Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6887 del 12/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6887 Anno 2016
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Paulicelli Massimo, nato a Roma il 4.8.1969, avverso la sentenza
pronunciata dalla corte di appello di Roma il 18.6.2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per
l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;

Data Udienza: 12/11/2015

udito per il ricorrente il difensore di fiducia, avv. Giuseppe
Salvatore Coosa, del Foro di Roma, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

1. Con sentenza pronunciata il 18.6.2014 la corte di appello di
Roma, in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di
Roma, in data 5.10.2012, aveva condannato alla pena ritenuta di
giustizia Paulicelli Massimo, in relazione al reato di furto aggravato
ai sensi dell’art. 625, co. 1, n. 2, c.p., avente ad oggetto energia
elettrica, illecitamente sottratta alla rete ACEA, concedeva
all’imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena,
confermando nel resto la sentenza impugnata.
2.

Avverso la sentenza della corte di appello, di cui chiede

l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione
l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, avv. Giuseppe
Salvatore Cossa, del Foro di Roma, lamentando: 1) violazione di
legge e vizio di motivazione, in quanto la corte di appello si è
limitata a riproporre pedissequamente le motivazioni della
sentenza di primo grado, senza considerare le doglianze
prospettate con l’atto di appello, alle quali non ha fornito nessuna
risposta, doglianze con cui si evidenziava che l’allaccio abusivo era
avvenuto in un sottoscala, accessibile a tutti, di uno stabile posto
in una strada diversa da quella in cui era ubicato l’appartamento
ove era stato sorpreso il Paulicelli, il quale, peraltro, era stato
identificato da semplici agenti dell’ACEA e non da agenti di polizia
giudiziaria, nonché che l’intestataria del contratto di fornitura
dell’energia elettrica è persona diversa dall’imputato, il cui

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FATTO E DIRITTO

rapporto con la suddetta intestataria non è stato acclarato con
certezza, fermo restando che al Paulicelli non viene contestata
l’ipotesi di concorso nel reato con quest’ultima; 2) vizio di
motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del

intestatario del contratto di fornitura, dall’altro non è dato sapere
a che titolo l’imputato si trovasse all’interno dell’appartamento
all’atto dell’accertamento dei tecnici dell’ACEA, apparendo
evidente che se egli vi si trovava come semplice ospite, ma non
come occupante o residente, non gli si potrebbe imputare
l’allacciamento abusivo; 3) vizio di motivazione in ordine al
mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche
con giudizio di prevalenza, piuttosto che di equivalenza sulle
circostanze aggravanti, non avendo tenuto conto la corte di
appello della sostanziale incensuratezza dell’imputato, in
violazione del disposto dell’art. 133, c.p., ed al calcolo della pena,
immotivato.
3. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.
Con esso, infatti, il ricorrente espone censure che si risolvono in
una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione impugnata, sulla base di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di
logicità tali da evidenziare la sussistenza di ragionevoli dubbi,
ricostruzione e valutazione, in quanto tali, precluse in sede di
giudizio di cassazione (cfr. Cass., sez. V, 22.1.2013, n. 23005, rv.
255502; Cass., sez. I, 16.11.2006, n. 42369, rv. 235507; Cass.,
sez. VI, 3.10.2006, n. 36546, rv. 235510; Cass., sez. III,
27.9.2006, n. 37006, rv. 235508).

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reato, in quanto, tra l’altro, da un lato il Paulicelli non risulta

Ed invero non può non rilevarsi come il controllo del giudice di
legittimità, anche dopo la novella dell’art. 606, c.p.p., ad opera
della I. n. 46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di
deduzioni connesse a diversi atti del processo, e di una correlata

unitaria e globale, che attiene alla reale esistenza della
motivazione ed alla resistenza logica del ragionamento del
giudice di merito, essendo preclusa al giudice di legittimità la
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione
o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione
e valutazione dei fatti (cfr. Cass., sez. VI, 26.4.2006, n. 22256,
rv. 234148).
Sicché il sindacato della Cassazione resta quello di sola legittimità,
esulando dai poteri della stessa quello di una rilettura degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche
laddove venga prospettata dal ricorrente, come nel caso in
esame, una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze
processuali (cfr. Cass., sez. II, 23.5.2007, n. 23419, rv. 236893).
Del resto tutte le questioni poste dal ricorrente hanno trovato
adeguata risposta da parte dei giudici di merito, come si evince
anche dalla motivazione della sentenza di primo grado, di cui si
può tenere conto in questa sede, formando essa un prodotto
unico con la sentenza della corte territoriale, in quanto entrambe
le decisioni fondano su criteri omogenei di valutazione ed hanno
seguito un apparato logico argomentativo uniforme (cfr. Cass.,
sez. 3, 1.2.2002-12.3.2002, n. 10163, Lombardozzi D., rv.
221116).
Va, pertanto, evidenziato come il contatore pacificamente
manomesso “tramite la rimozione della apposita tavoletta anti

