Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 7033 del 09/11/2012


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 2 Num. 7033 Anno 2013
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Calabrese Filippo, nato il 23/8/1961 a Torremaggiore (FG)
Calabrese Giuseppe, nato il 7/3/1960 a Torrernaggiore (FG)

avverso la sentenza resa in data 22/6/2011 dalla Corte di appello di
Bari.

Letti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Sergio Beltrani;
udite le conclusioni del pubblico ministero, in persona del sost. proc.
gen. dott. Elisabetta Cesqui, la quale ha chiesto dichiararsi
l’inammissibilità del ricorso;
rilevata la regolarità degli avvisi per l’odierna udienza;
«e+

Data Udienza: 09/11/2012

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Bari, con la sentenza indicata in epigrafe, ha
confermato la sentenza resa dal Tribunale di Lucera sez. Apricena in
data 10 gennaio 2007, che aveva dichiarato gli imputati colpevoli dei
reati di invasione di terreni ed appropriazione indebita in danno di
ANTONIO LUIGI CELOZZI, condannando ciascuno alla pena ritenuta di
giustizia, con sospensione condizionale e condono, oltre al risarcimento
separato giudizio, ed alle statuizioni accessorie sulle spese processuali.
La condotta di invasione aveva riguardato un fondo che il CELOZZI si
era aggiudicato all’incanto, nell’ambito di una procedura esecutiva
immobiliare in danno degli odierni ricorrenti; l’appropriazione indebita
aveva riguardato la raccolta delle olive pendenti dagli ulivi piantati nel
predetto fondo; entrambi i reati avevano avuto luogo in Torremaggiore
(FG) il 4 ottobre 2003.
2. Avverso tale provvedimento, hanno proposto ricorso gli imputati,
con l’ausilio del difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati nei
limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art.
173, comma 1, disp. att. c.p.p.:
I – violazione degli artt. 646 e 633 c.p., con relativo vizio di
motivazione (lamentando che la Corte territoriale non avrebbe spiegato
in quale momento l’aggiudicatario aveva acquisito il possesso del fondo,
ed asserendo che il verbale di immissione in possesso, reso all’esito
della procedura esecutiva, era di molto successivo rispetto alla data
della contestata invasione del fondo e dell’appropriazione dei frutti ivi
pendenti: in difetto, la p.o. non sarebbe neanche legittimata alla querela
per i due reati in questione);
Il – violazione degli artt. 157 e 160 c.p., con relativo vizio di
motivazione (lamentando l’omessa declaratoria di estinzione dei reati
per prescrizione: la Corte di appello non avrebbe spato le ragioni del
rigetto della relativa richiesta, pur in difetto di atti interruttivi, e posto
che nessuna dichiarazione di interruzione della prescrizione era mai
stata effettuata in precedenza);

2

dei danni in solido in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in

III – violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. in relazione all’art. 6 I. n.
251 del 2005, nella parte in cui non prevede che le norme introdotte con
la I. n. 251 del 2005 cit. non possono applicarsi ai processi in corso
sebbene siano norme di natura sostanziale e non processuale, che in
applicazione del principio del

favor rei devono applicarsi anche ai

processi in corso.
Hanno chiesto conclusivamente l’annullamento dell’impugnata

All’odierna udienza pubblica, la parte presente ha concluso come da
epigrafe, e questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti,
pubblicato mediante lettura in udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è in toto inammissibile, perché fonda su motivi non
consentiti in sede di legittimità, dedotti genericamente, o comunque
manifestamente infondati.

I LIMITI DEL SINDACATO DI LEGITTIMITA1 .

1. Con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità, delineati dall’art.
606, comma 1, lettera e), c.p.p., come vigente a seguito delle modifiche
introdotte dalla L. n. 46 del 2006, questa Corte Suprema ritiene che la
predetta novella non abbia comportato la possibilità, per il giudice della
legittimità, di effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della
decisione finalizzata a sovrapporre una propria valutazione a quella già
effettuata dai giudici di merito, dovendo il giudice della legittimità
limitarsi a verificare l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di
merito si è avvalso per sottolineare il suo convincimento. La mancata
rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali può, soltanto
ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il mi.
travisamento della prova, purché siano indicate in maniera specifica ed
inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di
volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo
da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da
parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od
un esame parcellizzato.

3

sentenza con ogni conseguenza di legge.

1.1. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, poi, deve

risultare di spessore tale da risultare percepibile ictu ocull, dovendo il
sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal senso, conservano
validità, e meritano di essere tuttora condivise, Cass. pen., Sez. un., n.
24 del 24 novembre 1999, Spina, rv. 214794; Sez. un., n. 12 del 31
maggio 2000 n. 12, Jakani, rv. 216260; Sez. un., n. 47289 del 24
settembre 2003, Petrella, rv. 226074).
A tal riguardo, devono tuttora escludersi la possibilità di «un’analisi
orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti,
nonché i motivi di ricorso su di essi imperniati ed a fornire risposte
circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi>> (Cass. pen., sez.

