Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7035 del 09/11/2012


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 7035 Anno 2013
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
De Bartolomei Cesare, nato il 12/1/1935 a Roma
Ciolli Sante, nato il 21/12/1947 a Pofi (FR)

avverso la sentenza resa in data 18/11/2010 dalla Corte di appello di
Roma.

Letti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Sergio Beltrani;
udite le conclusioni del pubblico ministero, in persona del sost. proc.
gen. dott. Elisabetta Cesqui, la quale ha chiesto dichiararsi
l’inammissibilità di entrambi i ricorsi, e dell’avv. Franco Condoleo,
difensore di fiducia del primo ricorrente, che ha chiesto raccoglimento
dei motivi di ricorso;
rilevata la regolarità degli avvisi per l’odierna udienza pubblica;

Data Udienza: 09/11/2012

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, ha
confermato, quanto all’affermazione di responsabilità dei ricorrenti DE
BARTOLOMEI (in ordine al reato di cui al capo C: ricettazione di un
modulo in bianco per carta di identità integralmente falso, commessa in
Roma in epoca imprecisata ma prossima al 27 marzo 2002) e CIOLLI (in
ordine al reato di cui al capo F: riciclaggio avente ad oggetto l’importo di

commesso in Roma il 27 marzo 2002) la sentenza resa dal Tribunale
capitolino in data 3 luglio 2009, riducendo le pene a ciascuno irrogate
per effetto delle statuizioni favorevoli inerenti agli ulteriori reati in
origine contestati loro.
2. Avverso tale provvedimento, hanno proposto distinti ricorsi gli
imputati, con l’ausilio dei rispettivi difensori, deducendo i motivi di
seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione,
come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att cod. proc. pen.:
DE BARTOLOMEI:
I – violazione dell’art. 648 c.p. (lamentando che i fatti accertati non
siano stati qualificati ex artt. 476-482 c.p., poiché le risultanze acquisite
non corroborano la tesi che il falso documento de quo sia stato formato
da terzi e ricevuto dall’imputato);
CIOLLI:
I – vizio di motivazione e violazione degli artt. 125, comma 3, e 546
c.p.p. (lamentando carenza ed illogicità della motivazione in assenza di
sicuri riscontri probatori gf all’accusa di riciclaggio contestatagli).
Hanno chiesto conclusivamente l’annullamento dell’impugnata
sentenza con ogni conseguenza di legge.
All’odierna udienza pubblica, le parti presenti hanno concluso come da
epigrafe, e questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti,
pubblicato mediante lettura in udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono in toto inammissibili, perché fondano su motivi non
consentiti in sede di legittimità, dedotti genericamente, o comunque
manifestamente infondati.
2

un assegno bancario incassato da terzi diversi dall’intestatario,

I LIMITI DEL SINDACATO DI LEGITTIMITA’.
1. Con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità, delineati dall’art.
606, comma 1, lettera e), c.p.p., come vigente a seguito delle modifiche
introdotte dalla L. n. 46 del 2006, questa Corte Suprema ritiene che la
predetta novella non abbia comportato la possibilità, per il giudice della
legittimità, di effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della

decisione finalizzata a sovrapporre una propria valutazione a quella già
effettuata dai giudici di merito, dovendo il giudice della legittimità
limitarsi a verificare l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di
merito si è avvalso per sottolineare il suo convincimento. La mancata
rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali può, soltanto
ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d.
travisamento della prova, purché siano indicate in maniera specifica ed
inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di
volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo
da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da
parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od
un esame parcellizzato.

1.11 L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, poi, deve
risultare di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, dovendo il
sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le
ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal senso, conservano
validità, e meritano di essere tuttora condivise, Cass. pen., Sez. un., n.
24 del 24 novembre 1999, Spina, rv. 214794; Sez. un., n. 12 del 31
maggio 2000 n. 12, Jakani, rv. 216260; Sez. un., n. 47289 del 24
settembre 2003, Petrella, rv. 226074).
A tal riguardo, devono tuttora escludersi la possibilità di «un’anali si
orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i singoli att

3

…..,

nonché i motivi di ricorso su di essi imperniati ed a fornire risposte
circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi>> (Cass. pen., sez.
VI, n. 14624 del 20 marzo 2006, Vecchio, rv. 233621; conforme, sez. II,
n. 18163 del 22 aprile 2008, Ferdico, rv. 239789), e la possibilità per il
giudice di legittimità di una rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass. pen., sez. VI, n.
febbraio 2012, Minervini, rv. 253099).
1.2. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art.

606, comma 1, lett, e), c.p.p. intenda far valere il vizio di
«travisamento della prova» (consistente nell’utilizzazione di
un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una
prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od
omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato
motivazionale sottoposto a critica) deve, inoltre, a pena di
inammissibilità (Cass. pen., sez. I, n. 20344 del 18 maggio 2006, Salaj,
rv. 234115; sez. VI, n. 45036 del 2 dicembre 2010, Damiano, rv.
249035):
a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la
doglianza;
b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto
emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione
svolta nella sentenza impugnata;
c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato
probatorio invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale
su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti
nel fascicolo del dibattimento;

4_,

d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e
compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della
(..

motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno
dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.

