazione di responsabilità);
IV – quanto alla declaratoria di prescrizione della truffa contestata
come commessa in danno della p.o. X., motivazione apparente e
contraddittoria e travisamento dei fatti;
V – mancata derubricazione del reato di riciclaggio nei reati di
ricettazione od incauto acquisto di cose di provenienza sospetta (da
dichiarare a loro volta estinti per prescrizione);
VI – erronea applicazione degli artt. 597, comma 5, c.p.p., 133 c.p.
ed 1 I. n. 125 del 2008 (lamentando la mancata concessione delle
circostanze attenuanti generiche).

3.

All’odierna udienza pubblica, dopo il controllo della regolarità

degli avvisi di rito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, e

ritenuta di giustizia, e dichiarando estinti per prescrizione gli ulteriori

2
questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato
mediante lettura in udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato e va, pertanto, rigettato.

1. E’ necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di

vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, che,
a parere di questo collegio, la predetta novella non ha comportato la
possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un’indagine sul
discorso giustificativo della decisione finalizzata a sovrapporre una
propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo
il giudice della legittimità limitarsi a verificare l’adeguatezza delle
considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sottolineare il
suo convincimento.
La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali
può, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora
comporti il c.d. travisamento della prova, purché siano indicate in
maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state
travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in
considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna
necessità di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una
monca individuazione od un esame parcellizzato.

1.1. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, poi, deve
risultare di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, dovendo il
sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le
ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal senso, conservano
validità, e meritano di essere tuttora condivise, Cass. pen., Sez. un., n

2

legittimità, delineati dall’art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p., come

3
24 del 24 novembre 1999, Spina, rv. 214794; Sez. un., n. 12 del 31
maggio 2000 n. 12, Jakani, rv. 216260; Sez. un., n. 47289 del 24
settembre 2003, Petrella, rv. 226074).
A tal riguardo, devono tuttora escludersi la possibilità di <<un’analisi orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti, nonché i motivi di ricorso su di essi imperniati ed a fornire risposte circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi>> (Cass. pen., sez.

n. 18163 del 22 aprile 2008, Ferdico, rv. 239789), e la possibilità per il
giudice di legittimità di una rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass. pen., sez. VI, n.
27429 del 4 luglio 2006, Lobriglio, rv. 234559; sez. VI, n. 25255 del 14
febbraio 2012, Minervini, rv. 253099).
1.2. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art.
606, comma 1, lett. e), c.p.p. intenda far valere il vizio di
«travisamento della prova» (consistente nell’utilizzazione di
un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una
prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od
omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato
motivazionale sottoposto a critica) deve, inoltre, a pena di
inammissibilità (Cass. pen., sez. I, n. 20344 del 18 maggio 2006, Salaj,
rv. 234115; sez. VI, n. 45036 del 2 dicembre 2010, Damiano, rv.
249035):
(a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la
doglianza;
(b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale
atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la
ricostruzione svolta nella sentenza impugnata;
(c)

dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato_

probatorio invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale
_

3

VI, n. 14624 del 20 marzo 2006, Vecchio, rv. 233621; conforme, sez. II,

4
su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti
nel fascicolo del dibattimento;
(d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e
compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della
motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno
dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.
In proposito, può ritenersi ormai consolidato, nella

giurisprudenza di legittimità, il principio della c.d. “autosufficienza del
ricorso”, inizialmente elaborato dalle Sezioni civili di questa Corte
Suprema.
Valorizzando dapprima la formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5,
c.p.c. (a norma del quale le sentenze pronunziate in grado d’appello o in
unico grado possono essere impugnate con ricorso per Cassazione:
«(…) 5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa
un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile
di ufficio»;