VI, n. 14624 del 20 marzo 2006, Vecchio, rv. 233621; conforme, sez. II,
n. 18163 del 22 aprile 2008, Ferdico, rv. 239789), e la possibilità per il
giudice di legittimità di una rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass. pen., sez. VI, n.
27429 del 4 luglio 2006, Lobriglio, rv. 234559; sez. VI, n. 25255 del 14
febbraio 2012, Minervini, rv. 253099).
1.2. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art.

606, comma 1, lett. e), c.p.p. intenda far valere il vizio di
«travisamento della prova» (consistente nell’utilizzazione di
un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una
prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od
omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato
motivazionale sottoposto a critica) deve, inoltre, a pena di
Inammissibilità (Cass. pen., sez. I, n. 20344 del 18 maggio 2006, Salaj,
rv. 234115; sez. VI, n. 45036 del 2 dicembre 2010, Damiano, rv.
249035):

4

decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le

a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la
doglianza;
b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto
emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione
svolta nella sentenza impugnata;
c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato
su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti
nel fascicolo del dibattimento;
d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e
compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della
motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno
dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.
1.3. Il giudice di legittimità ha, ai sensi del novellato art. 606 c.p.p., il

compito di accertare (Cass. pen., sez. VI, n. 35964 del 28 settembre
2006, Foschini ed altro, rv. 234622; sez. III, n. 39729 del 18 giugno
2009, Belloccia ed altro, rv. 244623; sez. V, n. 39048 del 25 settembre
2007, Casavola ed altri, rv. 238215; sez. II, n. 18163 del 22 aprile
2008, Ferdico, rv. 239789):
(a) il contenuto del ricorso (che deve contenere gli elementi sopra
individuati);
(b) la decisività del materiale probatorio richiamato (che deve essere
tale da disarticolare l’intero ragionamento del giudicante o da
determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione);
(c) l’esistenza di una radicale incompatibilità con l’iter motivazionale
seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto (non
essendo il giudice di legittimità obbligato a prendere visione degli atti
processuali anche se specificamente indicati, ove non risulti detto
requisito);
(d) la sussistenza di una prova omessa o inventata, e del c.d.
«travisamento del fatto», ma solo qualora la difformità della reale

5

probatorio invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale

storica sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu °cui/ ed assuma anche
carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi
probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio valutativo non è
sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico e,
quindi, anche contraddittorio).

1.4.

In presenza di una doppia conforma affermazione di

della sentenza d’appello

per relationem

a quella della decisione

impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo
grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già
esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione
del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza
impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente
riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato
il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici,
non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le
motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si
integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al
quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità
della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato
le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado
e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi
logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei
due gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass. pen., sez. II, n.
1309 del 22 novembre 1993, dep. 4 febbraio 1994, Albergamo ed altri,
rv. 197250; sez. III, n. 13926 del 1° dicembre 2011, dep. 12 aprile
2012, Valerio, rv. 252615).

1.5. Infine, anche il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a

tutte le argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse
possono essere disattese per implicito o per aver seguito un differente

iter motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione

6

responsabilità, va, peraltro, ritenuta l’ammissibilità della motivazione

effettuata (per tutte, Cass. pen., sez. VI, n. 1307 del 26 settembre
2002, dep. 14 gennaio 2003, Delvai, rv. 223061).

1.6. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione

«oltre ogni ragionevole dubbio>>, già adoperata dalla giurisprudenza
di questa Corte Suprema (per tutte, cfr. Cass. pen., Sez. un., n. 30328
del 10 luglio 2002, Franzese, rv. 222139), e successivamente recepita
valutazione inerente all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è
opportuno evidenziare che, al di là dell’icastica espressione, mutuata dal
diritto anglosassone, ne costituiscono fondamento il principio
costituzionale della presunzione di innocenza e la cultura della prova e
della sua valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale. Si
è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una
funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in
precedenza, il «ragionevole dubbio>> sulla colpevolezza dell’imputato
ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’art. 530,
comma 2, c.p.p., sicché non si è in presenza di un diverso e più rigoroso
criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente
adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito il principio, immanente
nel nostro ordinamento costituzionale ed ordinario, secondo cui la
condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale
assoluta della responsabilità dell’imputato (cfr. Cass. pen., sez. II, n.
19575 del 21 aprile 2006, Serino ed altro, rv. 233785; sez. II, n. 16357
del 2 aprile 2008, Crisiglione, rv. 239795).
1.7. Alla luce di queste necessarie premesse vanno esaminati gli

odierni ricorsi.

