Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 706 del 24/10/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 706 Anno 2017
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: TUTINELLI VINCENZO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
PUGLISI SALVATORE nato il 15/06/1963 a SANTA VENERINA

avverso la sentenza del 24/03/2015 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO TUTINELLI;

Data Udienza: 24/10/2016

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
La CORTE APPELLO di CATANIA, con sentenza in data 24/03/2015,
confermava la condanna alla pena ritenuta di giustizia pronunciata dal
TRIB.SEZ.DIST. di GIARRE, in data 23/10/2008, nei confronti di PUGLISI
SALVATORE in relazione al reato di cui all’ art. 648 CP, ritenuto più grave,
applicando il regime della continuazione tra i vari episodi contestati.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, contestando la sussistenza
dell’elemento psicologico del delitto di ricettazione, la mancata motivazione in

l’intervenuta prescrizione successivamente alla sentenza di secondo grado.
Il primo motivo di ricorso, con il quale si deduce violazione di legge e vizio di
motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità con specifico riferimento
alla sussistenza dell’elemento psicologico, è inammissibile, in quanto la Corte
territoriale ha correttamente tenuto conto dell’accertata, e mai
convincentemente giustificata, disponibilità dei titoli di provenienza furtiva in
oggetto (all’evidenza acquisita fuori dai canali ordinari e legittimi di circolazione).
In tal modo, la Corte di appello si è correttamente conformata – quanto alla
qualificazione giuridica del fatto accertato – al consolidato orientamento di questa
Corte (per tutte, Sez. II, n. 29198 del 25/05/2010, Fontanella, rv. 248265), per
il quale, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova
dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o
non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è
sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con
un acquisto in mala fede; d’altro canto (Sez. II, n. 45256 del 22/11/2007,
Lapertosa, Rv. 238515), ricorre il dolo di ricettazione nella forma eventuale
quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o
ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza
di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che invece connota l’ipotesi
contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta provenienza. Né si richiede
all’imputato di provare la provenienza del possesso delle cose, ma soltanto di
fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso delle cose
medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione
di elementi, che potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova per le
parti e per i poteri officiosi del giudice, e che comunque possano essere valutati
da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento
(in tal senso, Cass. pen., Sez. un., n. 35535 del 12/07/2007, Rv. 236914).
Si è anche, più specificamente, chiarito (da ultimo, Sez. II, n. 22120 del
07/02/2013, Mercuri, Rv. 255929), che chi riceva od acquisti un assegno

ordine alla richiesta attenuante di cui all’art. 648 comma 2 cod proc pen,

bancario al di fuori delle regole che ne disciplinano la circolazione è
necessariamente consapevole della sua provenienza illecita.
Il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce violazione di legge e vizio
di motivazione con riferimento alla mancata concessione dell’attenuante di cui
all’art. 648 capoverso cod proc pen, è inammissibile.
E’ assunto ormai costante nella giurisprudenza di questa Corte che non sia
configurabile la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità
con riferimento al delitto di ricettazione avente ad oggetto assegni in bianco e

quello dello stampato, ma quello, non determinabile, derivante dalla sua
potenziale utilizzabilità (Sez. 2, Sentenza n. 24075 del 04/02/2015 Rv. 264115;
Sez. 2, Sentenza n. 31169 del 01/06/2006 Rv. 234681).
Ne consegue l’inammissibilità, per carenza d’interesse, del ricorso per
cassazione avverso la sentenza di secondo grado, che – come nel caso di specie lamenti l’omessa valutazione di un motivo di appello, che risulti ab origine
inammissibile per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento
della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio.
(Sez. 2, Sentenza n. 10173 del 16/12/2014 – dep. 11/03/2015 – Rv. 263157).
Il terzo motivo di ricorso, con il quale si deduce violazione di legge e vizio di
motivazione con riferimento alla intervenuta prescrizione è inammissibile in
quanto l’inammissibilità del ricorso preclude il rilievo della eventuale prescrizione
maturata successivamente alla sentenza impugnata (Sez. Un., n. 32 del
22/11/2000, De Luca, Rv. 217266)
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati
i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal
ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che
ritiene equa, di euro duemila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila alla cassa delle ammende.
Così deciso il 24/10/2016

documenti, poiché il valore da considerare per la valutazione del danno non è

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