la disposizione stabilisce attualmente, all’esito delle

modifiche apportate dall’art. 54 d.l. n. 83 del 2012, convertito in I. n.
134 del 2012, che le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico
grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione «(…) 5)
per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato
oggetto di discussione tra le parti»), ed attualmente la formulazione
(introdotta dal D. Lgs. n. 40 del 2006) dell’art. 366, comma 1, n. 6,
c.p.c. (a norma del quale il ricorso per cassazione deve contenere, a
pena di inammissibilità: «(…) 6) la specifica indicazione degli atti
processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il
ricorso si fonda»), si è osservato che il ricorso per cassazione deve
ritenersi

ammissibile

in

generale,

in

relazione

al

principio

dell’autosufficienza che lo connota, quando da esso, pur mancando
l’esposizione dei motivi del gravame che era stato proposto contro la
decisione del giudice di primo grado, non risulti impedito di avere
adeguata contezza, senza necessità di utilizzare atti diversi dal ricorso,
della materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle ragioni
che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo esse
univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene rifer .

4

1.2.1.

5
circa il contenuto della sentenza impugnata, sia dalle critiche che ad
essa vengono rivolte (Cass. civ. sez. II, 2 dicembre 2005, n. 26234, rv.
585217; sez. lav., 17 agosto 2012, n. 14561, rv. 623618).
Tenuto conto dei principi e delle finalità complessivamente sottesi al
giudizio di legittimità, si è ritenuto che «la teoria dell’autosufficienza
del ricorso elaborata in sede civile debba essere recepita e applicata

riguardo a specifici atti processuali, la cui compiuta valutazione si
assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente
suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione
dell’integrale contenuto degli atti specificamente indicati (ovviamente
nei limiti di quanto era stato già dedotto in precedenza), posto che
anche in sede penale – in virtù del principio di autosufficienza del ricorso
come sopra formulato e richiamato -deve ritenersi precluso a questa
Corte l’esame diretto degli atti del processo, a meno che il fumus del
vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del
ricorso» (Cass. pen., sez. I, 18 marzo – 22 aprile 2008, n. 16706, rv.
240123; sez. I, 22 gennaio – 12 febbraio 2009, n. 6112, rv. 243225;
sez. V, 22 gennaio – 26 marzo 2010, n. 11910, rv. 246552, per la quale
è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di manifesta
illogicità della motivazione e, pur richiamando atti specificamente
indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione e non
ne illustri adeguatamente il contenuto, così da rendere lo stesso
autosufficiente con riferimento alle relative doglianze; sez. VI, 8 – 26
luglio 2010, n. 29263, rv. 248192, per la quale il ricorso per cassazione
che denuncia il vizio di motivazione deve contenere, a pena di
inammissibilità e in forza del principio di autosufficienza, le
argomentazioni logiche e giuridiche sottese alle censure rivolte alla
valutazione degli elementi probatori, e non può limitarsi a invitare la
Corte alla lettura degli atti indicati, il cui esame diretto è alla stessa
precluso; sez. II, 20 marzo – 27 giugno 2012, n. 25315, rv. 253073, per
la quale in tema di ricorso per cassazione, è onere del ricorrente, che
lamenti l’omessa o travisata valutazione dei risultati delle intercettazioni
effettuate, indicare l’atto asseritamene affetto dal vizio denunci

5

anche in sede penale con la conseguenza che, quando la doglianza abbia

6
curando che esso sia effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al
giudice di legittimità o anche provvedendo a produrlo in copia nel
giudizio di cassazione).

1.3. Il giudice di legittimità ha, ai sensi del novellato art. 606 c.p.p.,
il compito di accertare (Cass. pen., sez. VI, n. 35964 del 28 settembre
2006, Foschini ed altro, rv. 234622; sez. III, n. 39729 del 18 giugno

2007, Casavola ed altri, rv. 238215; sez. II, n. 18163 del 22 aprile
2008, Ferdico, rv. 239789):
(a) il contenuto del ricorso (che deve contenere gli elementi sopra
individuati);
(b) la decisività del materiale probatorio richiamato (che deve essere
tale da disarticolare l’intero ragionamento del giudicante o da
determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione);
(c) l’esistenza di una radicale incompatibilità con l’iter motivazionale
seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto (non
essendo il giudice di legittimità obbligato a prendere visione degli atti
processuali anche se specificamente indicati, ove non risulti detto
requisito);
(d)

la sussistenza di una prova omessa o inventata, e del c.d.

