Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6886 del 12/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6886 Anno 2016
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

Data Udienza: 12/11/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Menta Gigi Nello, nato in Francia il 3.9.1953, avverso la sentenza
pronunciata dalla corte di appello di Roma il 21.10.2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

FATTO E DIRITTO

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1. Con sentenza pronunciata il 21.10.2014 la corte di appello di
Roma confermava la sentenza con cui il tribunale di Roma, in data
19.9.2014, aveva condannato alle pene, principale ed accessorie,

reato in favore della costituita parte civile, Menta Gigi Nello, in
relazione ai reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale per
distrazione e di bancarotta fraudolenta documentale di cui ai capi
a) e b) dell’imputazione, in relazione al fallimento della “MSM
MacroSystem Management srl”, dichiarato il 16.1.2002, di cui il
Menta è stato legale rappresentante dal 22.9.99 al 14.11.2000.
2.

Avverso la sentenza della corte di appello, di cui chiede

l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione
l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, avv. Michele
Arditi di Castelvetere, del Foro di Roma, lamentando: 1)
mancanza di motivazione in ordine ai motivi di appello, con cui si
eccepiva che, avendo provveduto il Menta, all’atto della sua uscita
dalla compagine sociale di cui era stato amministratore, a
consegnare i beni della società, ivi compresi quelli indicati come
oggetto di distrazione, e le scritture contabili alla nuova
amministratrice, Melnychyn Mariya, i fatti di bancarotta per cui è
processo sono da ascrivere unicamente a quest’ultima, essendosi
limitata la corte di appello a rendere sul punto una motivazione
che risulta, nella sua genericità, del tutto apparente, mentre nel
resto operava una semplice trasposizione della motivazione della
sentenza di primo grado; 2) violazione di legge e vizio di
motivazione, in relazione all’art. 522, c.p.p., in quanto la corte di
appello ha affermato la responsabilità dell’imputato per aver
distratto beni per un valore di 3.400.000,00 euro, acquistati dalla

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ritenute di giustizia, oltre al risarcimento dei danni derivanti da

società fallita tra il maggio ed il dicembre del 2000, quando il
Menta era ancora legale rappresentante della società in questione,
senza considerare, tuttavia, che tale condotta è stata contestata
solo alla Melnychyn e mai all’imputato; 3) travisamento della

societario noto era costituito quasi esclusivamente da crediti per
forniture di merci fatturate tra maggio e dicembre del 2000, per
circa 3.400.000,00 euro, formatisi nel periodo in cui il Meta era
ancora amministratore della società, non ha tenuto conto che il
tribunale fallimentare e lo stesso consulente del pubblico
ministero hanno determinato il valore della massa passiva in euro
592.306,56, non potendo considerarsi parte integrante del
passivo quei crediti, per un importo del valore di 2.800.000,00
euro, la cui insinuazione è stata esclusa, anche perché non è stata
effettuata alcuna indagine sull’esito dei relativi giudizi di
opposizione, per cui, considerando il dato reale della massa
passiva accertata in sede fallimentare, formata dall’ammontare
dei crediti ammessi, non risulta possibile dimostrare che il passivo
effettivamente accertato si sia formato durante il periodo di
amministrazione del ricorrente, non essendo stato svolto, inoltre,
nessun accertamento sulla natura e sul momento di nascita delle
obbligazioni che hanno concorso a formare il passivo nella misura
ammessa; 4) violazione di legge, vizio di motivazione e
travisamento della prova in relazione alle dichiarazioni del teste
De Matteis, il quale, incaricato nell’ottobre del 2000 dal Menta di
tenere le scritture contabili della società, che aveva restituito alla
Melnychyn nel dicembre dello stesso anno, stante l’impossibilità di
adempiere al proprio mandato a causa dell’incompletezza della
documentazione ricevuta dal Menta, ha in realtà affermato che

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prova, in quanto la corte territoriale nell’affermare che il passivo

l’unica documentazione mancante era la dichiarazione dei redditi
del 1999, per cui, dovendosi ricavare da tali dichiarazioni che le
scritture ed i registri obbligatori erano stati consegnati
dall’imputato al De Matteis e da quest’ultimo restituiti alla nuova

essere imputata la sottrazione degli stessi, non certo al Menta,
allontanatosi dalla società e nei cui confronti non viene contestato
nemmeno di essersi comportato da amministratore di fatto; 5)
violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto, da un lato
l’affermazione della corte territoriale secondo cui la responsabilità
dell’imputato può essere desunta dalla mancata dimostrazione da
parte dell’amministratore della destinazione dei beni distratti,
integra un’inammissibile inversione dell’onere della prova a carico
dello stesso imputato, avendo la corte territoriale trascurato che
un’indicazione (non smentita) sulla destinazione dei beni in favore
della nuova amministratrice è stata comunque fornita dal Meta;
dall’altro la corte territoriale ha omesso di considerare che lo
stesso tribunale ha ritenuto dimostrato il pagamento preferenziale
di crediti da parte del Meta per un valore complessivo di
6.375.777,79 euro, integrante il delitto di bancarotta preferenziale
estinto per prescrizione, per cui, se a tali crediti si aggiungono
quelli esclusi dalla massa fallimentare, giungendo ad un valore
complessivo di oltre 8.700.000,00 euro di somme rimesse ai
creditori con pagamenti preferenziali, non si può affermare che vi
sia stata anche distrazione delle stesse somme utilizzate per i
suddetti pagamenti preferenziali.
3. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.
4. Con esso, infatti, il ricorrente espone censure che si risolvono
in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento

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amministratrice, solo a quest’ultima, in tale sua qualità, può

della decisione impugnata, sulla base di nuovi e diversi parametri
di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di
logicità tali da evidenziare la sussistenza di ragionevoli dubbi,
ricostruzione e valutazione, in quanto tali, precluse in sede di

255502; Cass., sez. I, 16.11.2006, n. 42369, rv. 235507; Cass.,
sez. VI, 3.10.2006, n. 36546, rv. 235510; Cass., sez. III,
27.9.2006, n. 37006, rv. 235508).
Ed invero non può non rilevarsi come il controllo del giudice di
legittimità, anche dopo la novella dell’art. 606, c.p.p., ad opera
della I. n. 46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di
deduzioni connesse a diversi atti del processo, e di una correlata
pluralità di motivi di ricorso, in una valutazione necessariamente
unitaria e globale, che attiene alla reale esistenza della
motivazione ed alla resistenza logica del ragionamento del
giudice di merito, essendo preclusa al giudice di legittimità la
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione
o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione
e valutazione dei fatti (cfr. Cass., sez. VI, 26.4.2006, n. 22256,
rv. 234148).
Né va taciuto che, con riferimento alla sussistenza dell’elemento
oggettivo dei delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per
distrazione e di bancarotta fraudolenta documentale, il ricorrente
reitera acriticamente censure già formulate e disattese dal giudice
di appello, che, pertanto, devono considerarsi non specifiche, ma,
piuttosto, meramente apparenti, in quanto non assolvono la
funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di
ricorso.

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giudizio di cassazione (cfr. Cass., sez. V, 22.1.2013, n. 23005, rv.

La mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere
apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza,
ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate della decisione impugnata e quelle poste a

esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di
mancanza di specificità, conducente, a norma dell’art. 591, co. 1,
lett. c), c.p.p., all’inammissibilità (cfr. Cass., sez. IV, 18.9.1997 13.1.1998, n. 256, rv. 210157; Cass., sez. V, 27.1.2005 25.3.2005, n. 11933, rv. 231708; Cass., sez. V, 12.12.1996, n.
3608, p.m. in proc. Tizzani e altri, rv. 207389).
Inoltre, in relazione al contenuto delle dichiarazioni del teste De
Matteis Bernardino, escusso ex art. 507, c.p.p., non può non
rilevarsi la violazione, da parte del ricorrente, del principio della
cd. autosufficienza del ricorso, secondo cui anche in sede penale,
allorché venga lamentata l’omessa o travisata varutazione di
specifici atti processuali, è onere del ricorrente suffragare la
validità del proprio assunto mediante la completa allegazione
ovvero la trascrizione dell’integrale contenuto di tali atti,
dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimità il loro esame
diretto, salvo che il “fumus” del vizio dedotto non emerga
all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (cfr. Cass., sez.
I, 17/01/2011, n. 5833, G.), circostanza non sussistente, in tutta
evidenza, nel caso in esame.
Nel resto i motivi di ricorso risultano affetti da evidente genericità,
soprattutto se confrontati con una motivazione, che, secondo un
percorso approfondito ed immune da vizi, tanto logici, quanto di
diritto, ha ricostruito puntualmente le condotte illecite poste in
essere dal Menta, evidenziando, quanto alla contestata bancarotta

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fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le

t

fraudolenta per distrazione, avente ad oggetto beni per un valore
di 7.239.041,28, tutti gli atti distrattivi attribuibili al Menta, a
partire dal prelievo da parte dell’imputato di consistenti importi
depositati sui conti societari nell’ottobre del 2000; con riferimento

depositati i bilanci dal 2000 e che dal bilancio del 31.12.1999
risultavano passività per oltre sei milioni di euro, di cui era stato
impossibile ricostruire le vicende (cfr. pp. 4-5 della sentenza
oggetto di ricorso).
5. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in
premessa va, dunque, dichiarato inammissibile, con condanna del
ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese
del procedimento e della somma di euro 1000,00 a favore della
cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che
l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non
consente di ritenere il ricorrente medesimo immune da colpa nella
determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr.
Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro
1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 12.11.2015

alla bancarotta fraudolenta documentale, che non risultavano

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