4

27429 del 4 luglio 2006, Lobriglio, rv. 234559; sez. VI, n. 25255 del 14

1.3. Il giudice di legittimità ha, ai sensi del novellato art. 606 c.p.p., il
compito di accertare (Cass. pen., sez. VI, n. 35964 del 28 settembre
2006, Foschini ed altro, rv. 234622; sez. III, n. 39729 del 18 giugno
2009, Belloccia ed altro, rv. 244623; sez. V, n. 39048 del 25 settembre
2007, Casavola ed altri, rv. 238215; sez. II, n. 18163 del 22 aprile
2008, Ferdico, rv, 239789):
(a) il contenuto del ricorso (che deve contenere gli elementi sopra

(b) la decisività del materiale probatorio richiamato (che deve essere
tale da disarticolare l’intero ragionamento del giudicante o da
determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione);
(c) l’esistenza di una radicale incompatibilità con l’iter motivazionale
seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto (non
essendo il giudice di legittimità obbligato a prendere visione degli atti
processuali anche se specificamente indicati, ove non risulti detto
requisito);
(d) la sussistenza di una prova omessa o inventata, e del c.d.
«travisamento del fatto», ma solo qualora la difformità della realtà
storica sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu muli ed assuma anche
carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi
probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio valutativo non è
sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico e,
quindi, anche contraddittorio).

1.4. In presenza di una doppia conforma affermazione di
responsabilità, va, peraltro, ritenuta l’ammissibilità della motivazione
della sentenza d’appello per relationem

a quella della decisione

impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo
grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già
esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione
del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza
impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente_
riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato
il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logicr,
5

individuati);

non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le
motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si
integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al
quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità
della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato
le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado
e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi

due gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass. pen., sez. II, n.
1309 del 22 novembre 1993, dep. 4 febbraio 1994, Albergamo ed altri,
rv. 197250; sez. III, n. 13926 del 1° dicembre 2011, dep. 12 aprile
2012, Valerio, rv. 252615).

1.5. Infine, anche il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a
tutte le argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse
possono essere disattese per implicito o per aver seguito un differente
iter motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione
effettuata (per tutte, Cass. pen., sez. VI, n. 1307 del 26 settembre
2002, dela. 14 gennaio 2003, Delvai, rv. 223061).

1.6. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione
«oltre ogni ragionevole dubbio>›, già adoperata dalla giurisprudenza
di questa Corte Suprema (per tutte, cfr. Cass. pen., Sez. un., n. 30328
del 10 luglio 2002, Franzese, rv. 222139), e successivamente recepita
nel testo novellato dell’art. 533 c.p.p. quale parametro cui conformare la
valutazione inerente all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è
opportuno evidenziare che, al di là dell’icastica espressione, mutuata dal
diritto anglosassone, ne costituiscono fondamento il principio
costituzionale della presunzione di innocenza e la cultura della prova e
della sua valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale. Si
è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una
funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in
precedenza, il «ragionevole dubbio>> sulla colpevolezza dell’imputato
ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’art. 53

6

logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei

comma 2, c.p.p., sicché non si è in presenza di un diverso e più rigoroso
criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente
adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, immanente
nel nostro ordinamento costituzionale ed ordinario, secondo cui la
condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale
assoluta della responsabilità dell’imputato (cfr. Cass. pen., sez. IL n.
19575 del 21 aprile 2006, Suino ed altro, rv. 233785; sez. II, n. 16357

1.7. Alla luce di queste necessarie premesse vanno esaminati gli
odierni ricorsi.

IL RICORSO DE BARTOLOMEI.
2. Il ricorso DE BARTOLOMEI è inammissibile perché fonda su motivi
non consentiti in sede di legittimità, e comunque manifestamente
infondati.
Come agevolmente desumibile ex actis, il ricorrente non aveva
formulato con l’atto di appello alcuna doglianza in ordine alla
qualificazione giuridica dei fatti accertati, proponendo la questione per la
prima volta in questa sede.
Ciò premesso, una isolata decisione ha in passato sostenuto che la
questione inerente alla qualificazione giuridica del reato, rientrando tra
quelle previste dall’art. 609, comma 2, c.p.p., ben può essere introdotta
per la prima volta in sede di legittimità, sempre che non necessiti di
accertamenti in punto di fatto (Cass. pen., sez. II, n. 45583 del 15
novembre 2005, De Juli, rv. 232773).
Peraltro, a prescindere dal rilievo che, nel caso di specie, la doglianza
formulata dal ricorrente richiederebbe di necessità ulteriori accertamenti
in punto di fatto, ritiene questo collegio di dover aderire al diverso
orientamento per il quale l’unica ipotesi di cognizione da parte del
giudice dell’impugnazione inammissibile rimane, secondo l’insegnamento
delle Sezioni unite di questa Corte Suprema (sentenza n. 32 del 22
novembre 2000,
2000, De Luca, rv. 217266; conforme, sez. IV, n. 25644 del

7

del 2 aprile 2008, Crisiglione, rv. 239795).