«travisamento del fatto», ma solo qualora la difformità della realtà
storica sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu ocull ed assuma anche
carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi
probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio valutativo non è
sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico e,
quindi, anche contraddittorio).

1.4. Anche il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le
argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono
essere disattese per implicito o per aver seguito un differente

iter

motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione

6

2009, Belloccia ed altro, rv. 244623; sez. V, n. 39048 del 25 settembre

7
effettuata (per tutte, Cass. pen., sez. VI, n. 1307 del 26 settembre
2002, dep. 14 gennaio 2003, Delvai, rv. 223061).

1.4.1.

In presenza di una doppia conforma affermazione di

responsabilità, va, peraltro, ritenuta l’ammissibilità della motivazione
della sentenza d’appello

per relationem

a quella della decisione

grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già
esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione
del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza
impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente
riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato
il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici,
non specificamente e criticamente censurate.
In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di
appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato
organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per
giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici
dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli
usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle
determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione,
sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano
una sola entità (Cass. pen., sez. II, n. 1309 del 22 novembre 1993, dep.
4 febbraio 1994, Albergamo ed altri, rv. 197250; sez. III, n. 13926 del
1° dicembre 2011, dep. 12 aprile 2012, Valerio, rv. 252615).

1.5. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione
«oltre ogni ragionevole dubbio», presente nel testo novellato
dell’art. 533 c.p.p. quale parametro cui conformare la valutazione
inerente all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è opportuno
evidenziare che, al di là dell’icastica espressione, mutuata dal diritto
anglosassone, ne costituiscono fondamento il principio costituzionale
della presunzione di innocenza e la cultura della prova e della sua
valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale.

7

impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo

8
Si è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha
una funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in
precedenza, il «ragionevole dubbio» sulla colpevolezza dell’imputato
ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’art. 530,
comma 2, c.p.p., sicché non si è in presenza di un diverso e più rigoroso
criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente
adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, già in

ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla giurisprudenza di
questa Corte Suprema – per tutte, cfr. Cass. pen., Sez. un., n. 30328
del 10 luglio 2002, Franzese, rv. 222139 -, e solo successivamente
recepita nel testo novellato dell’art. 533 c.p.p.), secondo cui la condanna
è possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della
responsabilità dell’imputato (cfr. Cass. pen., sez. II, n. 19575 del 21
aprile 2006, Serino ed altro, rv. 233785; sez. II, n. 16357 del 2 aprile
2008, Crisiglione, rv. 23979; sez. II, n. 7035 del 9 novembre 2012, dep.
13 febbraio 2013, De Bartolomei ed altro, rv. 254025).

1.6. La giurisprudenza di questa Corte Suprema è, inoltre, orientata
nel senso dell’inammissibilità, per difetto di specificità, del ricorso
presentato prospettando vizi di motivazione del provvedimento
impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa
(Cass. pen., sez. VI, n. 32227 del 16 luglio 2010, T., rv. 248037: nella
fattispecie il ricorrente aveva lamentato la “mancanza e/o insufficienza
e/o illogicità della motivazione” in ordine alla sussistenza dei gravi indizi
di colpevolezza e delle esigenze cautelari posti a fondamento di
un’ordinanza applicativa di misura cautelare personale; conforme, sez.
VI, n. 800 del 6 dicembre 2011, dep. 12 gennaio 2012, Bidognetti ed
altri, rv. 251528).
Invero, l’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. stabilisce che i
provvedimenti sono ricorribili per «mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del
provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo
specificamente indicati nei motivi di gravame»; la disposizione, 23e.cii
se
letta in combinazione con l’art. 581, comma 1, lett. c), c.p.p. (a nor

8

precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed

9
del quale è onere del ricorrente <> (Sez. II, n. 31811 dell’8 maggio
2012, Sardo ed altro, rv. 254329).
Per tali ragioni la censura alternativa ed indifferenziata di mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risulta priva
della necessaria specificità, il che rende il ricorso inammissibile.

