Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6900 del 20/11/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Ord. Sez. 7 Num. 6900 Anno 2014
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ED DAYANY ABDEL KBIR N. IL 01/08/1987
avverso la sentenza n. 5994/2012 GIP TRIBUNALE di BERGAMO, del
02/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 20/11/2013

Motivi della decisione
Ed Dayany Abdel Kbir ha proposto ricorso per cassazione avverso la
sentenza del G.i.p. presso il Tribunale di Bergamo in data 2.10.2012, con la quale,
ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., è stata applicata la pena concordata dalle
parti, in ordine al delitto di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309/1990.
Con il primo motivo, l’esponente deduce la carenza di motivazione in ordine
alla verifica relativa alla insussistenza di cause di non punibilità ex art. 129 cod.

Con il secondo motivo la parte denuncia la violazione di legge in riferimento
alla disposta confisca dei telefoni cellulari, schede telefoniche e denaro in
sequestro.
Il ricorso è inammissibile.
Con riguardo al primo motivo giova considerare che questa Suprema Corte
ha ripetutamente affermato il principio in base al quale l’obbligo della motivazione
della sentenza non può non essere conformato alla particolare natura giuridica
della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle linee argomentative è
necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato
dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ciò implica
che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’art. 129 cod.
proc. pen. deve essere accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in
cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la
possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi
sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nella enunciazione,
anche implicita, che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non
ricorrono le condizioni per la pronunzia di proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27
marzo 1992, Di Benedetto; Sez. U. 27 dicembre 1995, Serafino). Tale
orientamento è stato concordemente accolto dalla giurisprudenza successiva.
Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi della decisione, che riguardano
precipuamente la qualificazione giuridica del fatto, la continuazione, l’esistenza e la
comparazione delle circostanze – che viene specificamente in rilievo nel caso di
specie – la congruità della pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di
questa Corte, nel solco delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la
motivazione può ben essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che
il giudice abbia compiuto le pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere
interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e
sollecitandone una più analitica, dal momento che la statuizione del giudice
coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa

proc. pen.

Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato. Occorre, peraltro, rilevare che, nel caso di specie, il giudice
ha espressamente evidenziato che non ricorrevano i presupposti per il
proscioglimento dell’imputato, ex art. 129 cod. proc. pen., soffermandosi
diffusamente sul contenuto della notizia di reato, del verbale di arresto, del verbale
di sequestro e sulle dichiarazioni confessorie rese dal prevenuto.

Si deve osservare, in riferimento alla disposta confisca della somma di
denaro e degli altri beni in sequestro, che il corredo premiale di cui all’art. 445 cod.
proc. pen., a seguito delle modifiche introdotte con legge 12.06.2003 n. 134, non
comprende alcuna delle ipotesi di confisca, di cui all’art. 240 cod. pen.; e che la
giurisprudenza di legittimità ha chiarito, nel procedere alla ermeneusi dell’art. 445
cod. proc. pen. a seguito delle modifiche introdotte dalla citata novella del 2003,
che il giudicante che provvede alla applicazione della predetta misura di sicurezza,
deve esplicitare le ragioni che fondano la relativa statuizione, evidenziando i
presupposti della disposta misura (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8440 del
24/01/2007, dep. 28/02/2007, Rv. 236623).
Orbene, nel caso di specie, il giudice procedente ha assolto il richiamato
obbligo motivazionale, osservando che doveva essere ordinata la confisca della
bilancia e della somma di € 2.900,00 in sequestro, trattandosi, rispettivamente, di
bene strumentale e di provento della attività di spaccio. Il giudicante ha poi
sottolineato che l’imputato risulta privo di alcuna fonte lecita di reddito. Con
specifico riguardo alla confisca dei telefoni cellulari, delle schede telefoniche, deve
allora osservarsi che nella sentenza viene altresì richiamato il disposto di cui all’art.
12 sexies, Legge n. 356/1992. E la norma di cui all’art. 12 sexies, ora citata,
stabilisce che nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle
parti ex art. 444 cod. proc., per taluno, tra gli altri, dei delitti previsti dall’art. 73,
d.P.R. n. 309/1990 – esclusa l’ipotesi di cui al V comma, che non viene in rilievo nel
caso di specie – è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre
utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui risulta avere
la disponibilità, in valore sproporzionato rispetto al proprio reddito. Pertanto, anche
la confisca dei beni da ultimo richiamati risulta legittimamente disposta.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.500,00 a
favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.

Il secondo motivo di ricorso è del pari inammissibile.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, in data 20 novembre 2013.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA