Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6901 del 20/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 6901 Anno 2014
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MARINELLI FELICETTA

Data Udienza: 20/11/2013

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
TRABELSI MOHAMED BEN SALAH N. IL 28/05/1979
avverso la sentenza n. 5555/2009 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 14/03/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
MARINELLI;

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Motivi della decisione

Avverso la sentenza indicata in epigrafe, che ha ritenuto
responsabile Trabelsi Mohamed Ben Salah in ordine al reato
di cui agli articoli 81 c.p. e 73 d.PR.309/90, 337 e
582,585,576 n.1,61 n.2 c.p., ha proposto ricorso in
cassazione il sopra indicato imputato censurandola per

responsabilità, in particolare con riferimento
all’identificazione dell’imputato per il fatto
dell’1.04.2008, alla circostanza che il quantitativo di
droga di cui è processo avrebbe contenuto un principio
attivo inferiore ai valori di soglia stabiliti dalla
legge, alla erronea valutazione dell’atteggiamento tenuto
dall’imputato, in ordine alla sussistenza della
responsabilità per i reati di resistenza e di lesioni e
per violazione di legge in ordine al mancato
riconoscimento delle attenuanti generiche.
Il ricorso è inammissibile,

ex articolo 606, comma 30 ,

cod.proc.pen., perché proposto per motivi manifestamente
infondati, in quanto ripropone questioni di merito a cui
la sentenza impugnata ha dato ampia e convincente risposta
e mira ad una diversa ricostruzione del fatto preclusa al
giudice di legittimità. Una volta infatti che il giudice
di merito abbia chiarito la dinamica del fatto con
motivazione congrua, non compete alla Corte di legittimità

violazione di legge e difetto di motivazione in punto di

valutare gli atti. La Corte di appello di Bologna ha
invero adeguatamente ed esaustivamente motivato in punto
di responsabilità, evidenziando che il Trabelsi fu visto
dai Carabinieri, 1’1.04.2008, cedere quella che poi si
accertò essere una dose di stupefacente, verosimilmente
cocaina ad Hadine Hamza; che i militari, allorquando
intervennero in data 2.04.2008, mostrarono immediatamente
il loro tesserino e si qualificarono, essendo quindi
infondata la tesi difensiva secondo cui il ricorrente non

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si sarebbe reso conto che le persone che lo avevano
avvicinato erano Carabinieri e che quindi egli non sarebbe
responsabile del reato di resistenza a pubblico ufficiale.
Quanto alle doglianze concernenti il trattamento
sanzionatorio, con particolare riferimento alla mancata
concessione delle attenuanti generiche, si rileva che la

apparato argomentativo, che soddisfa appieno l’obbligo
motivazionale. E appena il caso di considerare che in tema
di valutazione dei vari elementi per la concessione delle
attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di
comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della
pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti
punti, la giurisprudenza di questa Suprema Corte non solo
ammette la c.d. motivazione implicita (Cass., Sez.6, 22
settembre 2003 n.227142) o con formule sintetiche (tipo
“si ritiene congrua” vedi Cass., sez.6, 4 agosto 1998,
Rv.211583), ma afferma anche che le statuizioni relative
al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed
attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui
all’art.133 c.p., sono censurabili in cassazione solo
quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamenti
illogico (Cass., sez.3, 16 giugno 2004 n.26908,
Rv.229298). Si tratta di evenienza che certamente non
sussiste nel caso di specie, avendo la Corte di appello di
Bologna espressamente chiarito le ragioni in base alle
quali ha ritenuto di non concedere le attenuanti generiche
di irrogare la pena indicata in dispositivo, in
considerazione del fatto che l’imputato era un assiduo
spacciatore e annoverava altre condanne anche per reati
specifici.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento ed al versamento a favore della Cassa delle
ammende della somma di euro 1.000,00 a titolo di sanzione

decisione impugnata risulta sorretta da conferente

di causa di inammissibilità

pecuniaria, trattandosi

riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del
ricorrente stesso (cfr. Corte Costituzionale sent. n.
186 del 7 – 13 giugno 2000 ).

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente
al pagamento delle spese processuali e della somma di
euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 20 novembre 2013

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Il residente

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