1.7. Infine, secondo altro consolidato orientamento di questa Corte
Suprema (per tutte, Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24
aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27
giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), è inammissibile per
difetto di specificità il ricorso che riproponga pedissequamente le
censure dedotte come motivi di appello (al più con l’aggiunta di frasi
incidentali contenenti contestazioni, meramente assertive ed
apodittiche, della correttezza della sentenza impugnata) senza prendere
in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in virtù delle quali i
motivi di appello non siano stati accolti.

9

specificamente in relazione alle varie parti della motivazione censurata.

10

1.8. Alla luce di queste necessarie premesse va esaminato l’odierno
ricorso.

2. Il primo, il secondo ed il quarto motivo possono essere esaminati
congiuntamente e sono non consentiti in questa sede, oltre che
manifestamente infondati.

di cui ai capi A) e C) con formula più favorevole, nel merito, rispetto
all’intervenuta declaratoria di estinzione per prescrizione, muovendo
censure in parte generiche (è il caso del primo motivo, a sostegno del
quale il ricorrente richiama plurime ed astratte massime
giurisprudenziali, senza muovere specifiche censure

all’iter

argomentativo della Corte di appello), in parte non consentite (è il caso
del secondo motivo, che evoca un travisamento dei fatti non deducibile
in sede di legittimità, nella quale potrebbe assumere rilievo soltanto il
travisamento della prova, che peraltro il ricorrente non documenta nei
modi di rito – cfr. § 1.2. s. di queste Considerazioni in diritto), e senza
confrontarsi con la dovuta specificità con le argomentazioni della Corte
di appello (è, ad esempio, il caso del quarto motivo, a proposito del
quale il ricorrente pretende di confutare con personali illazioni in fatto gli
esaurienti, logici e non contraddittori rilievi della Corte di appello,
riportati a f. 5 della sentenza impugnata), sempre evocando vizi di
motivazione comunque indeducibili a fronte di una pronuncia
dichiarativa dell’estinzione dei reati de quibus per prescrizione.

2.1. Le Sezioni Unite di questa Corte Suprema, chiamate a risolvere
il contrasto sorto in merito alla questione “se il proscioglimento nel
merito prevalga rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di
non punibilità [ex

art. 129, comma 2, c.p.p.]

nel caso di

contraddittorietà od insufficienza della prova [ex art. 530, comma 2,
c.p.p.]”, hanno ritenuto che (Sez. Un. n. 35490 del 28 maggio 2009,
Tettamanti, rv. 244273 s.):
«All’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di
contraddittorietà od insufficienza della prova, non prevale rispetto all

10

Il ricorrente lamenta in concreto il mancato proscioglimento dai reati

11
dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in
sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice
sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio
probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga infondata nel
merito l’impugnazione del P.M. proposta avverso una sentenza di
assoluzione in primo grado ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p.
In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è

comma 2, c.p.p. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad
escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte
dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo
assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice
deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di
«constatazione», ossia di percezione ictu ‘acuii, che a quello di
«apprezzamento», e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di
accertamento o di approfondimento».

