Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 697 del 03/12/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 697 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: LEO GUGLIELMO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di fiducia nell’interesse di
Antonelli Enzo, nato a Fondi il 15/10/1963

avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli in data 18/02/2013

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione svolta dal consigliere Guglielmo Leo;
udito il Procuratore generale, in persona del sostituto dott. Roberto Aniello, che
ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;

RITENUTO IN FATTO

1. È impugnata la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 1032/13 del
18/02/2013, pronunciata nel giudizio di rinvio conseguente al parziale
annullamento di altra sentenza della stessa Corte di appello di Napoli.
Con tale ultima decisione, Enzo Antonelli era stato riconosciuto colpevole del
delitto di associazione finalizzata al narcotraffico (art. 74 del d.P.R. 09/10/1990,
n. 309) e di altri reati, con pena quantificata, in parziale riforma della sentenza
di primo grado, nella misura di anni sette e mesi quattro di reclusione.
Nell’occasione, erano state anche applicate, per la durata di tre anni, le pene
accessorie del divieto di espatrio e del ritiro della patente di guida.

LQ,

Data Udienza: 03/12/2013

Impugnata la sentenza d’appello, questa Suprema Corte (sez. II, n. 37703 del
26/09/2012) ne aveva disposto l’annullamento proprio riguardo alle sanzioni
accessorie di cui all’art. 85 del d.P.R. n. 309 del 1990. Il Giudice di merito,
infatti, aveva ritenuto applicabili ex lege le citate sanzioni, contrariamente al
principio, enunciato in sede di annullamento, per il quale si tratta invece di pene
applicate discrezionalmente dal giudice, il quale è dunque tenuto a motivare le
determinazioni assunte al proposito.
Decidendo in sede di rinvio, con la sentenza oggi impugnata, la Corte di

e del ritiro della patente di guida, argomentando sulla gravità dei fatti e sulla
ritenuta pericolosità dell’interessato.

2. Con un primo motivo di impugnazione, dedotto a norma dell’art. 606,
comma 1, lettere b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 27 della
Costituzione, all’art. 85 del d.P.R. n. 309 del 1990 ed all’art. 133 cod. pen., il
ricorrente lamenta un vizio di motivazione illogica e contraddittoria, perché il
severo giudizio espresso dalla Corte territoriale contrasterebbe con quello sotteso
alla determinazione della pena principale, ritenuta moderata e corrispondente
all’effettiva gravità dei fatti.
Con il secondo motivo, fondato sui medesimi parametri, il ricorrente denuncia
violazione di legge in ragione dell’omessa determinazione della durata delle pene
accessorie applicate: è citata adesivamente giurisprudenza secondo cui, nei casi
in cui la legge preveda una durata minima ed una massima per la sanzione
accessoria, non si applica il criterio di conformazione alla pena principale indicato
all’art. 37 cod. pen., ed il giudice deve piuttosto determinare la durata della
sanzione in concreto irrogata, nell’ambito dei valori edittali, facendo motivato
ricorso ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
La Corte territoriale, compiendo il giudizio discrezionale demandatole a
proposito dell’applicazione delle pene accessorie previste dall’art. 85 del d.P.R.
309/1990, ha ritenuto che i fatti presentassero gravità tale da legittimare
l’irrogazione delle sanzioni in questione.
Si tratta in effetti, nella specie, di un reato associativo, volto a commettere
fatti per cui è stata esclusa, anche quanto ai reati specificamente ascritti
all’odierno ricorrente, l’applicabilità del comma 5 dell’art. 73 (e dunque del
comma 6 dell’art. 74) del T.u. stup. Il riferimento ad una pluralità di episodi di
2

appello napoletano ha ritenuto di confermare l’applicazione del divieto di espatrio

spaccio non è contraddetto, come asserito nel ricorso, dal carattere unitario
dell’imputazione relativa alle condotte addebitate ad Antonelli, poiché detta
imputazione comprende, appunto, una pluralità di distinte operazioni di acquisto
di sostanza stupefacente destinata al successivo commercio.
Né la valutazione di gravità dei fatti, specificamente condotta al fine di
stabilire se le pene accessorie dovessero essere applicate (va ricordato che la
legge in astratto le consente anche per una singola e lieve fattispecie di
detenzione illecita), può considerarsi contraddetta dal livello della sanzione

mesi). Si tratta in effetti di pena che può considerarsi contenuta solo in
riferimento ai livelli elevatissimi delle previsioni edittali concernenti il reato
associativo, ed è tra l’altro il frutto della diminuzione di un terzo connessa alla
definizione del giudizio con il rito abbreviato.
In ogni caso, il riferimento ad una fattispecie associativa non attenuata e
alla pluralità dei delitti-fine integra una motivazione sufficiente ad un giudizio di
merito che, nella presente sede, non può essere per altro verso sindacato.