21 maggio 2008, Gironi, rv. 240848) quella relativa all’accertamento
dell’abolitio criminis o della dichiarazione di illegittimità costituzionale

della norma incriminatrice formante oggetto dell’imputazione (e
desumibile dall’eccezionale possibilità di incidere in executivis sul
provvedimento contrassegnato dalla formazione del giudicato formale).
L’inammissibilità originaria del 005fibb motivo di ricorso, per la sua
genericità, preclude, dunque, la possibilità attivare il potere-dovere di

ufficio di cui all’articolo 609, comma 2, c.p.p.
Deve aggiungersi, per completezza, che il ricorso si limita a
contestare genericamente la motivazione posta – quale necessaria
premessa inerente all’accertamento del fatto contestato – a fondamento
dell’opzione per detta qualificazione giuridica (cfr. f. 15 s. dell’impugnata
sentenza), riproponendo doglianze già esaminate dalla Corte d’appello,
senza confrontarsi apprezzabilmente con le ragioni del convincimento da
questa espresso. La Corte d’appello ha, infatti, evidenziato, con
motivazione esauriente, logica, coerente, e come tale incensurabile in
questa sede, che il falso documento de quo non poteva presentare
(come invocato dalla difesa) un aspetto grossolano (e non poteva,
quindi, costituire frutto di una falsificazione, per così dire, “artigianale”),
avendo ingannato l’occhio necessariamente esperto del funzionario di
banca che aveva dovuto identificare la donna recatasi ad incassare
l’assegno in questione; aveva di conseguenza ritenuto ragionevolmente
che il modulo della Carta di identità fosse stato prodotto da una
stamperia clandestina, e successivamente immesso sul mercato
clandestino, in bianco, e conseguentemente venuto in disponibilità
dell’imputato, per essere completato con i dati di FEDELI ROSSELLA (la
donna legittimata all’incasso) e la foto della donna in realtà presentatasi
in banca per la riscossione.

4

Così riepilogato il fatto accertato, la sua qualificazione come
ricettazione (legittimata dall’intervenuta ricezione di uno stampato di

carta di identità di provenienza delittuosa perché falso) appare corretta.
Non possono, pertanto, assumere rilievo i reiterati (in appello, in ricorso,

e nella odierna discussione) riferimenti della difesa all’assenza di prova

8

.

che la carta di identità rubata o smarrita, poiché il delitto presupposto
della contestata ed accertata ricettazione non è pacificamente né il furto
né l’appropriazione di cosa smarrita.
2.1. Non può porsi in questa sede la questione della declaratoria della
prescrizione (decennale) eventualmente maturata dopo la sentenza
d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso: la
«l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta
infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare
le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen.>> (Cass.
pen., Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, rv. 217266: nella
specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza
impugnata con il ricorso; conformi, Sez. un., 2 marzo 2005, n. 23428,
Bracale, rv. 231164, e Sez. un., 28 febbraio 2008, n. 19601, Niccoli, rv.
239400).
IL RICORSO CIOLLA.
3. Il ricorso CIOLLA è inammissibile perché fonda su motivi non
consentiti in sede di legittimità, e comunque manifestamente infondati.
Il ricorrente si limita ad una generica non condivisione del
convincimento espresso dalla Corte d’appello, fondata su considerazioni
del tutto assertive e prive di riscontro in atti, senza peraltro invocare a
sostegno del proprio assunto alcun elemento concreto non valutato od
erroneamente valutato, in concreto limitandosi a fornire una interessata
lettura alternativa del acquisite risultanze non legittimata da alcunché.
Al contrario, la Corte d’appello ha spiegato, ancora una volta con
motivazione esauriente, logica, coerente, e come tale incensurabile in
questa sede, le ragioni del proprio convincimento, ritenendo 4yersione
difensiva non attendibile perché documentalmente smentita (cfr., in
particolare, f. 19), ed illustrando le ragioni della piena consapevolezza
che il CIOLLI aveva della provenienza delittuosa del titolo in questione
(f. 19 s.)

9

giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte chiarito che

Né può dubitarsi della correttezza della qualificazione giuridica dei
fatti accertati: questa Corte Suprema ha, infatti, già chiarito che integra
il delitto di riciclaggio la condotta di chi monetizzi presso un istituto di
credito un assegno di provenienza illecita, atteso che la somma di
danaro ricevuta in sostituzione del suddetto titolo appare formalmente di
provenienza lecita (Sez. VI, n. 495 del 15 ottobre 2009, Argiri Carrubba,
rv. 242373).

4. La declaratoria di inammissibilità totale dei ricorsi comporta, ai
sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle
spese processuali, nonché – apparendo evidente che essi hanno
proposto ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa
(Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto dell’entità di detta
colpa – della somma di Euro mille ciascuno in favore della Cassa delle
Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento
delle spese processuali e ciascuno della somma di euro mille alla Cassa
delle ammende.
Così deciso il 9 novembre 2012

Il Componente estensore

Il Presidente

LE STATUIZIONI ACCESSORIE.

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