In particolare, le Sezioni unite hanno valorizzato i principi di
economia processuale e dei diritto alla prova.
Con riguardo al primo, ed in linea con la propria precedente
giurisprudenza, le Sezioni unite hanno ribadito che l’art. 129 c.p.p. mira
ad assicurare l’effettività del principio di economia processuale (exitus
processus) e la tutela dell’innocenza dell’imputato (favor rei).
Per tale ragione, non può essere accolto l’orientamento per il quale,
all’esito dell’istruzione dibattimentale, pur in presenza di una causa
estintiva, andrebbe comunque resa una decisione assolutoria nel merito
ex art. 530 c.p.p.
Argomentando in tal modo, risulterebbero, infatti, incomprensibili la
collocazione (ex art. 129, comma 1, c.p.p.) dell’obbligo di immediata
declaratoria di determinate cause di non punibilità (comprese quelle di
estinzione del reato) in «ogni stato e grado del processo» “, sia il rinvio
operato dall’art. 531, comma 1, c.p.p. all’art. 129, comma 2, c.p.p.: ed
è proprio quest’ultimo riferimento, che prevede espressamente l’obbligo,
in presenza di una causa estintiva dei reato, di pronunziare sentenza di
non doversi procedere «salvo quanto disposto dall’art. 129, comma

11

legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129,

12
ovvero salvo che non risulti già acquisita in atti la prova «evidente» che
fatto non sussiste, che l’imputato non lo ha commesso, che il fatto no
costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato.
Ne deriva che, in presenza di una causa di estinzione del reato, il
proscioglimento nel merito ex art. 129, comma 2, c.p.p. si impone ogni
volta che sussista l’evidenza della prova di innocenza dell’imputato, alla
quale va equiparata la mancanza totale della prova di responsabilità,

equiparazione tra mancanza totale ed insufficienza o contraddittorietà
della motivazione ex art. 530, comma 2, c.p.p. quando sussista un
concorso processuale di cause di proscioglimento, poiché altrimenti
risulterebbe vanificato il criterio della «evidenza» posto dal legislatore
per risolvere il predetto concorso.
Ove si accerti l’intervenuta estinzione del reato contestato, al giudice,
all’esito dell’istruzione dibattimentale, in presenza di una situazione di
contraddittorietà od insufficienza probatoria, sarà precluso l’esercizio dei
poteri officiosi di cui all’art. 507 c.p.p.: invero, se, in luogo che alla
declaratoria di estinzione del reato, egli accordasse prevalenza al
proscioglimento per ragioni di merito anche in presenza di una
situazione di incertezza probatoria (prova insufficiente o
contraddittoria), si verificherebbe una indebita equiparazione tra la
situazione di «evidenza» probatoria (dell’innocenza dell’imputato)
richiesta dall’art. 129, comma 2, c.p.p., e quella di «incertezza»
probatoria presa in considerazione dall’art. 530, comma 2, c.p.p.
Soltanto all’esito dell’istruzione dibattimentale, all’atto della
valutazione dell’intero materiale probatorio acquisito, il giudice potrà
disporre di tutti gli elementi necessari onde addivenire (anche) all’esatta
qualificazione giuridica del fatto-reato contestato: e, nel caso in cui egli
ritenga la configurabilità di un reato diverso (e meno grave) rispetto a
quello contestato, che risulti medio tempore prescritto, dovrà, in difetto
della prova «evidente» (da intendere tale in relazione alla sua mera ed
oggettiva «constatazione», senza alcun soggettivo «apprezzamento»)
dell’innocenza, pronunciare la declaratoria di estinzione del reato per
intervenuta prescrizione, senza approfondire la valutazione del materi
probatorio in atti.

12

e-

mentre non trova applicazione, nella sua assolutezza, l’ulteriore

13
In definitiva, secondo le Sezioni unite, “la regola probatoria di cui
all’art. 530, comma 2, cod. proc. pen. – cioè il dovere per il giudice, di
pronunciare sentenza di assoluzione anche quando manca, è
insufficiente o è contraddittoria la prova della responsabilità – appare
dettata esclusivamente per il normale esito del processo che sfocia in
una sentenza emessa dal giudice al compimento dell’attività
dibattimentale, a seguito di una approfondita valutazione di tutto il
compendio probatorio acquisito agli atti; tale regola non può trovare