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pluralità di motivi di ricorso, in una valutazione necessariamente

frode e l’utilizzo di due cavi elettrici”, per consentire un allaccio
diretto alla rete attraverso la quale la società ACEA eroga l’energia
elettrica, era sì collocato nel vano centralizzato ubicato al numero
civico 271 di via Angelo Bassini, ma serviva l’interno n. 17 di via

disponibilità del ricorrente, coniuge dell’intestataria dell’utenza.
Si tratta di un dato di fatto sufficientemente dimostrato, con
motivazione logicamente coerente ed immune da vizi.
Come rilevato dai giudici di merito, infatti, fu proprio il Paulicelli
(identificato attraverso la carta di identità) ad essere sorpreso
all’interno del suddetto appartamento dai tecnici dell’ENEL che
procedettero al controllo, firmando il relativo verbale di verifica
(entrambe le circostanze non vengono specificamente contestate
dal ricorrente, che si limita ad un generico appunto sulla
impossibilità di qualificare i tecnici verificatori, agenti di polizia
giudiziaria), sia dall’ulteriore significativa circostanza che dall’atto
di nomina del difensore di fiducia risulta che lo stesso imputato
risiede proprio in via Angelo Bassini n. 22 (cfr. p. 4 della sentenza
di primo grado).
In quanto utilizzatore dell’appartamento in questione, Paulicelli è
stato, dunque, correttamente ritenuto responsabile del reato
aggravato di cui si discute, avendo egli, attraverso la descritta
manomissione, sottratto, con dolo (come si evince dalle concrete
circostanze connotanti l’azione delittuosa: cfr. Cass., sez. 6^,
6.4.2011, n. 16465, rv. 250007), l’energia elettrica all’ente
erogatore, destinandola al servizio dell’abitazione familiare.
E di tale reato egli avrebbe dovuto rispondere anche se, in ipotesi,
l’allacciamento abusivo alla rete di distribuzione fosse stato

Angelo Bassini n. 22, vale a dire un appartamento nella concreta

materialmente compiuto da persona diversa dallo stesso imputato
(cfr. Cass., sez. 5″, 19.2.2014, n. 32025, rv. 261745).
Per tali ragioni, dunque, la responsabilità del Paulicelli, come
correttamente rilevato dalla corte territoriale (cfr. p. 4), non è

la moglie, che, eventualmente, potrà concorrere nel delitto in
questione (ed a tal fine il primo giudice ha opportunamente
disposto la trasmissione degli atti all’ufficio della procura della
Repubblica per le valutazioni di competenza).
Inammissibili, infine, appaiono i rilievi in ordine al trattamento
sanzionatorio, in quanto essi, da un lato si risolvono in censure di
merito sulla entità della pena non consentite in sede di legittimità
(nella parte in cui il ricorrente lamenta la mancata applicazione
delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza,
piuttosto che di prevalenza); dall’altro appaiono manifestamente
infondati, stante il riferimento ai criteri di cui all’art. 133, c.p.,
operato dal giudice di primo grado, nel ritenere equa la pena di
mesi sei di reclusione ed euro 200,00 di multa, secondo una
tecnica motivazionale, che, tenuto conto della entità della
sanzione inflitta, quasi corrispondente ai minimi edittali di cui
all’art. 624, c.p., appare del tutto legittima (cfr. Cass., sez. 4″,
25/09/2007, n. 44766, G.; Cass., sez. 4″, 14/07/2010, n. 36358,
T.V.; Cass., sez. 4″, 05/11/2009, n. 6687, C. e altro; Cass., sez.
3″, 08/10/2009, n. 42314, E.).
4. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in
premessa va, dunque, dichiarato inammissibile, con condanna del
ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese
del procedimento e della somma di euro 1000,00 a favore della
cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che

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esclusa dalla circostanza che la formale intestataria dell’utenza sia

l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non
consente di ritenere il ricorrente medesimo immune da colpa nella
determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr.
Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro
1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 12.11.2015

P.Q.M.

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