Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7036 del 09/11/2012


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 7036 Anno 2013
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Sale Angelo, nato l’ 8/12/1971 a Roma

avverso la sentenza resa in data 15/10/2010 dalla Corte di appello di
Roma.

Letti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Sergio Beltrani;
udite le conclusioni del pubblico ministero, in persona del sost. proc.
gen. dott. Elisabetta Cesqui, la quale ha chiesto dichiararsi
l’inammissibilità del ricorso;
rilevata la regolarità degli avvisi per l’odierna udienza pubblica;

Data Udienza: 09/11/2012

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, ha
confermato la sentenza resa dal G.U.P. del Tribunale di Latina in data 4
agosto 2009, che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato
ANGELO SALE colpevole del riciclaggio di 8 escavatori (accertato in
Latina il 14 febbraio 2008), condannandolo alla pena ritenuta di

2. Avverso tale provvedimento, ha proposto personalmente ricorso
l’imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173,
comma 1, disp. att. cod. proc. pen.:
I – manifesta illogicità della motivazione (quanto alla ritenuta
riferibilità delle dichiarazioni di DI ME0 GUIDO all’odierno ricorrente);
Il – erronea applicazione dell’art. 648-bis c.p.;

ha chiesto conclusivamente l’annullamento (anche con rinvio)
dell’impugnata sentenza.
All’odierna udienza pubblica, la parte presente ha concluso come da
epigrafe, e questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti,
pubblicato mediante lettura in udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è in toto inammissibile, perché fonda su motivi non
consentiti in sede di legittimità, dedotti genericamente, o comunque
manifestamente infondati.

I LIMITI DEL SINDACATO DI LEGITTIMITA’.
1. Con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità, delineati dall’art.
606, comma 1, lettera e), c.p.p., come vigente a seguito delle modifiche
introdotte dalla L. n. 46 del 2006, questa Corte Suprema ritiene che la
predetta novella non abbia comportato la possibilità, per il giudice della
legittimità, di effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della
decisione finalizzata a sovrapporre una propria valutazione a quella già

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giustizia.

effettuata dai giudici di merito, dovendo il giudice della legittimità
limitarsi a verificare l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di
merito si è avvalso per sottolineare il suo convincimento. La mancata
rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali può, soltanto
ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il cd.
travisamento della prova, purché siano indicate in maniera specifica ed
inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di
da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da
parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od
un esame parcellizzato.

1.1. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, poi, deve
risultare di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, dovendo il
sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le
ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal senso, conservano
validità, e meritano di essere tuttora condivise, Cass. pen., Sez. un., n.
24 del 24 novembre 1999, Spina, rv. 214794; Sez. un., n. 12 del 31
maggio 2000 n. 12, Jakani, rv. 216260; Sez. un., n. 47289 del 24
settembre 2003, Petrella, rv. 226074).
A tal riguardo, devono tuttora escludersi la possibilità di «un’analisi
orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti,
nonché i motivi di ricorso su di essi imperniati ed a fornire risposte
circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi» (Cass. pen., sez.
VI, n. 14624 del 20 marzo 2006, Vecchio, rv. 233621; conforme, sez. H,
n. 18163 del 22 aprile 2008, Ferdico, rv. 239789), e la possibilità per il
giudice di legittimità di una rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass. pen., sez. VI, n.
27429 del 4 luglio 2006, Lobriglio, rv. 234559; sez. VI, n. 25255 del 14 4
febbraio 2012, Minervini, rv. 253099).
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volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo

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1.2. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art.
606, comma 1, lett. e), c.p.p. intenda far valere il vizio di
«travisamento della prova» (consistente nell’utilizzazione di
un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una
prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od
omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato
motivazionale sottoposto a critica) deve, inoltre, a pena di

rv. 234115; sez. VI, n. 45036 del 2 dicembre 2010, Damiano, rv.
249035):
a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la
doglianza;
b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto
emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione
svolta nella sentenza impugnata;
c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato
probatorio invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale
su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti
nel fascicolo del dibattimento;
d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e
compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della
motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno
dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.
1.3. Il giudice di legittimità ha, ai sensi del novellato art. 606 c.p.p., il
compito di accertare (Cass. pen., sez. VI, n. 35964 del 28 settembre
2006, Foschini ed altro, rv. 234622; sez. III, n. 39729 del 18 giugno
2009, Belloccia ed altro, rv. 244623; sez. V, n. 39048 del 25 settembre
2007, Casavola ed altri, rv. 238215; sez. II, n. 18163 del 22 aprile
2008, Ferdico, rv. 239789):
(a) il contenuto del ricorso (che deve contenere gli elementi sopra 1.–…..

individuati);

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inammissibilità (Cass. pen., sez. I, n. 20344 del 18 maggio 2006, Salaj,

(b) la decisività del materiale probatorio richiamato (che deve essere
tale da disarticolare l’intero ragionamento del giudicante o da
determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione);
(c) l’esistenza di una radicale incompatibilità con l’iter motivazionale
seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto (non
essendo il giudice di legittimità obbligato a prendere visione degli atti
processuali anche se specificamente indicati, ove non risulti detto

(d) la sussistenza di una prova omessa o inventata, e del c.d.
«travisamento del fatto», ma solo qualora la difformità della realtà
storica sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu ocu/i ed assuma anche
carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi
probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio valutativo non è
sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico e,
quindi, anche contraddittorio).

1.4. In presenza di una doppia conforma affermazione di
responsabilità, va, peraltro, ritenuta l’ammissibilità della motivazione
della sentenza d’appello per relationem

a quella della decisione

impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo
grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già
esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione
del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza
impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente
riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato
il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici,
non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le
motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si
integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al
quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità
della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato
le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado
e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi
logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei

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requisito);

due gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass. pen., sez. II, n.
1309 del 22 novembre 1993, dep. 4 febbraio 1994, Albergamo ed altri,
rv. 197250; sez. III, n. 13926 del 1° dicembre 2011, dep. 12 aprile
2012, Valerio, rv. 252615).