applicazione in presenza di una causa estintiva del reato: in una
situazione del genere – a meno che il giudice non sia chiamato a dover
approfondire ex professo il materiale probatorio acquisito […] – vale
invece la regola di giudizio di cui all’art. 129 cod. proc. pen. in base alla
quale, intervenuta una causa estintiva del reato, può essere pronunciata
sentenza di proscioglimento nel merito solo qualora emerga dagli atti
processuali ‘positivamente’ (‘…risulta evidente…’: art. 129, comma 2,
cod. proc. pen.), senza necessità di ulteriore approfondimento,
l’estraneità dell’imputato a quanto contestatogli”.
Con riguardo al diritto alla prova, le Sezioni unite hanno ricordato che
la giurisprudenza costituzionale ha dichiarato l’illegittimità unicamente
con riguardo alla omessa previsione della facoltà di rinunziare ad
avvalersi di cause estintive del reato (in particolare, con riguardo
all’amnistia ed alla prescrizione), ma non ha mai mosso censure alla
legittimità dell’art. 129, comma 2, c.p.p.
Argomentando in senso contrario, dovrebbe necessariamente essere
ammessa la legittimazione dell’imputato non rinunciante alla
prescrizione, nei cui confronti – in presenza di una situazione probatoria
asseritamente ritenuta incerta, per insufficienza o contraddittorietà – sia
intervenuta la declaratoria di estinzione del reato, al ricorso per
cassazione anche in difetto di statuizioni civili, valorizzando
l’obbligatorietà dell’assoluzione nel merito, ma in palese violazione del
principio di economia processuale.
Le Sezioni unite sono poi passate ad esaminare i rapporti tra l’art.
578 c.p.p. («Decisione sugli effetti civili nel caso di estinzione del reato

i_..e

per amnistia o per prescrizione») e l’art. 129 c.p.p., richiamando una

serie di precedenti giurisprudenziali ritenuti meritevoli di condivisio e
c

13

l,

14
“nella parte in cui sottolineano la rilevanza della rinuncia alla causa
estintiva e l’influenza che la valutazione di merito del compendio
probatorio, imposta ex lege dal dettato dell’art. 578 code proc. pen. al
giudice dell’appello – in presenza di una causa estintiva del reato e di
una condanna di natura riparatoria in primo grado, anche generica, a
favore della parte civile – esplica anche sulla statuizione penale: nel
senso che la ritenuta innocenza, accertata all’esito di un completo ed

senza violazione del principio dell’economia processuale cui si ispira il
secondo comma dell’art. 129 cod. proc. pen., deve essere affermata con
la formula di proscioglimento di merito in luogo della declaratoria di
estinzione del reato per prescrizione”.
Si è, in particolare, ribadito che il principio di economia processuale in base al quale l’art. 129 c.p.p. impone di dichiarare la causa estintiva
del reato in assenza della prova ictu ocull dell’innocenza – va coordinato,
nell’ipotesi di una condanna di primo grado al risarcimento dei danni nei
confronti della parte civile, con la disposizione di cui all’art. 578 c.p.p.,
con la conseguenza che il giudice del gravame dovrà esaminare tutto
quanto rilevi ai fini della responsabilità civile, e se da detto esame
emerge la prova dell’innocenza, egli dovrà ricorrere alla corrispondente
formula assolutoria non potendo l’accertamento effettuato (sia pure per
esigenza di decisione non penale) essere posto nel nulla attraverso la
mera declaratoria di estinzione del reato.
E si è osservato, in proposito, che, nel rispetto della disciplina di cui
all’art. 578 c.p.p., in grado d’appello dovrà prevalere – sia nel caso in cui
sia stata acquisita la prova piena dell’innocenza dell’imputato, sia in
presenza di una situazione di incertezza probatoria il proscioglimento nel
merito rispetto alla declaratoria di estinzione del reato, poiché, in questa
fase processuale, non potrebbe attribuirsi rilievo ad esigenze di
economia processuale, e, d’altro canto, non esistono decisivi ostacoli
processuali che possano impedire l’attuazione, ampia ed incondizionata,
del principio del favor rei e l’applicazione della regola probatoria ex art.
530, comma 2, c.p.p. Ne consegue che, in presenza di cause di
estinzione del reato come l’amnistia o la prescrizione, la valutazione
izr.()
I
approfondita delle risultanze istruttorie – necessaria a fini civilistici – c