2. È fondato invece il secondo motivo di ricorso.
Il ricorrente cita, per vero, una giurisprudenza non consolidata, e comunque
pertinente ad una questione parzialmente diversa da quella che si pone nel caso
di specie. Infatti, è discusso soprattutto se la regola dell’art. 37 cod. pen. secondo cui la durata della pena accessoria deve essere pari a quella della pena
principale se il legislatore non ha determinato espressamente detta durata debba essere applicata quando, relativamente ad una determinata sanzione, la
legge indichi una misura variabile, compresa tra un minimo ed un massimo
espressamente stabiliti.
Secondo un primo orientamento, proprio la variabilità introdotta da previsioni
del genere escluderebbe che la durata sia fissata dal legislatore, e dunque
implicherebbe l’applicazione in misura pari a quella della pena principale, fermi
fissati i limiti edittali verso l’alto e verso il basso (Sez. 1, n. 22067 del
01/02/2011, Hu Zhiyu, Rv. 250227; Sez. 5, n. 29780 del 30/06/2010,
Ramunno, Rv. 248258; Sez. 3, n. 41874 del 09/10/2008, Azzani, Rv. 241410).
Stando però ad un secondo orientamento, cui si riferisce la decisione citata
dal ricorrente, l’esistenza di un cursore edittale tra minimo e massimo
richiederebbe una valutazione autonoma e discrezionale da parte del giudice, che
allo scopo dovrebbe operare la quantificazione in base ai criteri generali stabiliti
dall’art. 133 cod. pen. (Sez. fer., n. 35729 del 01/08/2013, Agrama, n.m.; Sez.
III, n. 36591 del 04/04/2012, Bulgari, n.m.; Sez. 3, n. 42889 del 15/10/2008,

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(9,

principale ormai definitivamente irrogata (reclusione per sette anni e quattro

Di Vincenzo, Rv. 241538; Sez. 3, n. 25229 del 17/04/2008, Ravara, Rv. 240256;
Sez. 5, n. 3885 del 25/02/1972, Giachi, Rv. 121184).
Un contrasto analogo non si riscontra, per la verità, nelle pronunce
concernenti casi completamente sovrapponibili a quello di specie, ove il
legislatore fissa solo un tetto massimo di durata della sanzione accessoria. Il
principio della misura corrispondente a quella della pena principale, secondo il
disposto dell’art. 37 cod. pen., è stato affermato in effetti, senza eccezioni, sia
riguardo a previsioni contenute nella normativa fallimentare, sia – in una sola

d.P.R. n. 309 del 1990 (Sez. 1, n. 19807 del 22/04/2008, Ponchia, Rv. 240006;
per quanto attiene agli artt. 216 e 217 del r.d. n. 267/1942 si vedano Sez. 5, n.
23606 del 16/02/2012, Ciampini, Rv. 252960; Sez. 5, n. 23720 del 31/03/2010,
Travaini, Rv. 247507; Sez. 5, n. 13579 del 02/03/2010, Ografo, Rv. 246712;
Sez. 5, n. 4727 del 15/03/2000, Albini, Rv. 215987; Sez. 5, n. 2205 del
26/11/1986, Ciufo, Rv. 175171).
Ritiene tuttavia il Collegio che le ragioni poste a fondamento della soluzione
contraria, nel caso di previsioni con doppia soglia edittale, siano apprezzabili
anche nelle ipotesi qui considerate.
La soluzione è stata più volte argomentata, infatti, considerando che il tenore
letterale dell’art. 37 cod. pen. consentirebbe l’applicazione della relativa
disciplina «soltanto quando la legge non indichi né una misura fissa, né un
minimo ed un massimo» (sentenza n. 42889/2008, cit.; nello stesso senso la
sentenza n. 25229/2008, cit.). La considerazione induce a valutare
problematicamente anche la compatibilità tra la nozione di pena a durata non
espressamente indicata e l’esplicita previsione di un massimo edittale.
Compatibilità non confermata dall’ultimo inciso della norma, la cui sola funzione
è proprio quella di rinviare ai limiti generali di durata di ciascuna specie di pena
accessoria, sul presupposto che nella fattispecie concreta non siano indicati.
In un quadro obiettivamente segnato da incongruenze e difficoltà di raccordo,
sembra poi decisivo l’argomento, di portata generale, espresso talvolta dalla
giurisprudenza richiamata, e cioè la necessità di orientare il sistema, alla luce dei
principi di colpevolezza e proporzionalità, in senso contrario a forme di
automatismo sanzionatorio (si veda in particolare la citata sentenza n.
36591/12). E che di automatismo si tratterebbe nella specie, applicando la
soluzione prevalente, risulta chiaro considerando che la logica di quantificazione
di ciascuna delle pene principali non può essere estesa

sic et simpliciter a

ciascuna delle pene accessorie, a maggior ragione quando, come nella specie, la
stessa applicazione della seconda è affidata alla discrezionalità del giudice.

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s2_,

occasione e indirettamente – in rapporto alle fattispecie di cui all’art. 85 del

Dunque la sentenza impugnata va annullata in parte qua, con rinvio a diversa
sezione della Corte d’appello di Napoli, affinché provveda a determinare la durata
delle pene accessorie di cui al comma 1 dell’art. 85 del d.P.R. n. 309 del 1990,
valendosi dei criteri di valutazione indicati all’art. 133 cod. pen.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della

rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di
Napoli.
Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso il 3/12/2013.

durata della pena accessoria di cui all’art. 85 del d.P.R. 9/10/1990, n. 309, e

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