Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 705 del 01/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 705 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TRAETTINO ROCCO N. IL 05/04/1954
avverso la sentenza n. 7570/2008 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
22/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 01/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per o
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Udito, per la parte civile

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Data Udienza: 01/10/2013

1
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe,
ha confermato, quanto all’affermazione di responsabilità, ma riducendo
la pena (avendo ritenuto le circostanze attenuanti generiche prevalenti,
e non meramente equivalenti, rispetto alle concorrenti circostanze
aggravanti), la sentenza emessa dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere

dichiarato l’odierno ricorrente colpevole di tentata estorsione aggravata
(fatti commessi tra S. Maria Capua Vetere e Caste! Volturno tra i primi di
marzo ed il 20 aprile 2000).
2. Avverso tale provvedimento, ha proposto ricorso per cassazione
l’imputato (con l’ausilio di un difensore iscritto nell’apposito albo
speciale), deducendo il motivo di seguito enunciato nei limiti
strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173,
comma 1, disp. att. c.p.p.:
I – inosservanza od erronea applicazione della legge penale (il
ricorrente lamenta l’erroneità della qualificazione giuridica del fatto
accertato, a suo avviso integrante gli estremi del reato di cui all’art. 393
c.p. – che sarebbe nelle more prescritto -, valorizzando la trattativa
intervenuta tra i legali delle parti contrapposte, sfociata nel fatto
costituente oggetto dell’odierna contestazione, asseritamente svoltasi in
un clima pacifico e senza intimidazioni).
Ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata.

3.

in composizione collegiale, che in data 10 dicembre 2007 aveva

All’odierna udienza pubblica, dopo il controllo della regolarità

degli avvisi di rito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, e
questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato
mediante lettura in udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato e va rigettato.

A.(

2
1. E’ necessario premettere che, a parere del collegio, i delitti di cui
agli articoli 393 e 629 c.p. si distinguono in relazione all’elemento
psicologico: nel primo, l’agente persegue il conseguimento di un profitto
nella convinzione ragionevole, anche se infondata, di esercitare un suo
diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe
formare oggetto di azione giudiziaria; nell’estorsione, invece, l’agente
persegue il conseguimento di un profitto, pur nella consapevolezza di

giugno 2012, CED Cass. n. 253192).
Per ritenere configurabile il delitto di esercizio arbitrario delle proprie
ragioni in luogo di quello di estorsione, occorre, pertanto, che l’agente
sia soggettivamente – pur se erroneamente – convinto dell’esistenza del
proprio diritto, e che detto diritto riceva astrattamente tutela
giurisdizionale (Sez. II, sentenza n. 12329 del 4. – 29 marzo 2010, CED
Cass. n. 247228).
Il collegio è consapevole dell’esistenza di un opposto orientamento,
che valorizza, ai fini della predetta distinzione, la materialità del fatto
(cfr., tra le altre, Sez VI, sentenza n. 32721 del 21 giugno – 7
settembre 2010, CED Cass. n. 248169, per la quale «Ai fini della
distinzione tra esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione nel
caso che il soggetto possa far valere il suo diritto dinanzi all’autorità
giudiziaria, occorre avere riguardo al grado di gravità della condotta
violenta o minacciosa che, se manifestata in modo gratuito o
sproporzionato rispetto al fine, ovvero tale da non lasciare possibilità di
scelta alla vittima, integra gli estremi del più grave delitto di

non averne diritto (Sez. II, sentenza n. 22935 del 29 maggio – 12

estorsione»), ma reputa tale orientamento non rispondente al dato
normativo, poiché gli articoli 393 e 629 c.p. inequivocabilmente
descrivono la materialità degli elementi costitutivi dei reati de quibus in
termini identici, evocando i medesimi concetti di «violenza» o
«minaccia», senza alcun riferimento al “quantum” di forza coercitiva
impiegata dal soggetto agente.
E, d’altro canto, c’è un ulteriore dato normativo a quanto risulta fin
qui ingiustificatamente trascurato dalla giurisprudenza: invero, sia l’art.

2

4

3
393, comma 3, c.p. che l’art. 629, comma 2, c.p. (in quest’ultimo caso,
mediante richiamo dell’art. 628, comma 3, n. 1 c.p.) prevedono che la
pena è aumentata «se la violenza o minaccia è commessa con
armi».
Il riferimento appare decisivo, atteso che, a parere dell’orientamento
che qui si contesta, la violenza o minaccia alla persona commessa con

adoperata: ma la circostanza aggravante speciale de qua non legittima
distinzioni tra armi bianche ed armi da fuoco) sproporzionata rispetto al
fine, e comunque sempre tale da non lasciare possibilità di scelta alla
vittima (secondo l’id quod plerumque accidit, disarmata), dovrebbe
sempre integrare gli estremi del più grave delitto di estorsione, il che,
per legge, non è.
I reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e di estorsione si
distinguono, pertanto, non per la materialità del fatto, che può essere
identica, ma per l’elemento intenzionale che, qualunque sia stato il
livello di intensità o gravità della violenza o della minaccia, integra la
fattispecie estorsiva soltanto quando abbia di mira l’attuazione di una
pretesa non tutelabile davanti all’autorità giudiziaria (così, da ultimo,
Sez. II, sentenza n. 51433 del 4 – 19 dicembre 2013); alla speciale
veemenza della comportamento violento o minaccioso potrà, al più,
riconoscersi valenza di elemento sintomatico del dolo di estorsione,
null’altro.