14

e

approfondito esame svolto ex professo, per dettato normativo, e quindi

15
porti ad escludere (anche soltanto per insufficienza o contraddittorietà
della prova) la responsabilità dell’imputato non può che esplicare i suoi
effetti anche sulla decisione penale, imponendo il proscioglimento nel
merito: “allorquando, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., il giudice di
appello – intervenuta una causa estintiva del reato – è chiamato a
valutare il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili per la
presenza della parte civile, il proscioglimento nel merito prevale sulla

insufficienza della prova”.
Diversamente, ove non sia comunque necessaria una approfondita
valutazione a fini civilistici delle risultanze probatorie acquisite, soltanto
la rinuncia dell’imputato ad avvalersi della causa estintiva imporrà
l’approfondito esame degli atti, e l’assoluzione nel merito ex art. 530,
comma 2, c.p.p. in caso di incertezza probatoria; ed alle stesse
conclusioni dovrà giungersi, secondo le Sezioni unite, nei casi in cui, pur
in assenza di una parte civile, dopo l’assoluzione in primo grado,
pronunziata ex art. 530, comma 2, c.p.p., e l’impugnazione del P.M.,
sopravvenga una causa estintiva del reato, ed il giudice d’appello ritenga
non fondata la predetta impugnazione: anche in questo caso, infatti, la
necessità di approfondire la valutazione delle emergenze processuali
(onde giudicare la fondatezza o meno dell’impugnazione) impone, in
applicazione del principio del favor rei, la conferma dell’assoluzione nel
merito già intervenuta in primo grado.

2.2.

Oltre alla questione controversa, le Sezioni unite hanno

esaminato anche il problema dell’ambito del sindacato, in sede di
legittimità, sui vizi della motivazione in presenza di cause di estinzione
del reato, del quale avevano già avuto modo di occuparsi in passato,
affermando che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non
sono rilevabili in sede di legittimità i vizi di motivazione della sentenza
impugnata, in quanto l’inevitabile rinvio della causa al giudice di merito
dopo la pronunzia di annullamento risulterebbe comunque incompatibile
con l’obbligo della immediata declaratoria di proscioglimento er
intervenuta estinzione del reato.

15

causa estintiva, pur nel caso di accertata contraddittorietà o

16
In linea con l’orientamento assolutamente prevalente nella
giurisprudenza intervenuta successivamente sulla questione, il principio
è stato ribadito (sostanzialmente nei medesimi termini, come è
confermato dalle quasi speculari massime estratte dalle due decisioni)
anche dalla sentenza Tettamanti, a parere della quale la Corte di
cessazione, ove rilevi la sussistenza di una causa di estinzione del reato,
non può rilevare eventuali vizi di legittimità della decisione impugnata,

comunque obbligato a rilevare immediatamente la sussistenza della
predetta cause di estinzione del reato, ed alla conseguente declaratoria.
Il principio opera anche in presenza di mere cause di nullità di ordine
generale, assolute ed insanabili, identica essendo la

ratio, fondata

sull’incompatibilità del rinvio per nuovo giudizio di merito con li principio
dell’immediata applicabilità della causa estintiva. A conclusioni diverse
dovrebbe giungersi nel caso in cui l’operatività della causa di estinzione
del reato presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al
giudice di merito, nei qual caso assumerebbe rilievo pregiudiziale la
nullità, in quanto funzionale alla necessaria rinnovazione del relativo
giudizio.

