Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6884 del 12/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 6884 Anno 2016
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
Giacomoni Roberto, nato a Trento il 31.12.1956; Peratoner
Fausto, nato a Trento il 17.6.1960 e da Andermacher Cesare,
nato a Trento il 22.7.1960, avverso la sentenza pronunciata dalla
corte di appello di Trento il 12.12.2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per il rigetto dei
ricorsi;

Data Udienza: 12/11/2015

*

udito per i ricorrenti il difensore di fiducia, avv. Marco Stefenelli,
del Foro di Trento, che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza pronunciata il 12.12.2014 la corte di appello di
Trento confermava la sentenza con cui il giudice per le indagini
preliminari presso il tribunale di Trento, in data 10.12.2013,
decidendo in sede di giudizio abbreviato, aveva condannato
Giacomoni Roberto, Peratoner Fausto e Andermacher Cesare alle
pene ritenute di giustizia, in relazione al reato di cui all’art. 2638,
co. 2, c.c., in quanto, nelle loro rispettive qualità di presidente del
consiglio di amministrazione e legale rappresentante pro-tempore,
di direttore e di vice direttore generale della società cooperativa
“La Vis”, omettevano sia di indicare nei bilanci societari la
fidejussione di euro 12.200.000,00 rilasciata il 2.11.2005 dalla
suddetta società cooperativa in favore di “ISA s.p.a” nell’interesse
della controllata “Ethica s.p.a.”, sia di informare, in violazione di
specifici obblighi di legge, tra gli altri, l’organo di revisione, in tal
modo ostacolando l’esercizio delle funzioni di verifica e di controllo
degli organi preposti alla vigilanza sulla gestione economica della
cooperativa, che ne venivano a conoscenza solo nel giugno del
2010,

provvedendo,

di

conseguenza,

a

disporne

il

commissariamento solo nel settembre del 2010.
2. Avverso la sentenza della corte di appello, di cui chiedono
l’annullamento, hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione
con un unico atto di impugnazione sorretto da motivi comuni tutti
gli imputati, a mezzo dei loro difensori, avv. Marco Stefenelli ed
avv. Luca Pontalti, del Foro di Trento, lamentando: 1) violazione

,

,

IL

di legge in relazione al reato di cui all’art. 2638, c.c., in quanto la
corte territoriale ha desunto la responsabilità penale degli imputati
esclusivamente sulla base del dato oggettivamente incontestabile
della mancata annotazione della fidejussione nei conti d’ordine

soggettivo del reato, al fine di dimostrare, come sarebbe stato
necessario, che la condotta omissiva sia stata sorretta dalla
specifica volontà di ostacolare l’esercizio delle funzioni di vigilanza
delle pubbliche autorità ad esse preposte; peraltro, evidenziano i
ricorrenti, la corte territoriale, nel disattendere le doglianze
difensive sul punto ha osservato che, in realtà, nel caso in esame,
non ricorre l’ipotesi di reato di cui al primo comma dell’art. 2638,
c.c., ma quella di cui al secondo comma della medesima norma,
punita a titolo di dolo generico, fattispecie di cui, tuttavia,
secondo i ricorrenti, difettano gli elementi costitutivi, in quanto,
da un lato non sussiste un autonomo dovere di comunicazione
avente ad oggetto l’attendibilità e la completezza delle singole
poste dei bilanci, quale l’avvenuto rilascio di una fidejussione, nel
caso, come quello in esame, in cui i bilanci societari sono stati
sempre comunicati agli organi interni ed esterni di vigilanza,
dovendosi, peraltro, ritenere che ogni violazione del dovere di
comunicazione ricada nella previsione normativa di cui al primo
comma dell’art. 2638, c.c.; dall’altro non può affermarsi che dalla
omessa comunicazione di anche una sola delle suddette poste
derivi il verificarsi dell’evento materiale di ostacolo all’esercizio
delle funzioni di vigilanza, fattispecie caratterizzata da notevole
indeterminatezza, in cui non può farsi rientrare l’omissione
dell’annotazione di una singola posta di bilancio, omissione
oltretutto facilmente superabile attraverso il semplice e doveroso

