Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6962 del 14/11/2012


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 6962 Anno 2013
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) MEMOLI ROBERTO, N. IL 29/7/1981,
avverso la sentenza n. 1917/2011 pronunciata dalla Corte di Appello di
Catanzaro del 6/2/201.2;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
udite le conclusioni del P.G. Dott. Oscar Cedrangolo, che ha chiesto per il rigetto

del ricorso;
udite le conclusioni del difensore dell’imputato, avv. Maurizio Nucci, che ha
chiesto raccoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Catanzaro ha riformato la sentenza pronunciata nei
confronti di Memoli Roberto dal Giudice per l’udienza preliminare presso il
Tribunale di Cosenza all’esito di rito abbreviato, con la quale lo si era ritenuto
colpevole del delitto di detenzione per uso non esclusivamente personale di due

distinti ed ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti del tipo hashish

e

condannato, alla pena di anni cinque di reclusione ed euro 60.000 di multa,
concesse le attenuanti generiche, esclusa l’aggravante di cui all’art. 80 T.U.
Stup., ritenuta la continuazione tra i due reati oggetto di contestazione, e con la
diminuente per il rito abbreviato.

Data Udienza: 14/11/2012

La Corte distrettuale, infatti, ha escluso la duplicità dei reati e quindi
l’aumento derivante dall’applicazione dell’art. 81 cpv. cod. pen. ed ha
rideterminato la pena in anni tre mesi sei e giorni venti di reclusione ed euro
46.666 di multa, sostituendo altresì la pena dell’interdizione perpetua dai
pubblici uffici in quella temporanea per la durata di anni cinque, confermando nel
resto la sentenza impugnata.
2. Il 4 gennaio 2011, a seguito di perquisizione seguita nell’abitazione
all’interno di un mobile sito nella camera da letto un pugnale con lama intrisa di
residui di sostanza stupefacente. Nell’abitazione veniva rinvenuto anche un
telecomando per l’apertura a distanza di un cancello automatico ed alcune chiavi
che, secondo le indicazioni date dall’imputato al momento, avrebbero dovuto
essere, il primo, non funzionante e, le seconde, pertinenti ad una casa sita in
Camigliatello. Poiché gli investigatori avevano conoscenza della disponibilità da
parte dell’imputato di un’abitazione in Rende, i militari si portavano con il Memoli
presso quest’ultimo immobile, ove verificavano che il telecomando apriva il
cancello automatico che dava accesso allo spazio condominiale attiguo
all’abitazione e che le chiavi aprivano la porta di questa.
Nel corso della perquisizione che seguiva venivano rinvenuti tre panetti di
hashish avvolti in carta igienica, contenuti all’interno di una scatola posta nei
pressi del portone d’ingresso dell’abitazione; un bilancino di precisione rinvenuto
all’interno del locale adibito a tavernetta; una forbice multiuso con la lama intrisa
di tracce di hashish, posta sul tavolo della cucina dell’abitazione; due buste di
plastica contenenti 40 panetti di hashish avvolti in cellophane suddivisi in cinque
blocchi, posti all’interno di un contenitore per olio collocato su una pedana di
legno che era in prossimità del muro di recinzione condominiale sul lato
posteriore dell’area di pertinenza della villetta. Sotto la medesima pedana veniva
rinvenuto un ulteriore contenitore con all’interno circa 50 grammi di cocaina
avvolta in cellophane. Il 7 gennaio i militari ritornavano presso l’abitazione e
procedendo ancora nella perquisizione trovavano occultati sotto una catasta di
legna da ardere alcuni panetti di hashish, uno dei quali parzialmente iniziato.
Gli accertamenti successivi facevano emergere che tracce di cocaina e di
hashish erano presenti sia sul coltello che sulle forbici cadute in sequestro.
A fronte di tale quadro fattuale, la Corte di appello ha condiviso il giudizio
espresso dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Cosenza
relativamente all’appartenenza dello stupefacente all’Imputato.
Ad avviso della Corte territoriale tanto il coltello che la forbice recavano
tracce del medesimo tipo di sostanze che erano poi state rinvenute nel corso

