Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6896 del 20/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 6896 Anno 2014
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BUSACCA GIOVANNI N. IL 01/08/1977
o i íe,A v›,4
avverso la sentenza n. 100314/2012 TRIB.SEZ.DIST. di VITTORIA,
del 28/09/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 20/11/2013

-,

,

Motivi della decisione
Busacca Giovanni ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
del Tribunale di Ragusa, sezione distaccata di Vittoria in data 28.05.2012, con la
quale, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., è stata applicata la pena concordata
dalle parti, in ordine ai reati di cui agli artt. 116, comma 13, cod. strada e 75,
comma 2, d.lgs. n. 159/2011.
La parte denuncia violazione di legge e vizio motivazionale, in ordine al

equivalenza sulla contestata recidiva semplice.
Il ricorso è inammissibile.
Giova considerare che questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il
principio in base al quale l’obbligo della motivazione della sentenza non può non
essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di
patteggiamento: lo sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato
all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di
provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la
ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere
accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle
deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di
cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una
motivazione consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta
la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. U. 27
dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla
giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi
della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto,
la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze – che viene
specificamente in rilievo nel caso di specie – la congruità della pena e la sua
sospensione, la costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco delle
enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la motivazione può ben essere
sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che il giudice abbia compiuto le
pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere interesse a lamentare una siffatta
motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal
momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia
del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal

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bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche, applicate in rapporto di

medesimo accettato. Occorre, peraltro, rilevare che, nel caso di specie, il giudice
ha espressamente evidenziato che la richiesta di applicazione della pena formulata
dall’imputato meritava accoglimento, atteso che la prospettata applicazione delle
attenuanti generiche in rapporto di equivalenza con la contestata recidiva, si
giustificava in ragione del comportamento processuale.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.500,00 a

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 20 novembre 2013.

favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.

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