2.3. Ciò premesso, deve porsi in rilievo che, nel caso di specie, la
Corte di appello (f. 2 ss.) ha esaurientemente e logicamente
argomentato in ordine alle ragioni in considerazione delle quali ha
ritenuto che l’innocenza dell’imputato non emergesse

ictu °cui/ dagli

atti, con rilievi esenti da vizi rilevabili in questa sede; ma anche nel caso
in cui fossero condivisi i rilievi del ricorrente, e si ritenesse
effettivamente sussistente il dedotto vizio di motivazione, l’intervenuta
prescrizione – cui il ricorrente non risulta aver rinunziato – precluderebbe
la possibilità di deliberare il consequenziale annullamento con rinvio
della decisione impugnata.

3. Il terzo motivo è generico e manifestamente infondato.
Se, da un lato, il ricorrente non documenta alcun travisamento,
dall’altro la Corte di appello, con rilievi esaurienti, logici, non
contraddittori, e pertanto incensurabili in questa sede,

16

Ja

poiché nel corso del successivo giudizio di rinvio il giudice sarebbe

17
compiutamente indicato (f. 5 s.) le ragioni poste a fondamento
dell’affermazione di responsabilità, con rilievi cui il ricorrente non ha
opposto alcunché di decisivo, se non una personale rivisitazione dei fatti
di causa, in parte fondata su proprie ed indimostrate congetture.

4. Il quinto motivo, attinente alla qualificazione giuridica dei fatti
accertati, è infondato.

dicembre 2005, CED Cass. n. 242770) ha già chiarito che si configura il
delitto di riciclaggio sia con la sostituzione della targa che con la
manipolazione del numero del telaio di un’autovettura proveniente da
delitto, perché entrambe le condotte costituiscono operazioni tese ad
ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dell’autovettura,
ed il principio merita di essere ribadito.
Si è anche precisato che non si ha reato impossibile ove sia agevole
l’accertamento della provenienza illecita della res, poiché, per aversi
reato impossibile, l’inidoneità dell’azione deve essere ex ante assoluta e
non può desumersi dal mero fatto che il reato sia stato agevolmente
scoperto (Sez. IL sentenza n. 37718 del 12 luglio – 10 ottobre 2012,
CED Cass. n. 253448: fattispecie relativa ad autovettura cui era stata
apposta la targa di un altro veicolo provento di furto).
A tali orientamenti si è correttamente conformata la Corte di appello
nel qualificare il fatto accertato (caratterizzato dalla contraffazione del
numero di telaio dell’autovettura de qua).

5. Il sesto motivo non è consentito in questa sede ed è comunque
manifestamente infondato.

5.1. Il motivo non è consentito, perché dedotto per la prima volta in
questa sede: invero, la relativa doglianza non risulta formulata tra i
motivi di appello, come si evince dal riepilogo dei motivi di appello
riportato nella sentenza impugnata (f. 6, dove si esclude espressamente
che il diniego delle circostanze attenuanti generiche avesse costituito 4
motivo di appello), che l’odierno ricorrente avrebbe avuto il do re

17

Questa Corte Suprema (Sez. II, sentenza n. 44305 del 25 ottobre – 5

18
processuale di contestare specificamente nell’odierno ricorso, se
incompleto o comunque non corretto.

5.2. Peraltro, questa Corte Suprema ha in più occasioni chiarito che,
ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti
generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi
indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a

solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del
reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal
senso (così, da ultimo, Sez. II, sentenza n. 3609 del 18 gennaio – 10
febbraio 2011, CED Cass. n. 249163).
A questo orientamento si è correttamente conformata la Corte di
appello valorizzando, ai fini del diniego, la capacità a delinquere palesata
dall’imputato proprio attraverso le modalità di commissione del fattoreato in ordine al quale si procede.

Le statuizioni accessorie.
6. L’integrale rigetto del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616
c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, udienza pubblica 10 ottobre 2013.

determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un

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