3

della società, senza estendere la propria indagine all’elemento

esame da parte degli organi di vigilanza e di controllo della
documentazione contrattuale di supporto della più rilevante tra le
operazioni finanziarie poste in essere dalla società cooperativa; 2)
violazione di legge in relazione al mancato rilievo della intervenuta

reato istantaneo con effetti eventualmente permanenti, essendo
stata la fidejussione rilasciata il 28 ottobe del 2005, quindi nel
corso dell’esercizio sociale del 2005, essa avrebbe dovuto essere
iscritta nei conti d’ordine del bilancio chiuso al 30.6.2006, che
rappresenta il dies a quo del relativo termine prescrizionale, pari,
nella sua massima estensione, a sette anni e sei mesi; 3) vizio di
motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità
dell’Andermarcher, che, essendo un mero dipendente della
cooperativa, non può ritenersi titolare della posizione di garanzia
di cui all’art. 2638, c.c., ovvero destinatario dei relativi obblighi;
né la corte territoriale ha indicato in cosa sarebbe consistito il
concreto contributo fornito dall’imputato ai soggetti qualificati
nella commissione del reato proprio, non potendosi ritenere tale il
ruolo, definito rilevante, svolto dal ricorrente nella gestione
dell’operazione “acquisizione Casa Girelli” all’interno della quale si
colloca il rilascio della garanzia fidejussoria.
3. I ricorsi sono infondati e vanno, pertanto, rigettati.
4.

Ed invero infondato appare innanzitutto il primo motivo di

ricorso.
Al riguardo non appare revocabile in dubbio che l’art. 2638, c.c.
(“Ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di
vigilanza”) appartenga al

genus,

individuato dalla dottrina

penalistica, delle “norme miste cumulative”, prevendendo, con

4

estinzione per prescrizione del reato, in quanto, trattandosi di

particolare riferimento al contenuto del primo e del secondo
comma, distinti fatti di reato, sanzionati con la stessa pena.
In particolare, ai sensi del primo comma dell’art. 2638, c.c., “gli
amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla

di società o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle
autorità pubbliche di vigilanza, o tenuti ad obblighi nei loro
confronti, i quali nelle comunicazioni alle predette autorità
previste in base alla legge, al fine di ostacolare l’esercizio delle
funzioni di vigilanza, espongono fatti materiali non rispondenti al
vero, ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica,
patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza ovvero, allo
stesso fine, occultano con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in
parte fatti che avrebbero dovuto comunicare, concernenti la
situazione medesima, sono puniti con la reclusione da uno a
quattro anni. La punibilità è estesa anche al caso in cui le
informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società
per conto di terzi”
Il secondo comma della fattispecie incriminatrice, invece,
statuisce che “sono puniti con la stessa pena gli amministratori, i
direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti
contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società, o enti e gli
altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di
vigilanza o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali, in qualsiasi
forma, anche omettendo le comunicazioni dovute alle predette
autorità, consapevolmente ne ostacolano le funzioni.
La coincidenza dei soggetti attivi del reato (in entrambi i casi si
tratta di reato proprio) non fa venir meno la differenza ontologica
dei fatti punibili.

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redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori

Ed invero, come è stato opportunamente affermato,
l’incriminazione di cui all’art. 2638, co. 1, c.c., è incentrata su due
condotte, dotate di pari offensività: l’esposizione di fatti non
rispondenti al vero e l’occultamento (anche parziale), con altri

fonte normativa, non esclusivamente identificabile nella legge, ma
che in quest’ultima trovi la sua legittimità.
L’ipotesi presa in considerazione dal secondo comma dell’art.
2638, c.c., invece, richiede, per la sua consumazione, che si sia
realizzato un effettivo ostacolo alle funzioni di vigilanza,
configurandosi come un reato di danno, laddove l’ipotesi di cui al
citato primo comma si presenta come un reato di pericolo
concreto, in cui, come è stato osservato dalla migliore dottrina
penalistica, “l’ostacolo alle funzioni di vigilanza è solo l’oggetto
sperato del dolo specifico”, secondo un modello di tutela
anticipata del bene giuridico protetto, focalizzato sulla natura
fraudolenta delle condotte finalizzate ad ostacolare le funzioni di
vigilanza mediante falese informazioni.
Il delitto di cui all’art. 2638 c.c., comma 1, è, dunque, un reato di
mera condotta, integrato sia dalla mera omessa comunicazione di
informazioni dovute (cfr. Cass., sez. 5″, 7.12.2012, n. 49362, rv.
254065), sia dal ricorso a mezzi fraudolenti volti ad occultare
all’organo di vigilanza l’esistenza di fatti rilevanti per la situazione
economica, patrimoniale finanziaria della società (cfr. Cass., sez.
6^, 9.11.2010, n. 40164, rv. 248821), che si consuma nel
momento in cui viene posta in essere una delle condotte
alternative previste dalla menzionata disposizione normativa,
finalizzata a celare la effettiva realtà economica, patrimoniale o
finanziaria dei soggetti sottoposti al controllo delle autorità

