Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6912 del 15/10/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6912 Anno 2016
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Esposito Armando, nato a Caserta il 14.7.1995, avverso
l’ordinanza emessa dal tribunale di Brescia il 30.6.2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Mario Pinelli, che ha concluso per l’inammissibilità
del ricorso;

Data Udienza: 15/10/2015

udito per il ricorrente il difensore di fiducia, avv. Giampiero Gola,
del Foro di Mantova, che ha concluso per l’accoglimento del

FATTO E DIRITTO

1. Con ordinanza emessa il 30.6.2015 il tribunale di Brescia, in
funzione di tribunale del riesame, adito ex art. 309, c.p.p.,
pronunciando quale giudice di rinvio, confermava l’ordinanza di
custodia cautelare in carcere emessa dal giudice per le indagini
preliminari presso il tribunale di Mantova nei confronti di Esposito
Armando, gravemente indiziato del reato di omicidio volontario in
concorso, commesso in danno di Bottura Fausto.
2.

Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto

tempestivo ricorso per cassazione l’Esposito, a mezzo dei suoi
difensori di fiducia, avv. Giampiero Gola e Piertacito Ruggerini, del
Foro di Mantova, lamentando, con riferimento al solo profilo della
idoneità della misura coercitiva in esecuzione: 1) violazione di
legge e vizio di motivazione in quanto il tribunale del riesame ha
effettuato un giudizio negativo sulla personalità dell’Esposito,
diciannovenne privo di precedenti penali, che si è riverberato sul
pericolo di reiterazione del reato e sulla inidoneità degli arresti
domiciliari, sull’erroneo presupposto che quest’ultimo abbia
commesso un fatto di sangue, laddove, anche secondo la pubblica
accusa, il ruolo dell’Esposito nell’omicidio per cui si procede deve
ritenersi marginale, essendosi il ricorrente limitato a distrarre la
vittima chiedendogli se avesse un accendisigari, come evidenziato
nell’ordinanza cautelare del 13.12.2014; inoltre il tribunale del

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ricorso.

riesame non ha considerato né il positivo comportamento
mantenuto dall’indagato all’interno del carcere dove è rinchiuso,
né l’idoneità degli arresti domiciliari di cui si chiedeva
l’applicazione in sostituzione della misura custodiale, a soddisfare

co. 6, Cost, dovendosi ritenere la motivazione del tribunale del
riesame meramente apparente in ordine alla inidoneità degli
arresti domiciliari, essendo svincolata da quanto risultante dal
fascicolo ed incentrata unicamente sul singolo fatto di reato; 3)
violazione di legge e vizio di motivazione in quanto il tribunale del
riesame ha erroneamente ritenuto di non prendere in esame, ai
fini della sua decisione, le modifiche apportate agli artt. 274 e
275, c.p.p., dalla legge n. 47 del 2015, che, invece, in quanto ius
superveniens più favorevole al reo vanno prese in considerazione
anche in sede di rinvio, con riferimento all’attualità del rischio
recidivante; alla impossibilità di fondare la pericolosità sociale
dalla gravità del titolo di reato, come fatto dal tribunale del
riesame; all’obbligo, previsto dall’art. 275, co. 3 bis, c.p.p., di
indicare le specifiche ragioni per cui, quando si dispone la misura
cautelare della custodia in carcere, si ritiene inidonea la misura
cautelare degli arresti domiciliari con le procedure di controllo ex
art. 275 bis, co. 1, c.p.p.
3. Il ricorso va dichiarato inammissibile.
4. Al riguardo occorre richiamare, sia pure brevemente, l’approdo
interpretativo, condiviso da questo Collegio, al quale è giunta la
giurisprudenza di legittimità, che da tempo ha evidenziato come,
in materia di provvedimenti de libertate, la Corte di Cassazione
non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali
delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né di

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le esigenze di cautela; 2) violazione degli artt. 125, c.p.p., e 111

rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato, in relazione
alle esigenze cautelari e all’adeguatezza delle misure, trattandosi
di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo e
insindacabile del giudice che ha applicato la misura e del tribunale

Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del
contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni
giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di
illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto
al fine giustificativo del provvedimento (cfr. Cass., sez. IV,
3.2.2011, n. 14726, D.R.), essendo sufficiente ai fini cautelari un
giudizio di qualificata probabilità in ordine alla responsabilità
dell’imputato” (cfr. Cass., sez. II, 10.1.2003, n. 18103, rv.
224395; Cass., sez. III, 23.2.1998, n. 742).
4.1. Orbene, non appare revocabile in dubbio che il tribunale del
riesame di Brescia ha fatto buon uso di tali principi.
Con motivazione approfondita ed immune da vizi, infatti, il giudice
dell’impugnazione cautelare, nel colmare la lacuna motivazionale
che aveva determinato l’annullamento ad opera della Corte di
Cassazione dell’ordinanza del medesimo tribunale, circoscritto al
solo profilo dell’adeguatezza della misura cautelare imposta
all’Esposito, ha dettagliatamente indicato le ragioni che inducono
a ritenere quella carceraria come l’unica misura in grado di
soddisfare l’esigenza cautelare di tutela della collettività,
ravvisabile nel caso in esame con un elevato grado di intensità,
proprio in virtù di una serie di elementi fattuali, specificamente
esaminati dal tribunale del riesame, relativi alle modalità di
partecipazione dell’indagato all’omicidio in danno del Bottura, “che
danno conto di una personalità del ricorrente Esposito assai

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del riesame.

incline ad atti di estrema violenza”, facilmente coinvolgibile “in un
progetto delittuoso di sangue” (cfr. p. 5 dell’ordinanza oggetto di
ricorso).
Il tribunale del riesame, inoltre, si è soffermato specificamente,

vizi, sui motivi che non consentono di ritenere adeguata la misura
cautelare meno afflittiva degli arresti domiciliari, evidenziando: 1)
come la gravità dei fatti e l’immediata disponibilità dell’Esposito a
condotte illecite talmente gravi, non ascrivibili ad un dolo
d’impeto, ma ad una pianificata azione aggressiva nei confronti
dell’ignara vittima, da un lato denotano una concreta facilità dello
stesso al ricorso ad atti di violenza estrema, che la sua
collocazione nel proprio ambito familiare ed il controllo della
polizia giudiziaria non sono in grado di scongiurare, dall’altro
escludono la prognosi dì una spontanea osservanza dell’Esposito
alle prescrizioni proprie degli arresti domiciliari; 2) che
l’incensuratezza e la giovane età dell’indagato non hanno
costituito un freno alla sua condotta criminosa, non ostacolata
nemmeno dalla piccola ed isolata dimensione del comune di
Magnacavallo, dove l’omicidio venne commesso e dove l’Esposito
avrebbe voluto essere ristretto agli arresti domiciliari, risultando
tutti i suddetti elementi posti a fondamento della richiesta
difensiva “inidonei a controbilanciare gli atteggiamenti del
ricorrente e, in definitiva, a garantire dal pericolo di recidiva”; 3)
l’irrilevanza dell’ammissione del reato di occultamento di cadavere
contestatogli, effettuata in sede di interrogatorio, avendo
l’Esposito continuato a negare la sua partecipazione all’omicidio,
nonché del corretto comportamento tenuto durante la restrizione
carceraria, trattandosi di condotta doverosa, da cui non può

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ancora una volta con motivazione approfondita ed immune da

desumersi in modo univoco un radicale ripensamento della propria
condotta (cfr. pp. 5-7).
A fronte di tale limpido e coerente argomentare, le censure
difensive appaiono, oltre che tendenti ad una (inammissibile)

del riesame, manifestamente infondate, anche con riguardo alle
censure sintetizzate in premessa sub n. 3).
Infatti il formarsi del giudicato cautelare, conseguente alla
decisione con cui la corte di cassazione, pur annullando la
precedente ordinanza del tribunale del riesame, riteneva
sussistenti tanto i gravi indizi di colpevolezza, quanto le esigenze
cautelari, ha reso tali profili ormai definitivi e non più scrutinabili,
in assenza di elementi nuovi significativi, che, come si evince dal
testo dell’ordinanza impugnata, non risultano nemmeno essere
stati prospettati in sede di nuovo riesame.
Correttamente, pertanto, il tribunale del riesame ha ritenuto, tra
le altre, inammissibili le questioni prospettate in ordine alla
mancata valutazione dell’attualità del rischio recidivante, imposta
dalla nuova formulazione dell’art. 274, c.p.p.
D’altro canto proprio l’articolato giudizio espresso dal tribunale del
riesame in ordine alle ragioni per cui l’intensità dell’esigenza
cautelare da soddisfare nel caso concreto può essere assicurata
solo con la misura cautelare in carcere, contiene in sé, in maniera
implicita, ma evidente, le specifiche ragioni (anche con riferimento
alla inefficacia dei controlli di polizia giudiziaria) per cui la misura
cautelare degli arresti donniciliari con le procedure di controllo di
cui all’art. 275 bis, co. 1, c.p.p., non è idonea ad evitare il rischio
concreto di reiterazione criminosa.

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diversa valutazione degli elementi fattuali considerati dal tribunale

I

Come affermato, infatti, dall’orientamento dominante nella
giurisprudenza di legittimità, in tema di scelta e adeguatezza delle
misure cautelari, ai fini della motivazione del provvedimento di
custodia in carcere non è necessaria un’analitica dimostrazione

sufficiente che il giudice indichi, con argomenti logico-giuridici
tratti dalla natura e dalle modalità di commissione dei reati
nonché dalla personalità dell’indagato, gli elementi specifici che
inducono ragionevolmente a ritenere la custodia in carcere come
la misura più adeguata al fine di impedire la prosecuzione
dell’attività criminosa, rimanendo in tal modo assorbita l’ulteriore
dimostrazione dell’inidoneità delle altre misure coercitive (cfr, ex
plurimis, Cass., sez. VI, 20.4.2011, n. 17313, rv. 250060).
A tali principi, come si è visto, il tribunale del riesame si è
rigorosamente attenuto.
5. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in
premessa va, dunque, dichiarato inammissibile, con condanna del
ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese
del procedimento ed, in favore della cassa delle ammende, di una
somma che si ritiene equo fissare in 1000,00 euro, tenuto conto
dei profili di colpa relativi alla evidente inammissibilità
dell’impugnazione (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del
13.6.2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro
1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, co. 1
ter, disp. att., c.p.p.
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delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura, ma è

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