Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6885 del 12/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6885 Anno 2016
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Abbascià Francesco, nato a Catania il 3.5.1971, avverso la
sentenza pronunciata dalla corte di appello di Catania il
30.4.2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.

Data Udienza: 12/11/2015

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza pronunciata il 30.4.2015 la corte di appello di
Catania confermava la sentenza con cui il tribunale di Catania, in

Abbascià Francesco, in relazione ai reati di cui agli artt. 75, co.
2(capo A) e 73 (capo B) d.lgs. n. 159 del 2011, commessi
attraverso le condotte specificamente indicate nei capi di
imputazione.
2. Avverso la sentenza della corte di appello catanese, di cui
chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per
cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, avv.
Salvatore Pappalardo, del Foro di Siracusa, lamentando: 1)
violazione di legge in relazione all’art. 15, c.p., in quanto, ad
avviso del ricorrente, il reato di guida senza patente commesso
dal sorvegliato speciale, previsto dall’art. 73, d.lgs. n. 159 del
2011, assorbe in sé quello di violazione delle prescrizioni inerenti
la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno di cui all’art. 75,
co. 2, del medesimo testo normativo, di cui contiene tutti gli
elementi tipici, riferendosi tale ultima disposizione esclusivamente
alla violazione dei doveri tipici del sorvegliato speciale e non dei
doveri riferibili alla generalità dei consociati, come appare l’obbligo
di rispettare le leggi; 2) omessa motivazione in ordine alla
circostanza che dalla condotta dell’imputato sia derivata una
concreta lesione o messa in pericolo dell’interesse all’ordine ed
alla sicurezza pubblica protetto dalla norma incriminatrice di cui
all’art. 75, d.lgs. n. 159 del 2011; 3) violazione di legge con
riferimento all’applicazione dell’aumento di pena conseguente al
riconoscimento della recidiva reiterata di cui all’art. 99, co. 4,

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data 19.9.2014, aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia

c.p.p., che risulta priva di motivazione; 4) violazione di legge e
vizio di motivazione, in ordine sia al mancato riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche, sia all’entità della pena,
giudicata eccessiva.

parte infondati, in parte inammissibili.
4. Con riferimento ai primi due motivi di ricorso se ne deve
rilevare l’infondatezza.
Ed invero la corte territoriale, nel confermare la sentenza di
condanna pronunciata in primo grado anche per il reato di cui
all’art. 75, co. 2, d.lgs. 6.9.2011, n. 159, nei confronti
dell’imputato, sorpreso alla guida di un motociclo “Beverly 200”
privo di patente di guida., perché ritirata, mentre era sottoposto
alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo
di soggiorno, si è uniformata al costante orientamento di questa
Suprema Corte, secondo cui la condotta del soggetto che,
sottoposto al provvedimento definitivo della misura di prevenzione
della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, guidi un
veicolo essendo privo di patente di guida, integra non solo la
contravvenzione prevista dall’art. 73 d.lgs. del 6 settembre 2011
n. 159, ma anche il delitto previsto dall’art. 75 comma 2 del
medesimo d.lgs. (cfr. Cass., sez. VI, 20/11/2013, n. 48465, rv.
257712; Cass., sez. I, 2.4.2014, n. 17728, rv. 259735; Cass.,
sez. I, 5.2.2009, n. 8496, rv. 243453).
Come è stato opportunamente osservato, infatti, in un caso come
quello in esame l’agente, con un’unica condotta, viola norme
penali che tutelano beni giuridici diversi: da un lato, la sicurezza
della circolazione stradale (art. 73); dall’altro, l’obbligo generale di
rispettare la legge (art. 75, co. 2).

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3. Il ricorso non può essere accolto, essendo sorretto da motivi in

Sempre con riferimento all’ipotesi di reato di cui all’art. 75, co. 2,
d.lgs. n. 159 del 2011 (in rapporto di continuità normativa con la
precedente fattispecie di cui all’art. 9, comma 2, I. 1423/56), va,
poi, rilevato che, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente,

corte territoriale per dimostrare la lesione dell’interesse protetto
dalla norma incriminatrice.
Esso, infatti, è in re ipsa nella particolare natura della violazione
commessa, consistente nel circolare a bordo di un motociclo privo
della patente di guida, fonte di per sé di una concreta lesione o
messa in pericolo dell’interesse all’ordine ed alla sicurezza
pubblica, protetto dalla norma incriminatrice (cfr. Cass., sez. I,
04/07/2012, n. 30995).
Tale condotta, infatti, contrasta palesemente con la prescrizione di
“vivere onestamente e rispettare le leggi” connessa con la misura
della sorveglianza speciale applicata all’imputato; e ciò perché una
siffatta attività pone comunque in pericolo beni di primario
interesse (la sicurezza della circolazione stradale) e contrasta con
quelle esigenze di difesa sociale che si vogliono tutelare attraverso
la prescrizione in questione e le ulteriori che accedono alla misura
della sorveglianza speciale (cfr. Cass., sez. I, 11/10/2013, n.
2933).
5. Inammissibili, invece, appaiono gli ulteriori motivi di ricorso.
5.1. Manifestamente infondato risulta il motivo di ricorso
sintetizzato sub n. 3), in quanto, contrariamente all’assunto
difensivo, la corte territoriale ha specificamente indicato le ragioni
che l’hanno indotta a mantenere ferma la recidiva già riconosciuta
in primo grado, evidenziando come “la condotta giudicata – posta
in essere da sottoposto a misura di prevenzione della sorveglianza

