Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6948 del 20/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 6948 Anno 2014
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
KOKLI VILSON N. IL 14/10/1987
avverso la sentenza n. 266/2013 GIP TRIBUNALE di LECCE, del
12/03/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 20/11/2013

Motivi della decisione
Kocli Vilson ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del
G.i.p. presso il Tribunale di Lecce in data 12.03.2013, con la quale, ai sensi dell’art.
444 cod. proc. pen., è stata applicata la pena concordata dalle parti, in ordine alle
plurime violazioni della disciplina in materia di sostanze stupefacenti e di armi
comuni da sparo.
Con unico motivo l’esponente deduce violazione di legge e vizio

legittimanti l’adozione di sentenza liberatoria, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
e rispetto alla qualificazione giuridica del fatto.
Il ricorso è inammissibile.
Giova considerare che questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il
principio in base al quale l’obbligo della motivazione della sentenza non può non
essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di
patteggiamento: lo sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato
all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di
provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la
ricorrenza di una delle ipotesi di cui al richiamato art. 129 cod. proc. pen. deve
essere accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o
dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile
applicazione di cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso
contrario, una motivazione consistente nella enunciazione, anche implicita, che è
stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per
la pronunzia di proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto;
Sez. U. 27 dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente
accolto dalla giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti
significativi della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione
giuridica del fatto, la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze,
la congruità della pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa
Corte, nel solco delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la
motivazione può ben essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che
il giudice abbia compiuto le pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere
interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e
sollecitandone una più analitica, dal momento che la statuizione del giudice
coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal

motivazionale, in ordine al mancato apprezzamento della ricorrenza dei presupposti

medesimo accettato. Occorre, peraltro, rilevare che, nel caso di specie, il giudice
ha rilevato l’insussistenza delle condizioni per dare corso ad una pronuncia di
proscioglimento, richiamando la notizia di reato e l’ordinanza applicativa della
misura cautelare. Oltre a ciò, il giudicante ha osservato che la qualificazione
giuridica dei fatti risultava corretta e che sussistevano i presupposti per il
riconoscimento del vincolo della continuazione con gli episodi giudicati con
sentenza del Tribunale di Roma in data 5.07.2011.

al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.500,00 a
favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 20 novembre 2013.

Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente

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