Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 698 del 03/12/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 698 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: LEO GUGLIELMO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di fiducia nell’interesse di
Giordano Domenico, nato a Albenga il 02/04/1973

avverso la sentenza della Corte di appello di Genova in data 13/12/2012

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta in pubblica udienza dal consigliere Guglielmo Leo;
udito il Procuratore generale, in persona del sostituto dott. Roberto Aniello, che
ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. È impugnata la sentenza della Corte di appello di Genova n. 3318/12 del
13/12/2012, con la quale Domenico Giordano è stato ritenuto responsabile dei
delitti di violenza o minaccia a pubblico ufficiale (art. 336 cod. pen.) e di
danneggiamento, aggravato in quanto commesso su cosa destinata a pubblico
servizio o a pubblica utilità (art. 635, secondo comma, n. 3, in relazione all’art.
625, n. 7, cod. pen.).
Secondo la ricostruzione dei fatti accolta nella sentenza impugnata, Domenico
Giordano aveva usato violenza e minaccia nei confronti di un agente di polizia
municipale, al fine di impedire il compimento di atti del suo ufficio, e tra l’altro

Data Udienza: 03/12/2013

aveva colpito l’interlocutore in guisa da far cadere in terra la radio di servizio che
lo stesso agente stava utilizzando per chiamare rinforzi, con conseguente
danneggiamento dell’apparecchio.
A proposito della aggravante contestata riguardo al delitto di cui all’art. 635
cod. pen., la Corte negava si «possa sostenere che non costituisca bene
destinato a pubblico servizio la radio in dotazione di un vigile urbano, peraltro
utilizzata proprio in quel momento per motivi di servizio».

lettere b) ed e) , cod proc. pen., la difesa del Giordano denuncia l’erronea
applicazione dell’aggravante di cui all’art. 625, n. 7, cod. pen., e comunque
carenza di motivazione in ordine alla relativa integrazione.
La Corte territoriale, di fronte ad un argomentato motivo di appello, avrebbe
replicato le affermazioni assertive del giudice di prime cure, e comunque
erroneamente applicato la norma sostanziale, non bastando per la destinazione a
pubblico servizio il fatto che un oggetto sia utilizzato da un pubblico ufficiale
nello svolgimento delle mansioni affidategli.
Con un secondo motivo di impugnazione, proposto in base ai medesimi
parametri, il ricorrente denuncia violazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen., e
comunque carenza, contraddittorietà o illogicità della motivazione quanto al
diniego delle attenuanti generiche ed alla concreta determinazione del
trattamento sanzionatorio.
Il riferimento ai numerosi e gravi precedenti penali dell’imputato, pure
sussistenti, sarebbe mera clausola di stile, e la Corte territoriale avrebbe
contraddittoriamente ignorato, d’altra parte, la circostanza che il Giordano, come
riconosciuto dal giudice di prime cure, aveva recentemente «cambiato vita»,
tanto da definire i fatti di causa come un «incidente di percorso».

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile, e dalla relativa declaratoria discende la
condanna del ricorrente al pagamento, oltre che delle spese processuali, di una
somma in favore della Cassa delle ammende, che la Corte stima di quantificare
in € 1.000, 00.

2. Il primo dei motivi a sostegno dell’impugnazione è manifestamente
infondato. A parere del Difensore, «il solo fatto» che un pubblico ufficiale utilizzi
un bene strumentale al suo servizio (una radio), e nello svolgimento delle sue
funzioni, «non comporta certamente che detto radiotelefono possa acquistare

2

2. Con il primo motivo di ricorso, proposto a norma dell’art. 606, comma 1,

ipso facto la qualifica di cosa destinata a pubblico servizio». Per quel che si
comprende, la soluzione negativa sarebbe suggerita dall’esistenza di un diritto di
proprietà privata (in capo all’Amministrazione municipale) sul bene affidato
all’agente di polizia, il quale lo utilizzerebbe per proprio conto, non ammettendo
a fruirne la generalità dei consociati.
Appare ovvia, in primo luogo, l’irrilevanza del diritto di proprietà gravante
sul bene preso in considerazione, condizione che si attaglia alla generalità delle
cose destinate a pubblico servizio. È chiaramente arbitraria, d’altra parte, la