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non vi era bisogno di una specifica motivazione da parte della

speciale – certamente costituisce indice dell’ennesima scelta di
delinquere da parte dell’appellante che così dimostra una sempre
più marcata personalità dedita alla violazione delle leggi” (cfr. p.
4).

ritenersi, sul punto, del tutto conforme all’orientamento
dominante in sede di legittimità, secondo cui l’applicazione
dell’aumento di pena per effetto della recidiva facoltativa attiene
all’esercizio di un potere discrezionale del giudice, del quale deve
essere fornita adeguata motivazione, con particolare riguardo
all’apprezzamento dell’idoneità della nuova condotta criminosa in
contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo
(cfr.,

ex plurimis, Cass., sez. VI, 15.3.2011, n. 14550, rv.

250039).
Inammissibili, d’altro canto, sono i rilievi difensivi in ordine alla
possibilità di “calmierare e financo di escludere l’aumento di pena,
collegato alla recidiva di cui all’art. 99, co. 4, c.p.p.”, in
considerazione “del comportamento dell’imputato durante la fase
del suo arresto”, della “non particolare lesione del bene tutelato
dalla norma”, della “non gravità, nel suo complesso, del fatto
reato” per cui si è proceduto, trattandosi di censure sulla entità
del trattamento sanzionatorio, non consentite in sede di
legittimità.
Alla medesima critica si espongono i residui motivi di
impugnazione, peraltro genericamente rappresentati, riguardanti
la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e
l’eccessiva severità del trattamento sanzionatorio.
Al riguardo va ribadito che, come chiarito dall’orientamento
assolutamente dominante in sede di legittimità, condiviso dal

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La motivazione della sentenza oggetto di ricorso deve, pertanto,

Collegio, in tema di circostanze attenuanti generiche, posto che la
ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di
consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole
all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione

del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la
meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per
scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice,
ove questi ritenga di escluderla, di giustificarne sotto ogni
possibile profilo l’affermata insussistenza.
Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita, essa
stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione
dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati
ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento
sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso,
adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a
fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento
delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a
sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti
tuttavia la stretta necessità della contestazione o della
invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda.
In questa prospettiva, anche uno solo degli elementi indicati
nell’art. 133 c.p., attinente alla personalità del colpevole o alla
entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso, può essere
sufficiente per negare o concedere le attenuanti generiche.
Per il diniego della concessione delle attenuanti generiche,
pertanto, non è necessario che il giudice prenda in considerazione
tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o
rilevabili dagli atti, ma è sufficiente il riferimento a quelli ritenuti

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di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto

decisivi o comunque rilevanti, purché la valutazione di tale
rilevanza tenga obbligatoriamente conto, a pena di illegittimità
della motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto
dall’interessato, derivandone così che, esemplificando, le suddette

in base ai precedenti penali dell’imputato (cfr.,

ex plurimis,

Cassazione penale, sez. IV, 28/05/2013, n. 24172; Cass., sez.
III, 23/04/2013, n. 23055, rv. 256172).
A tali principi si è puntualmente attenuta la corte territoriale,
evidenziando, a fronte dei rilievi difensivi sul punto, con
motivazione approfondita ed esente da vizi logici, sia l’esistenza a
carico dell’imputato di precedenti penali reiterati e specifici, sia la
congruità del trattamento sanzionatorio, essendo stata individuata
una pena-base vicina al limite edittale, su cui è stato operato un
“assai limitato aumento per la continuazione” (cfr. p. 4).
Evidente, dunque, la manifesta infondatezza dei motivi di ricorso,
avendo la corte territoriale puntualmente utilizzato i criteri di cui
all’art. 133, c.p., per fondare la propria argomentata decisione,
rispetto alla quale, come si è detto, le censure del ricorrente si
appalesano anche come rilievi attinenti all’adeguatezza dell’entità
del trattamento sanzionatorio, non consentiti in sede di
legittimità, in quanto implicanti una valutazione di puro merito.
4. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in
premessa va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento,
ai sensi dell’art. 616, c.p.p., delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma il 12.11.2015.

circostanze attenuanti ben possono essere negate anche soltanto

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