1.5. Infine, anche il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a
tutte le argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse

possono essere disattese per implicito o per aver seguito un differente
iter motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione
effettuata (per tutte, Cass. pen., sez. VI, n. 1307 del 26 settembre
2002, dep. 14 gennaio 2003, Delvai, rv. 223061).

1.6. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione
«oltre ogni ragionevole dubbio», già adoperata dalla giurisprudenza
di questa Corte Suprema (per tutte, cfr. Cass. pen., Sez. un., n. 30328
del 10 luglio 2002, Franzese, rv. 222139), e successivamente recepita
nel testo novellato dell’art. 533 c.p.p. quale parametro cui conformare la
valutazione inerente all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è
opportuno evidenziare che, al di là dell’icastica espressione, mutuata dal
diritto anglosassone, ne costituiscono fondamento il principio
costituzionale della presunzione di innocenza e la cultura della prova e
della sua valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale. Si
è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una
funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in
precedenza, il «ragionevole dubbio» sulla colpevolezza dell’imputato
ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’art. 530,
comma 2, c.p.p., sicché non si è in presenza di un diverso e più rigoroso
criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente
adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, immanente
nel nostro ordinamento costituzionale ed ordinario, secondo cui la
condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale
assoluta della responsabilità dell’imputato (cfr. Cass. pen., sez. II, n.„…..
19575 del 21 aprile 2006, Serino ed altro, rv. 233785; sez. II, n. 1635 7
del 2 aprile 2008, Crisiglione, rv. 239795).

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….

1.7. Alla luce di queste necessarie premesse va esaminato l’odierno

ricorso.

2. Il primo motivo è inammissibile per genericità, oltre che per

manifesta infondatezza.
Il ricorrente contesta genericamente il percorso logico-argomentativo
asserzioni, e senza allegare compiutamente le richiamate dichiarazioni
del DI MEO, e trascura, inoltre, di considerare che la Corte di appello è
pervenuta alla conclusiva affermazione di responsabilità con motivazione
(da apprezzare in uno con la motivazione della sentenza di primo grado,
in presenza di una doppia, conforme affermazione di responsabilità)
esauriente, logica, coerente, e come tale incensurabile in questa sede,
valorizzando, unitamente alle dichiarazioni predette, plurimi elementi
(riconoscimento fotografico assistito da ulteriori riscontri investigativi)
riepilogati a f. 2 s., in ordine ai quali il ricorso tace.

2.1. Quanto al secondo motivo, come agevolmente desumibile ex

actís, il ricorrente non aveva formulato con l’atto di appello alcuna
doglianza in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti accertati,
proponendo la questione per la prima volta in questa sede; peraltro,
l’accertata contraffazione degli elementi identificativi dei veicoli in
questione, con modifica materiale dei dati alfanumerici del numero di
telaio, asportazione della targhetta metallica recante il numero di
matricola del motore e conseguente contraffazione dei certificati di
conformità (cfr. sentenza di primo grado, f. 8), integra all’evidenza il
reato di cui all’art. 648-bis c.p.
Integra, infatti, il delitto di riciclaggio il compimento di operazioni
volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere
difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle
altre utilità, attraverso un qualsiasi espediente che consista nell’aggirare l(
la libera e normale esecuzione dell’attività posta in essere.

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seguito dalla Corte di appello, sulla base di proprie indimostrate

E questa Corte Suprema ha già, di conseguenza, ritenuto che la
sostituzione della targa di un’autovettura – che costituisce il più
significativo, immediato ed utile dato di collegamento della res con il
proprietario che ne è stato spogliato – ovvero la manomissione del suo
numero del telaio, devono ritenersi operazioni tese ad ostacolare
l’identificazione della provenienza delittuosa della cosa ed integrano,
pertanto, il reato di riciclaggio: con l’art. 648-bis c.p., infatti, il
legislatore ha voluto reprimere sia le attività che si esplicano sul bene

trasformandolo o modificandolo parzialmente, sia quelle altre che, senza
incidere sulla cosa ovvero senza alterarne i dati esteriori, sono
comunque di ostacolo per la ricerca della sua provenienza delittuosa
(Sez. II, n. 9026 dell’Il giugno 1997, Pirisi, rv. 208747; conformi, sez.
II, n. 44305 del 25 ottobre 2005, Alaimo, rv. 232770, e sez. II, n.
38581 del 25 settembre 2007, Sergi ed altro, rv. 237989).
In proposito, va, pertanto, affermato il seguente principio:
«Integra il delitto di riciclaggio la condotta del soggetto che alteri i
dati alfanumerici del numero di telaio di un veicolo di provenienza
delittuosa, asporti la targhetta metallica recante il numero di matricola
del motore e proceda conseguentemente alla contraffazione dei
certificati di conformità, poiché queste operazioni mirano ad ostacolare
l’identificazione della provenienza delittuosa della res>>.

E, per quanto riguarda l’ulteriore contestazione della motivazione
attraverso la quale si è giunti all’affermazione di responsabilità,
promiscuamente inseritknella parte conclusiva del motivo, valgono le
considerazioni appena riportate sub § 2 di questa Considerazioni in
diritto.
3. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai

sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali, nonché – apparendo evidente che egli hanno
proposto ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa
(Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto dell’entità di detta
colpa – della somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende a q
titolo di sanzione pecuniaria.
8

/j

P.Q.M•
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle
ammende.
Così deciso il 9 novembre 2012

Il Presidente

Il Co ponente estensore

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