Va, conclusivamente, affermato il seguente principio di diritto:
«I delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o
minaccia alle persone e di estorsione (la cui materialità è descritta dagli
articoli 393 e 629 c.p. nei medesimi termini) si distinguono in relazione
all’elemento psicologico: nel primo, l’agente persegue il conseguimento
di un profitto nella convinzione ragionevole, anche se infondata, di
esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una
pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; ……

3

armi, all’evidenza di particolare gravità, in ipotesi (in relazione all’arma

4
nell’estorsione, invece, l’agente persegue il conseguimento di un
profitto, nella consapevolezza della sua ingiustizia. L’elevata intensità o
gravità della violenza o della minaccia di per sé non legittima la
qualificazione del fatto ex art. 629 c.p.: lo conferma il fatto che il
legislatore prevede che l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni risulti –

2. Ciò premesso, deve rilevarsi, in fatto, che la Corte di appello (f. 10
s. della sentenza impugnata) ha correttamente valorizzato, ai fini della
qualificazione giuridica del fatto accertato:
– l’intervenuto «utilizzo della minaccia di azioni legali per ottenere
un profitto ingiusto dell’esborso da parte dello SCHIAVONE di somme
non dovute»;
– la «idoneità delle minacce a intimorire la parte lesa per il timore
di ulteriori danni rispetto a quelli già subiti», ricordando che «i due
TRAETTINO hanno utilizzato una loro società per acquistare il terreno
confinante alla clinica ed operare quali terzi danneggiati contro la
concessione edilizia che non potevano più ostacolare dall’interno atteso
che non ricoprivano più alcuna carica all’interno del Consiglio comunale
di Castel Volturno, sciolto per infiltrazioni camorristicheP.
E trattavasi di minaccia ben reale, «costituita dalle documentazioni
che essi minacciavano di sottoporre al PM e che continuamente lo
SCHIAVONE chiedeva di vedere (come si evince dalle registrazioni), a
riprova dell’idoneità della minaccia ad incutere timore in lui. Durante il
terzo incontro, infatti, ancora una volta lo SCHIAVONE chiede al
FERRANTE “però debbo continuare a pregarvi insomma e, a fronte della
vostra richiesta … io al limite debbo pregare di afr vedere questi
documenti all’avvocato STELLATO”».

2.1. L’ingiustizia del profitto perseguito, ed il mezzo adoperato
(minaccia di consegnare al PM documentazione asseritamente

4

come l’estorsione – aggravato dall’uso di armi».

5
comprovante irregolarità ascrivibili alla p.o., non inerenti alla vicenda
di rilievo civilistico discussa inter partes) tradiscono il fine ricattatorio
dell’agente, connotandone inequivocabilmente il dolo di estorsione,
poiché palesano lo scopo di coartare l’altrui volontà e conseguire
risultati non conformi a giustizia, non certo di perseguire un profitto
nella convinzione ragionevole, anche se infondata, di esercitare un
proprio diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che

12. Va, per completezza, evidenziato che nessun rilievo può
assumere il fatto che la Corte di appello non abbia espressamente
indicato le ragioni poste a fondamento dell’opzione per la qualificazione
giuridica del fatto accertato come estorsione, e non come esercizio
arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone.
Invero, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte
Suprema (Sez. II, sentenze n. 3706 del 21. – 27 gennaio 2009, CED
Cass. n. 242634, e n. 19696 del 20 – 25 maggio 2010, CED Cass. n.
247123), anche sotto la vigenza dell’abrogato codice di rito (Sez. IV,
sentenza n. 6243 del 7 marzo – 24 maggio 1988, CED Cass. n.
178442), il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimità è
solo quello attinente alle questioni di fatto e non anche di diritto, giacché
ove queste ultime, anche se in maniera immotivata o
contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque
esattamente risolte, non può sussistere ragione alcuna di doglianza,
mentre, viceversa, ove tale soluzione non sia giuridicamente corretta,
poco importa se e quali argomenti la sorreggano.
E, d’altro canto, l’interesse all’impugnazione potrebbe nascere solo
dall’errata soluzione di una questione giuridica, non dall’eventuale
erroneità degli argomenti posti a fondamento giustificativo della
soluzione comunque corretta di una siffatta questione (Sez. IV, sentenza
n. 4173 del 22 febbraio – 13 aprile 1994, CED Cass. n. 197993).
Pertanto nel giudizio di legittimità il vizio di motivazione non è
denunciabile con riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di
merito.

5

potrebbe formare oggetto di una ragionevole azione giudiziaria.

6
E, nel caso in esame, la questione di diritto evocata in ricorso era
stata decisa correttamente dal primo giudice.

3. L’infondatezza totale del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616
c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

processuali.
Così deciso in Roma, udienza pubblica 10 ottobre 2013.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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