strumentali, si incentri sull’accessibilità dei beni stessi ad opera della generalità
dei consociati. Ciò che rileva è la qualità del servizio che viene organizzato anche
attraverso la destinazione di risorse umane e materiali, e che è destinato
appunto alla soddisfazione di un bisogno riferibile alla generalità dei consociati. I
beni indicati al n. 7 dell’art. 625 cod. pen. non si identificano certo perché la loro
fruizione è pubblica, ma per la loro destinazione alla resa di un servizio fruibile
dal pubblico.
Tale principio pervade l’intera giurisprudenza in materia. È infatti cosa
destinata a pubblico servizio il carburante esistente nel serbatoio di un mezzo
utilizzato per trasporti di linea (Sez. 5, n. 10944 del 26/01/2011, Napoli, Rv.
249514), ed altrettanto si è stabilito anche per il denaro custodito nei locali di
una azienda che assicura il servizio postale (Sez. 4, n. 39257 del 20/09/2011,
Christoph, Rv. 251435). La sottrazione di materiale ferroviario utile o necessario
per il servizio di trasporto pubblico comporta l’integrazione dell’aggravante

de

qua non perché si tratta di beni (per altro non necessariamente) utilizzati da un
numero indiscriminato di persone, ma perché pregiudica l’efficienza del servizio
cui sono strumentali (Sez. 5, n. 13659 del 17/01/2011, Termine, Rv. 250163).
Venendo al caso di specie, si discute di un bene di appartenenza pubblica,
strettamente strumentale all’esercizio di funzioni pubbliche qualificate come
quelle di polizia municipale, ed in concreto utilizzato, al momento del fatto, per
l’esercizio di dette funzioni. Si può ammettere che la Corte territoriale ha
respinto in termini assai concisi la tesi difensiva, ma si deve constatare come
non sia mancata l’allusione ai dati di fatto essenziali per la qualificazione
giuridica, invero ovvia, della fattispecie.

3. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente tende ad ottenere,
inammissibilmente, che la Corte di legittimità sostituisca una propria valutazione
a quella operata dal Giudice di merito riguardo al riconoscimento di attenuanti
generiche. La stessa considerazione varrebbe riguardo ad una doglianza
concernente la quantificazione della pena nell’ambito dei valori edittali, la quale,

3

vi,-

pretesa che la nozione di «pubblico servizio», in rapporto alla destinazione beni

comunque, risulterebbe esposta in termini tanto generici da risultare per ciò
stesso inammissibile.
Come riconosce la stessa difesa del ricorrente, la deliberazione in merito alla
ricorrenza di fattori rilevanti ex art. 62-bis deve essere compiuta considerando i
fattori elencati all’art. 133 cod. pen. E ciò non implica certo, per pacifica
giurisprudenza, che nella relativa motivazione il giudice debba partitamente
considerare ognuno dei fattori in questione, essendo sufficiente che indichi quello
o quelli che reputa decisivi, per un verso o per l’altro.

ove il riconoscimento delle attenuanti generiche veniva invocato, in sostanza, a
titolo di una «ulteriore benevola determinazione», da aggiungere alla già
disposta disapplicazione della recidiva. Motivi siffatti sono stati disattesi, in modo
certamente sintetico, senza trascurare le due indicazioni essenziali alla
ricostruzione del ragionamento seguito dal giudice: che nella specie non si
intravedeva alcun profilo meritevole di positiva valutazione a norma dell’art. 133
cod. pen. (profilo neppure indicato dall’appellante, al di là della citazione del
rilievo utilizzato dal primo giudice per disapplicare la recidiva) e che, per altro
verso, si riscontravano «numerosi e gravi precedenti penali dell’imputato».
Riferimento sintetico ma inequivocabile, quest’ultimo, ad una preclusione d’esito
favorevole del giudizio in ragione di quanto disposto al n. 2 del comma 2 dell’art.
133 cod. pen., nell’assenza, appunto, di altri fattori suscettibili di positivo
apprezzamento.
Dunque una motivazione adeguata alle necessità del caso di specie, la
critica alla quale si rileva manifestamente infondata, e si risolve, per altro verso,
in una censura di merito non ammissibile nella sede presente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 3/12/2013.

Nel caso di specie la Corte territoriale si trovava a valutare motivi di appello

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