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mezzi fraudolenti, di fatti la cui comunicazione sia imposta da una

pubbliche di vigilanza (cfr. Cass., sez. 5^, 04/07/2013, n. 51897,
rv. 258033; Cass., sez. 5^, 21/05/2014, n. 26596, rv. 262637).
Il delitto previsto dall’art. 2638, co. 2, c.c., invece, è un delitto di
evento, per la cui consumazione è necessario che si sia verificato

organi a ciò preposti, quale conseguenza di una condotta che può
assumere qualsiasi forma, anche quella consistente nella
omissione delle comunicazioni dovute alle predette autorità (cfr.
Cass., sez. 5^, 07/12/2012, n. 49362, rv. 254065),
conformemente alle prescrizioni sulla incriminazione anche dei
comportamenti omissivi contenute nell’art. 11, lett. b), della legge
delega per la riforma del diritto societario, in base alla quale è
stato emanato il d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, che, nel rimodulare
la disciplina dei reati societari, ha modificato, tra gli altri, anche
l’art. 2638, c.c.
Atteggiandosi nei diversi modi innanzi indicati la condotta illecita
prevista dall’art. 2638, co. 1 e 2, c.c., che, lo si ripete, configura
due differenti ed autonome ipotesi di reato, non può revocarsi in
dubbio che quando essa si concretizzi, come nel caso in esame,
nella omessa comunicazione alle autorità di vigilanza di
informazioni dovute, sia configurabile un concorso formale di reati
cd. eterogeneo, caratterizzato, cioè, dalla contemporanea
violazione di diverse disposizioni di legge con una sola omissione,
conformemente alla previsione dell’art. 81, co. 1, c.p.
Ne consegue che la censura dei ricorrenti, volta a far valere un
difetto di motivazione della sentenza impugnata con riferimento al
dolo specifico richiesto per l’integrazione dell’ipotesi di reato di cui
all’art. 2638, co. 1, c.c., cui si pretende di ricondurre la condotta
degli imputati, non coglie nel segno, perché la suddetta condotta,

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un effettivo e rilevante ostacolo alle funzioni di vigilanza degli

ricostruita dai giudici di merito, come si è detto in termini
omissivi, è idonea ad integrare anche la (diversa) ipotesi di reato
di cui all’art. 2638, co. 2, c.c., per la quale è sufficiente il dolo
generico.

approfondita ed immune da vizi logici e di diritto.
Il giudice di appello, infatti, secondo un percorso motivazionale
del tutto condivisibile, nel ricondurre la condotta dei prevenuti al
paradigma normativo di cui all’art. 2638, c.c., ha innanzitutto
evidenziato come, ai sensi della legge regionale n. 5 del 9.7.2008,
“gli organi della cooperativa in questione erano tenuti alla
comunicazione dei bilanci alla Federazione Trentina della
cooperazione, quale società di revisione, anche al fine di
consentire un controllo mediato da parte della Provincia (tanto
che la proposta di commissariamento avanzata dagli Uffici
Provinciali proveniva proprio dalla Divisione Vigilanza della
suddetta Federazione)”, per cui non è “fondatamente sostenibile
che la mancata appostazione della fidejussione nei conti d’ordine
della società sia penalmente irrilevante”.
Si è, dunque, verificato, come correttamente rilevato dal giudice
di appello, attraverso la suddetta mancata appostazione, un
concreto e rilevante ostacolo alle funzioni di controllo e di
revisione, quindi di vigilanza, che la menzionata legge regionale
attribuisce alla Provincia (anche per il tramite dell’associazione di
rappresentanza del movimento cooperativo, come previsto
dall’art. 21, legge regionale n. 5 del 2008), che, infatti, “ha
provveduto al commissariamento della Cantina LA.VIS con
notevolissimo ritardo (delibera 1965 del 1.9.2010)” (cfr. p. 8 della
sentenza oggetto di ricorso).

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Sul punto la motivazione della corte territoriale appare

La corte territoriale, infine, si è soffermata specificamente anche
sul profilo dell’elemento soggettivo del reato, evidenziando come
la prova del dolo generico si desuma dalle modalità della condotta
(gli imputati hanno occultato ai soci, ai terzi ed alle stesse