IL RICORSO.
2. Il primo motivo è inammissibile per genericità, e comunque per

manifesta infondatezza, reiterando, inoltre, doglianze che già avevano
costituito motivo di

appello,

senza apprezzabilmente prendere ine.„….

considerazione – per confutarle – le argomentazioni della Cort
territoriale.
7

nel testo novellato dell’art. 533 c.p.p. quale parametro cui conformare la

I ricorrenti non indicano la data dell’invocato verbale di immissione in
possesso, né lo allegano al ricorso, come sarebbe stato doveroso, con la
conseguenza che la relativa doglianza risulta del tutto generica.
Peraltro, la Corte d’appello ha spiegato, con motivazione esauriente,
logica, coerente, e come tale incensurabile in questa sede, le ragioni del
proprio convincimento (cfr. f. 5 ss.), condivisibilmente concludendo che,
«in presenza del possesso giuridico e di fatto del fondo da parte
odierni imputati nel fondo stesso agli inizi del mese di ottobre per
raccogliere le olive, integra sicuramente condotta di invasione di terreni,
che si connota per il requisito dell’arbitrarietà e non per il profilo di
violenza, che può anche mancare».
3. Il secondo ed il terzo motivo – che possono essere esaminati

congiuntamente – sono inammissibili perché manifestamente infondati,
ancora una volta reiterando, inoltre, doglianze che già avevano
costituito motivo di appello, senza apprezzabilmente prendere in
considerazione – per confutarle – le argomentazioni della Corte
territoriale, oltre che in parte per carenza di interesse.
La data dei commessi reati è fissata dall’imputazione contestata agli
odierni ricorrenti al 4 ottobre 2003; ne consegue che, tenuto conto del
termine massimo di anni sette e mesi sei (computato in relazione agli
eventi interruttivi sopravvenuti ex art. 160 c.p., che non necessitavano
di specifica declaratoria di interruzione), la prescrizione dovrebbe
ritenersi intervenuta a far data dal 4 aprile 2011.
La Corte d’appello fa, peraltro, menzione di due sospensioni del corso
della prescrizione, entrambe dipendenti dall’accoglimento di istanze di
rinvio per legittimo impedimento del difensore degli imputati, dal 4
maggio al 22 settembre 2005, e dal 12 aprile al 27 settembre 2006,
precisando che nel primo caso, essendo stato il rinvio disposto in epoca
antecedente all’entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, deve
computarsi l’intero periodo di sospensione, pari a mesi quattro e giorni
diciotto, nell’altro caso, essendo il rinvio intervenuto dopo l’entrata in

8

dell’aggiudicatario dopo il decreto di trasferimento, l’ingresso degli

vigore della predetta legge, la sospensione può operare soltanto
limitatamente a giorni sessanta.
I ricorrenti non contestano in alcun modo – in fatto – i predetti
riferimenti; l’unica doglianza – in diritto -, formalizzata con il terzo
motivo, non è all’apparenza sorretta da un interesse meritevole di tutela
in questa sede poiché, pur se si accedesse alla richiesta di limitare il
computo dei periodi di sospensione a giorni sessanta + sessanta, il

2011, ben dopo la data di emissione della sentenza d’appello (deliberata
il 22 giugno 2011), che deve ritenersi intervenuta nel momento della
lettura del dispositivo, non in quello, eventualmente successivo del
deposito della motivazione, in quanto è nel momento della lettura del
dispositivo che si accerta la responsabilità dell’imputato e gli si infligge
la pena, mentre attraverso il successivo deposito della motivazione gli
vengono comunicate, a fini processuali, le ragioni della condanna
(argomenta da Sez. V, n. 7697 del 16 gennaio 2009, Vener ed altro, rv.
242966; sez. III, n. 38836 del 10 luglio 2008, Papa, rv. 241291; sez.
VI, n. 31702 del 26 maggio 2008, Serafin ed altro, rv. 240607; sez. V,
n. 46231 del 4 novembre 2003, rv. 227575; sez. III, n. 12823 del 20
ottobre 1980, Garetti, rv. 146949).
Alla data della sentenza d’appello, i reati non erano, pertanto,
prescritti.
4. Né può porsi in questa sede la questione della declaratoria della
prescrizione ebelteM4 eventualmente maturata dopo la sentenza
d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso: la
giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte chiarito che

«l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta
infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare
le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen.>> (Cass.
pen., Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, rv. 217266: nella
specie la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza
impugnata con il ricorso; conformi, Sez. un., 2 marzo 2005, n. 23428,

9

termine di prescrizione verrebbe a scadenza a far data dal 2 agosto

Bracale, rv. 231164, e Sez. un., 28 febbraio 2008, n. 19601, Niccoli, rv.
239400).
LE STATUIZIONI ACCESSORIE.
5. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai
sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle
spese processuali, nonché – apparendo evidente che essi hanno
proposto ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa

colpa – della somma di Euro mille ciascuno in favore della Cassa delle
Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento
delle spese processuali e ciascuno della somma di euro mille alla Cassa
delle ammende.
Così deciso il 9 novembre 2012

Il Com

nente estensore

Il Presidente

(Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto dell’entità di detta

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA