Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 691 del 24/10/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 691 Anno 2017
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: AIELLI LUCIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PALA FRANCESCO N. IL 07/03/1946
avverso la sentenza n. 4134/2005 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 17/10/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA AIELLI;

Data Udienza: 24/10/2016

In fatto e in diritto

Pala Francesco ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di
Bologna del 17/10/2014 , confermativa della sentenza del Tribunale di Modena
del 16/9/2005 che lo aveva condannato, per il delitto di ricettazione alla pena di
anni due di reclusione ed euro 600,00 di multa, chiedendone l’annullamento ai
sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen.; deduce la violazione

carenza ed illogicità della motivazione con riguardo all’affermazione di
responsabilità dell’imputato in ordine al reato ascritto.
Il ricorso è inammissibile .
Il termine massimo di prescrizione da applicarsi nel caso in esame è quello
quindicennale (termine di dieci anni aumentato della metà per effetto degli atti
interruttivi) previsto dalla disciplina antecedente alla legge 251/2005, poichè alla
data di entrata in vigore della predetta legge il procedimento era già pendente in
grado di appello ( cfr. sentenza della Corte Costituzionale n. 393/2006), essendo
stata la sentenza di primo grado emessa 16/9/2005. Infatti secondo la
giurisprudenza consolidata di questa Corte, ai fini dell’applicazione delle
disposizioni transitorie di cui all’art. 10 comma terzo della legge 251/2005, la
pendenza del grado di appello che rileva per escludere la retroattività delle
norme sopravvenute più favorevoli , ha inizio con la pronuncia della sentenza di
condanna di primo grado che deve ritenersi intervenuta con la lettura del
dispositivo ( Sez. Unite 29/10/2009 n. 47008 , D’Amato; Sez. V, 16/4/2009 n.
25470, Lala; Sez. V, 16/1/2009 7697, Vener; Sez. V, 5/12/2008, n. 2076,
Serafini; Sez. VI, 26/5/2008 n. 31702, Serafin; Sez. VI 10/10/2008, n. 40976 ,
Nobile; Sez. V, 19/6/2008 n. 38720, Rocca).
Ne consegue che il termine massimo di prescrizione nel caso doi specie,
risalendo il reato all’anno 2002, non è ancora decorso.
Nel merito la Corte d’appello nel confermare la sentenza di primo grado in
ordine al delitto di ricettazione, si è adeguata al costante orientamento della
giurisprudenza di legittimità secondo il quale, ai fini della configurabilità del
delitto di ricettazione è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita
del bene ricevuto, senza che sia peraltro indispensabile che tale consapevolezza
si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di
modo e di luogo del reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove
indirette, allorché siano tali da generare in qualsiasi persona di media levatura
intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza
illecita di quanto ricevuto. Del resto questa Corte ha più volte affermato che la

di legge quanto alla mancata pronuncia di estinzione del reato per prescrizione,

conoscenza della provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi
elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato che
dimostri la consapevolezza della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero
dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa
ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento,
logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Sez. 2 n. 25756 del
11/6/2008, Nardino, Rv. 241458; sez. 2 n. 29198 del 25/5/2010, Fontanella, Rv.
248265). Nella sentenza impugnata sono state valorizzate le circostanze relative

un caso risulta avere sottoscritto, come coerente e necessaria conseguenza di un
acquisto illecito. Le su esposte considerazioni impongono di dichiarare
inammissibile il ricorso, perché i motivi sui quali è fondato risultano
manifestamente infondati.
Quanto alla ricorrenza dell’ipotesi attenuata di cui al secondo comma
dell’art. 648 cod. pen. le motivazioni svolte dal giudice d’appello non risultano,
viziate da illogicità manifesta e forniscono esaustiva motivazione in ordine al
diniego dell’attenuante di cui al secondo comma dell’art.648 cod. pen., facendosi
correttamente riferimento ad una valutazione complessiva del fatto reato
effettuata attraverso un contestuale apprezzamento di tutti quegli elementi che
rientrano nella fattispecie delittuosa, quali le modalità dell’azione ed in
particolare il valore degli assegni.

alla immediata monetizzazione degli assegni che il ricorrente deteneva e che in

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma
che, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000,
sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in euro 2.000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma di euro 2.000,00.

il cons. est.
Lucia Aielli

Così deciso in Roma il 24 ottobre 2016

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