Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7039 del 09/11/2012


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 7039 Anno 2013
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Gitto Roberto, nato il 7/5/1977 a Barcellona Pozzo di Gotto
Maggio Alessandro, nato il 27/8/1941 a Messina

avverso la sentenza resa in data 30/6/2011 dalla Corte di appello di
Milano.

Letti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Sergio Beltrani;
udite le conclusioni del pubblico ministero, in persona del sost. proc.
gen. dott. Elisabetta Cesqui, la quale ha chiesto l’annullamento con
rinvio dell’impugnata sentenza;
rilevata la regolarità degli avvisi per l’odierna udienza pubblica;
rigettata l’istanza di rinvio per legittimo impedimento dell’avv. Eliana
Raffa come da ordinanza verbalizzata;

Data Udienza: 09/11/2012

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe,
ha confermato la sentenza resa dal Tribunale di Lecco in data 15 giugno
2010, che aveva dichiarato gli odierni ricorrenti colpevoli dei reati di
furto aggravato ex art. 625 n. 2 c.p., prima ipotesi, di una macchina
intonacatrice (perpetrato in danno di MATTEO DI CARLO, e commesso
tra il 6 ed il 7 novembre 2004) – così qualificata l’originaria imputazione
di giustizia. Va immediatamente precisato che gli imputati erano stati
inizialmente rinviati a giudizio per i reati di estorsione (capo A) e
favoreggiamento personale (capo B); all’udienza del 27 marzo 2007 il
P.M. aveva modificato la contestazione sub A), contestando il delitto di
ricettazione; all’udienza 30 ottobre 2007, il P.M. aveva contestato anche
il delitto di estorsione; il primo giudice aveva assolto gli imputati dal
delitto di favoreggiamento personale perché il fatto non sussiste.
2. Avverso tale provvedimento, hanno proposto ricorso gli imputati,
con l’ausilio del difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati nei
limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art.
173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.:
I – nullità della sentenza per omessa e/o illogica motivazione
(lamentando che la Corte d’appello non abbia motivato in merito ai
motivi di appello formulati);
II – violazione degli artt. 110 e 629 c.p. (lamentando l’erroneità della
qualificazione giuridica del reato di cui al capo B) come estorsione in
concorso);
III – violazione dell’art. 133 c.p. (lamentando l’eccessività della
pena).
Hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei predetti motivi.
All’odierna udienza pubblica, la parte presente ha concluso come da
epigrafe, e questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti,
pubblicato mediante lettura in udienza.

2

di ricettazione – ed estorsione, condannando ciascuno alla pena ritenuta

r”,

?”. .r

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Gru” in toto inammissibile, perché fonda su motivi non
consentiti in sede di legittimità, dedotti genericamente, o comunque
manifestamente infondati.

I LIMITI DEL SINDACATO DI LEGITTIMITA’.
1. Con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità, delineati dall’art.
606, comma 1, lettera e), c.p.p., come vigente a seguito delle modifiche
introdotte dalla L. n. 46 del 2006, questa Corte Suprema ritiene che la
predetta novella non abbia comportato la possibilità, per il giudice della
legittimità, di effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della
decisione finalizzata a sovrapporre una propria valutazione a quella già
effettuata dai giudici di merito, dovendo il giudice della legittimità
limitarsi a verificare l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di
merito si è avvalso per sottolineare il suo convincimento. La mancata
rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali può, soltanto
ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d.
travisamento della prova, purché siano indicate in maniera specifica ed
inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di
volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo
da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da
parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od
un esame parcellizzato.

1.1. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, poi, deve
risultare di spessore tale da risultare percepibile ictu ocull, dovendo il
sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le
ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal senso, conservano
validità, e meritano di essere tuttora condivise, Cass. pen., Sez. un., n.
24 del 24 novembre 1999, Spina, rv. 214794; Sez, un., n. 12 del 314

3

31″ , •

maggio 2000 n. 12, Jakani, rv. 216260; Sez. un., n. 47289 del 24
settembre 2003, Petrella, rv. 226074).
A tal riguardo, devono tuttora escludersi la possibilità di «un’analisi
orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti,
nonché i motivi di ricorso su di essi imperniati ed a fornire risposte
circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi» (Cass. pen., sez.
VI, n. 14624 del 20 marzo 2006, Vecchio, rv. 233621; conforme, sez. II,

giudice di legittimità di una rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass. pen., sez. VI, n.
27429 del 4 luglio 2006, Lobriglio, rv. 234559; sez. VI, n. 25255 del 14
febbraio 2012, Minervini, rv. 253099).
1.2. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art.
606, comma 1, lett. e), c.p.p. intenda far valere il vizio di
«travisamento della prova» (consistente nell’utilizzazione di
un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una
prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od
omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato
motivazionale sottoposto a critica) deve, inoltre, a pena di
inammissibilità (Cass. pen., sez. I, n. 20344 del 18 maggio 2006, Salaj,

rv. 234115; sez. VI, n. 45036 del 2 dicembre 2010, Damiano, rv.
249035):
a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la
doglianza;
b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto
emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione
svolta nella sentenza impugnata;
c)

dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato

probatorio invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale
su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti
nel fascicolo del dibattimento;