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dell’imputato posta in via Nenni, in Castrolibero, i Carabinieri rinvenivano

della perquisizione. Pur non essendo disponibile la prova che si trattasse di
tracce relative proprio alle sostanze sequestrate, non vi può essere dubbio al
riguardo, atteso che l’imputato non aveva fornito una spiegazione alternativa
sulla provenienza delle stesse.
La Corte di Appello ha valutato quale elemento di reità anche il fatto che
l’imputato avesse negato che il telecomando e le chiavi fossero riferibili alla
villetta di Rende, poiché questo dimostra la volontà di mantenere ignoto agli
investigatori il luogo ove poi vennero trovate le sostanze stupefacenti.
bilancino rinvenuto fosse idoneo alla pesatura di alimenti, visto che poteva
essere utilizzato anche come strumento per la suddivisione delle sostanze.
Quanto alla circostanza che, nei giorni precedenti, nei pressi dell’abitazione non
si fosse registrato l’accesso di soggetti interessati all’acquisto, essa era priva di
significato per il fatto che nessun servizio di p.g. era stato effettuato in quel
luogo.
3. Ricorre per cassazione nell’interesse dell’imputato il difensore di fiducia
avv. Maurizio Nucci.
3.1. Con un primo motivo deduce l’inosservanza di norme processuali
stabilite a pena di inutilizzabilità. La Corte di appello di Catanzaro avrebbe posto
a base del proprio giudizio quanto dichiarato dall’imputato agli investigatori sul
luogo e nell’immediatezza dei fatti, così contravvenendo al disposto dell’articolo
350, co. 5 cod. proc. pen., per il quale di siffatte dichiarazioni è vietata ogni
documentazione ed utilizzazione.
3.2. Con un secondo ed un terzo motivo deduce vizio di motivazione ed
erronea applicazione della legge penale, in quanto sarebbe arbitraria ed illogica
l’affermazione della certa appartenenza dello stupefacente all’imputato, perché
non supportata da elementi fattuali e giuridici adeguati. L’affermazione secondo
la quale il coltello e la forbice recavano tracce delle sostanze rinvenute perché
l’imputato non aveva fornito alcuna spiegazione alternativa per l’esponente non
tiene conto che il coltello venne rinvenuto nell’abitazione di Castrolibero:
secondo la prospettazione della Corte d’appello sarebbe stato utilizzato per
suddividere sostanze stupefacenti che si trovavano occultate in un immobile
distante molti chilometri. Né la Corte si sarebbe preoccupata di verificare e di
escludere che l’immobile in questione non fosse nella disponibilità anche di altri
soggetti. A tal riguardo il ricorrente articola un autonomo motivo di ricorso,
rilevando che la droga venne rinvenuta in luogo esterno all’immobile e quindi in
uno spazio aperto, al quale chiunque avrebbe potuto accedere scavalcando la
cancellata delimitante la corte.

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Il giudice di seconde cure ha valutato come non decisivi il fatto che il

Per il ricorrente è parimenti illogico che una persona, avvezza ad attività
illecite della portata esplicata dai quantitativi rinvenuti, abbandoni quell’ingente
quantità di sostanza stupefacente alla mercé di chicchessia e la esponga agli
agenti atmosferici della stagione invernale, cioè a condizioni climatiche in grado
di deteriorarne la qualità.
L’esponente rileva ancora che la Corte di appello non aveva motivato in
ordine al primo motivo di appello, il quale riguardava l’erronea considerazione
del giudice di prime cure dei fatti di detenzione ascritti all’imputato come di fatti
si trattò di un unico fatto di detenzione, ancorché accertato in due momenti
successivi. Poiché quella erronea ricostruzione era centrale nell’argomentazione
del giudice di prime cure, la mancata risposta della Corte di appello fa sì che sia
“la stessa Corte di appello di Catanzaro a muoversi su un percorso
argomentativo che presenta, nella sua stessa struttura, insiti caratteri di
contraddittorietà e di illogicità, in quanto dapprima ha avallato e fatto proprie le
valutazioni espresse dal primo giudicante circa la certa appartenenza dello
stupefacente all’imputato e, nel punto successivo, ha provveduto ad accogliere le
censure dell’imputato scardinando il fondamento stesso di quell’iter
motivazionale che avrebbe dovuto costituire la principale fonte di legittimazione
della pronuncia di condanna”.
3.3. Con un ultimo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata
laddove, pur avendo concesso le attenuanti generiche e diminuito per effetto
delle stesse la pena, ha diminuito in misura diversa la pena detentiva e quella
pena pecuniaria. Ad avviso dell’esponente il giudice avrebbe dovuto ridurre l’una
e l’altra nella medesima misura.

CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è infondato e pertanto non merita accoglimento.
4.1. Le dichiarazioni rese dall’imputato agli investigatori durante
l’esecuzione della perquisizione domiciliare vanno ricondotte alla previsione
dell’art. 350, co. 5 cod. proc. pen. e come tali esse possono essere utilizzate ai
fini della immediata prosecuzione delle indagini. Non possono quindi essere
utilizzate nel dibattimento; ma alcuna preclusione vi è nell’ambito del giudizio
abbreviato, che ha natura e carattere del tutto peculiari, in quanto svolto “allo
stato degli atti”. E’ stato più volte affermato da questa Corte che l’imputato,
nell’accettare questo procedimento speciale, da un lato rinuncia ad avvalersi
delle regole ordinarie e dall’altro però ottiene un trattamento premiale attraverso
l’applicazione della diminuente. Ne deriva che il giudice può utilizzare tutti gli atti
legittimamente confluiti nel fascicolo del pubblico ministero e quindi anche le
dichiarazioni, rese dall’indagato in assenza del suo difensore, purché acquisite

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distinti. Tutta la sostanza venne rinvenuta presso l’abitazione di Rende e quindi

”sul luogo o nell’immediatezza del fatto”, così come stabilito dal quinto comma
dell’art. 350 cod. proc. pen. (Cass. Sez. 3, sent. n. 7072 del 20/04/1994,
Mazzaraco, Rv. 198153; Sez. 1, sent. n. 697 del 08/01/1997, Zotka, Rv.
206791; Sez. 4, sent. n. 1129 del 09/12/1999, Paradiso M., Rv. 215661).
4.2. A fronte del fatto che le doglianze articolate con il secondo ed il terzo
motivo sono volte a contestare le valutazioni degli elementi di prova rese dai
giudici del merito (trattasi, è bene ricordarlo, di doppia conforme quanto all’an
delle responsabilità), deve essere rilevato come il ricorso si risolva in censure di
cassazione.
Compito di questa Corte non è quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del
Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a
dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza strutturale della
motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dal non aver questa
tenuto presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell’equilibrio della decisione
impugnata.
In realtà, le deduzioni dei ricorrenti non risultano in sintonia con il senso
dell’indirizzo interpretativo di questa Corte secondo cui (Cass. Sez. 6, n. 38698
del 26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989) la Corte di Cassazione deve
circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della
decisione impugnata, alla verifica dell’assenza, in quest’ultima, di argomenti
viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati
contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o
connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili,
Infine, con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e che siano
dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro
rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo
Interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente
incongrua la motivazione. Ciò posto, se la denuncia del ricorrente va letta alla
stregua dei contenuti concettuali dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come
modificato dalla L. n. 46 del 2006, occorre allora tener conto che:
1) la legge citata non ha normativamente riconosciuto il travisamento del fatto,
anzi lo ha escluso, dovendosi semmai parlare di “travisamento della prova”;
esso, nel rinnovato indirizzo interpretativo di questa Corte, ha un duplice
contenuto, con riguardo a motivazione del Giudice di merito o difettosa per
commissione o difettosa per omissione, a seconda che si sia incorsi
nell’utilizzazione di un’informazione inesistente, ovvero in una omissione decisiva
della valutazione di una prova (Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, Rv. 233460,
P.M. in proc. Napoli). In sostanza, la riforma della L. n. 46 del 2006, ha

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fatto integranti questioni insuscettibili di considerazione nel giudizio di

introdotto un onere rafforzato di specificità per il ricorrente in punto di denuncia
del vizio di motivazione. Infatti, il nuovo testo dell’art. 606 cod. proc. pen.,
comma 1, lett. e) – nel far riferimento ad atti del processo che devono essere dal
ricorrente “specificamente indicati” – detta una previsione aggiuntiva ed ulteriore
rispetto a quella contenuta nell’art. 581 cod. proc. pen., lett. c) (secondo cui i
motivi di impugnazione devono contenere “l’indicazione specifica delle ragioni di
diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”). Con la
conseguenza che sussiste a carico del ricorrente – accanto all’onere di formulare
anche un peculiare onere di inequivoca “individuazione” e di specifica
“rappresentazione” degli atti processuali ritenuti rilevanti in relazione alla
doglianza dedotta, onere da assolvere nelle forme di volta in volta più adeguate
alla natura degli atti stessi, e cioè integrale esposizione e riproduzione nel testo
del ricorso, allegazione in copia, precisa identificazione della collocazione dell’atto
nel fascicolo del giudice et similia (cfr. Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006,
Rv. 233778, imp. Simonetti ed altri).
In forza di tale principio (cosiddetta autosufficienza del ricorso) si impone,
inoltre, che in ricorso vengano puntualmente ed adeguatamente illustrate le
risultanze processuali considerate rilevanti e che dalla stessa esposizione del
ricorso emerga effettivamente una manifesta illogicità del provvedimento, pena
altrimenti l’impossibilità, per la Corte di Cassazione, di procedere all’esame
diretto degli atti (in tal senso, “ex plurimis”, Cass. sez. 1, n. 16223 del
02/05/2006, Scognamiglio, Rv. 233781): manifesta illogicità motivazionale
assolutamente insussistente nel caso in esame, se si tiene conto delle
argomentate risposte fornite dalle integrative pronunce di primo e secondo grado
alle questioni prospettate dalla difesa dell’imputato. Ma v’è di più, posto che,
sempre con riferimento alla portata delle innovazioni della L. n. 46 del 2006,
relativamente allo specifico caso di ricorso per cassazione di cui all’art. 606
c.p.p., lett. e), non è sufficiente: a) che gli atti del processo evocati con il ricorso
siano semplicemente “contrastanti” con particolari accertamenti e/o valutazioni
del giudicante, o con la sua ricostruzione complessiva (e finale) dei fatti e delle
responsabilità; b) né che tali atti possano essere astrattamente idonei a fornire
una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Occorre
invece che gli “atti del processo”, presi in considerazione per sostenere
l’esistenza di un vizio della motivazione, siano “decisivi”, ossia autonomamente
dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione
disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno
radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua
o contraddittoria la motivazione. In definitiva: la nuova formulazione dell’art.

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motivi di impugnazione specifici e conformi alla previsione dell’art. 581 cit. –

606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n.
46, art. 8, nella parte in cui consente la deduzione, in sede di legittimità, del
vizio di motivazione sulla base, oltre che del “testo del provvedimento
Impugnato”, anche di “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di
gravame”, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur
sempre un giudizio di legittimità, per cui gli atti in questione non possono che
essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati (non
solo singolarmente, ma in relazione all’intero contesto probatorio), avrebbero
comunque esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza
della motivazione (cui deve limitarsi la corte di cassazione) possa essere confusa
con una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella
effettuata dal giudice di merito (Sez. 2^, n. 19584 del 05/05/2006, Rv. 233775,
Capri ed altri).
4.3. Tenendo conto di tutti i principi testé ricordati, deve dunque
concludersi che, nel caso di specie, le argomentazioni poste a base delle censure
in esame non valgono a scalfire la congruenza logica della struttura
motivazionale impugnata. Il ricorrente, pur asserendo di volere contestare
l’omessa o errata ricostruzione di risultanze della prova dimostrativa, in realtà
hanno piuttosto richiesto a questa Corte un intervento in sovrapposizione
argomentativa rispetto alla decisione impugnata, e ciò ai fini di una lettura della
prova alternativa rispetto a quella, congrua e logica, fornita dalla Corte di merito.
Le allegazioni difensive non valgono però a disarticolare l’apparato
argomentativo delle integrative pronunce di primo e secondo grado: è principio
pacifico in giurisprudenza quello secondo cui, nel caso di doppia conforme, le
motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a
vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in
ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione (in
termini, “ex plurimis”, Cass. Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994, Rv. 197497; conf.
Cass. Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Rv. 209145).
4.4. Va anche ricordato che la prova va valutata nel suo complesso; le
singole componenti devono essere certe, ma la loro lettura va fatta
sinotticamente. Nello specifico, la presenza delle tracce di sostanze riconducibili
alla medesima tipologia, se in solitudine non può dare indicazioni univoche sulla
provenienza dai quantitativi rinvenuti all’esterno della villetta di Rende, va però
collegata – e così correttamente hanno operato i giudici di merito – sia alla
presenza in tal ultima abitazione di oggetti che pure rimandano agli stupefacenti
(un bilancino di precisione rinvenuto all’interno del locale adibito a tavernetta;
una forbice multiuso – quella con la lama intrisa di tracce di hashish -, posta sul

potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo

tavolo della cucina dell’abitazione), nonché il comportamento dell’imputato. A tal
ultimo riguardo, nessun dubbio può nutrirsi in ordine alla possibilità di trarre
elementi di convincimento dalle dichiarazioni e dal contegno dell’imputato. Né
appare pertinente l’invocazione del diritto al silenzio difensivo. La Corte di
Appello ha effettivamente richiamato la mancanza di spiegazioni da parte
dell’imputato, oltre che l’esplicita negazione della riferibilità alla villetta di Rende
tanto del telecomando che delle chiavi rinvenute a Castrolibero. Che si tratti di
dichiarazioni utilizzabili ai fini della prova si è già detto; che esse possano esserlo
incontroverso, poiché al giudice non è precluso valutare la condotta processuale
dell’imputato, coniugandola con ogni altra circostanza sintomatica, con la
conseguenza che egli, nella formazione del suo libero convincimento, ben può
considerare, in concorso con altre circostanze, la portata significativa del silenzio
su circostanze potenzialmente idonee a scagionarlo (Cass. sez. 2, sent. n. 22651
del 21.4.2010, Di Perna, rv. 247426). Altrettanto vale per le dichiarazioni
mendaci o negatorie; beninteso, gli argomenti di prova che si possono trarre da
tali comportamenti possono avere unicamente carattere residuale e
complementare (Cass. sez. 1, sent. n. 2653 del 26.10.2011, M., rv. 251828).
Non è ravvisabile, quindi, alcuna violazione di legge né tanto meno i vizi
motivazionali lamentati dal ricorrente.
Inoltre, le ulteriori considerazioni svolte dal ricorrente appaiono invero per
nulla decisive. Che al cortile dell’immobile di Rende potesse, in ipotesi, accedere
anche soggetto diverso dal Memolí è circostanza che risulta priva di capacità
dimostrativa, una volta stabilito, nei termini sopra ricordato, il nesso tra pugnale
e forbici certamente appartenenti all’imputato e la droga rinvenuta all’esterno
dell’abitazione di Rende. Allo stesso modo risultano inidonee a sovvertire
l’impianto motivazionale censurato con il ricorso il riferimento all’incongrua
esposizione della droga agli agenti atmosferici (rilievo valevole per ogni
eventuale proprietario) e alla lontananza tra il luogo ove venne rinvenuto il
pugnale e quello ove venne trovata la droga.
Infine, non è ravvisabile alcuna intrinseca contraddittorietà nella valutazione
fatta dalla Corte di appello della unicità dei fatti di detenzione e la condivisione
dell’attribuzione al Memoli dell’intero quantitativo di stupefacente rinvenuto. Si
tratta di valutazione che si propongono su piani diversi e il motivo non riesce ad
esprimere il senso della correlazione che si vuole stabilire.
4.5. In merito al motivo che guarda al trattamento sanzionatorio è
sufficiente ricordare che “in tema di applicazione della diminuzione per le
attenuanti generiche, non sussiste l’obbligo del giudice di merito, nel caso di
reato punito con pena detentiva congiunta a pena pecuniaria, di seguire il

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senza che ciò determini una qualche lesione del diritto di difesa è altrettanto

medesimo criterio nella determinazione della pena base detentiva e di quella
pecuniaria, con la conseguenza che la determinazione nel minimo della pena
detentiva non comporta che anche la pena pecuniaria debba essere determinata
nel minimo” (Cass. Sez. 4, sent. n. 20228 del 15/03/2012, Lucky, Rv. 252682).
5. Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14/11/2012.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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