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n. 18163 del 22 aprile 2008, Ferdico, rv. 239789), e la possibilità per il

d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e
compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della
motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno
dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.
1.3. Il giudice di legittimità ha, ai sensi del novellato art. 606 c.p.p., il

compito di accertare (Cass. pen., sez. VI, n. 35964 del 28 settembre
2006, Foschini ed altro, rv. 234622; sez. III, n. 39729 del 18 giugno
2007, Casavola ed altri, rv. 238215; sez. II, n. 18163 del 22 aprile
2008, Ferdico, rv. 239789):
(a) il contenuto del ricorso (che deve contenere gli elementi sopra
individuati);
(b) la decisività del materiale probatorio richiamato (che deve essere
tale da disarticolare l’intero ragionamento del giudicante o da
determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione);
(c) l’esistenza di una radicale incompatibilità con l’iter motivazionale
seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto (non
essendo il giudice di legittimità obbligato a prendere visione degli atti
processuali anche se specificamente indicati, ove non risulti detto
requisito);
(d) la sussistenza di una prova omessa o inventata, e del c.d.
«travisamento del fatto», ma solo qualora la difformità della realtà
storica sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu ocu/i ed assuma anche
carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi
probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio valutativo non è
sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico e,
quindi, anche contraddittorio).

1.4.

In presenza di una doppia conforma affermazione di

responsabilità, va, peraltro, ritenuta l’ammissibilità della motivazione
della sentenza d’appello per relationem

a quella della decisione

impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo
grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già

5

2009, Belloccia ed altro, rv. 244623; sez. V, n. 39048 del 25 settembre

,

esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione
del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza
impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente
riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato
il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici,
non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le
motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si

quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità
della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato
le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado
e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi
logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei
due gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass. pen., sez. II, n.
1309 del 22 novembre 1993, dep. 4 febbraio 1994, Albergamo ed altri,
rv. 197250; sez. III, n. 13926 del 1° dicembre 2011, dep. 12 aprile
2012, Valerio, rv. 252615).

1.5. Infine, anche il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a
tutte le argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse
possono essere disattese per implicito o per aver seguito un differente
iter motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione
effettuata (per tutte, Cass. pen., sez. VI, n. 1307 del 26 settembre
2002, dep. 14 gennaio 2003, Delvai, rv. 223061).

1.6. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione
«oltre ogni ragionevole dubbio», già adoperata dalla giurisprudenza
di questa Corte Suprema (per tutte, cfr. Cass. pen., Sez. un., n. 30328
del 10 luglio 2002, Franzese, rv. 222139), e successivamente recepita
nel testo novellato dell’art. 533 c.p.p. quale parametro cui conformare la
valutazione inerente all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è
opportuno evidenziare che, al di là dell’icastica espressione, mutuata dal
diritto anglosassone, ne costituiscono fondamento il principio
costituzionale della presunzione di innocenza e la cultura della prov e

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integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al

della sua valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale. Si
è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una
funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in
precedenza, il «ragionevole dubbio>> sulla colpevolezza dell’imputato
ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’art. 530,
comma 2, c.p.p., sicché non si è in presenza di un diverso e più rigoroso
criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente
nel nostro ordinamento costituzionale ed ordinario, secondo cui la
condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale
assoluta della responsabilità dell’imputato (cfr. Cass. pen., sez. II, n.
19575 del 21 aprile 2006, Serino ed altro, rv. 233785; sez. II, n. 16357
del 2 aprile 2008, Crisiglione, rv. 239795).
1.7. Alla luce di queste necessarie premesse vanno esaminati gli

odierni ricorsi.

IL RICORSO.
2. Il primo motivo è inammissibile perché fonda su motivi non

consentiti in sede di legittimità, formulati in modo perplesso, generici e
comunque manifestamente infondati.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema è ormai orientata nel
senso dell’inammissibilità, per difetto di specificità, del ricorso
presentato prospettando vizi di motivazione del provvedimento
impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa
(Cass. pen., sez. VI, n. 32227 del 16 luglio 2010, T., rv. 248037: nella
fattispecie il ricorrente aveva lamentato la “mancanza e/o insufficienza
e/o illogicità della motivazione” in ordine alla sussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari posti a fondamento di
un’ordinanza applicativa di misura cautelare personale; conforme, sez.
VI, n. 800 del 6 dicembre 2011, dep. 12 gennaio 2012, Bidognetti ed
altri, rv. 251528).
Invero, l’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. stabilisce che
provvedimenti sono ricorribili per «mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo

7

i

adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, immanente

del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo
specificamente indicati nei motivi di gravame»; la disposizione, se
letta in combinazione con l’art. 581, comma 1, lett. c), c.p.p. (a norma
del quale è onere del ricorrente <

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