pregiudizievoli dell’acquisizione”); dalle qualifiche soggettive
rivestite dagli imputati e dall’importo ingentissimo
dell’obbligazione assunta dalla società (tutte circostanze che
escludono un comportamento meramente colposo), in ciò
conformandosi al costante insegnamento del Supremo Collegio,
secondo cui la prova della volontà di commissione del reato è
prevalentemente affidata, in mancanza di confessione, alla ricerca
delle concrete circostanze che abbiano connotato l’azione e delle
quali deve essere verificata la oggettiva idoneità a cagionare
l’evento in base ad elementi di sicuro valore sintomatico, valutati
sia singolarmente sia nella loro coordinazione (cfr., ex plurimis,
Cass., sez. 6^, 6.4.2011, n. 16465, rv. 250007).
5. Infondato appare anche il secondo motivo di ricorso.
Proprio la natura di reato di danno a forma libera della fattispecie
di cui all’art. 2638, co. 2, c.c., ne legittima la costruzione anche in
termini di reato eventualmente permanente, di reato, cioè, che,
nel concreto atteggiarsi della condotta criminosa, può assumere la
forma tipica del reato permanente, in relazione al quale il
soggetto agente ha il potere non soltanto di instaurare la
situazione antigiuridica, ma anche di rimuoverla, determinando
così la riespansione del bene compresso, sicché il protrarsi
dell’offesa al bene protetto, che richiede il mantenimento dello
stato antigiuridico per un apprezzabile lasso di tempo, dipende

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strutture amministrative della società “gli aspetti maggiormente

dalla volontà dell’autore del reato (cfr., in tal senso, da ultima,
Cass., sez. 5^, 3.2.2015, n. 28157, rv. 264915).
Applicando tali principi al caso in esame è, dunque, possibile
affermare che la consumazione del reato di ostacolo all’esercizio

secondo la previsione tipica dell’art. 2638, co. 2, c.c., omettendo
le comunicazioni dovute alle suddette autorità, si protrae per tutto
il tempo in cui le comunicazioni, pur potendo ancora essere
utilmente effettuate, continuano ad essere omesse, costituendo,
per l’appunto, significativo indice rivelatore della permanenza la
sistematica pluralità di omissioni di identico contenuto poste in
essere dal soggetto agente, che trovano la loro ragione
giustificatrice nel fattore unificante dell’ostacolo alle funzioni di
vigilanza, conformemente ai tratti salienti del reato
eventualmente permanente, come elaborati dalla giurisprudenza
di legittimità (cfr., oltre alla già citata Cass., sez. 5^, 3.2.2015, n.
28157, rv. 264915, Cass., sez. 3^ 25.6.2012 n. 37415, rv.
253359; Cass., sez. 3^, 10.6.2014, n. 30910, rv. 260011; Cass.,
sez. 6^, 25.9.2014, n. 49226, rv. 261355).
Ne consegue che il termine di prescrizione del reato per cui si
procede (pari nella sua estensione massima a sette anni e sei
mesi) non può ritenersi perento.
Ed invero, essendo stata fissata al 2.11.2011 la durata della
fidejussione, come accertato dai giudici di merito, l’obbligo di
riportare in bilancio la concessione della suddetta garanzia, in
modo che ne avessero contezza gli organi di vigilanza, poteva e
doveva essere adempiuto anche per gli anni successivi al 2006,
per cui il dies a quo del relativo termine di prescrizione non deve
individuarsi nel 30.6.2006, ma piuttosto, in quello (non prima del

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delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, realizzato,

giugno 2010) in cui gli organi preposti alla vigilanza sulla gestione
economica della cooperative ne vennero a conoscenza.
6. Manifestamente infondato, infine, deve ritenersi l’ultimo motivo
di ricorso, che, peraltro, appare anche meramente ripetitivo delle

territoriale, con motivazione approfondita ed immune da vizi, con
la quale il ricorrente non si confronta, limitandosi a proporre una
nuova ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi
di logicità tali da evidenziare la sussistenza di ragionevoli dubbi,
ricostruzione e valutazione, in quanto tali, precluse in sede di
giudizio di cassazione (cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 22.1.2013,
n. 23005, rv. 255502).
Come rilevato, infatti, dalla corte territoriale, alle luce di una
puntuale valutazione delle risultanze processuali, l’Andermacher,
lungi dall’essere un semplice impiegato d’ordine della “Cantina
LA.VIS….aveva rivestito una posizione primaria nella trattativa e
nell’intera operazione dell’acquisizione di Casa Girelli”, venendo
indicato dal teste Giacomoni (la cui attendibilità non ha fornito
oggetto di contestazione da parte del ricorrente) “come un
soggetto, altamente qualificato, che si era occupato
dell’operazione in esame, della redazione dei bilanci e delle
scritture della cooperativa Cantina LA.VIS” e “come la persona
che manteneva i rapporti con la Divisione Vigilanza della
Federazione delle cooperative”.
Lo stesso imputato del resto, come sottolinea opportunamente la
corte territoriale al fine di dimostrare la sussistenza dell’elemento
soggettivo del reato in capo all’Andermacher, ha ammesso di
essere stato a conoscenza della fidejussione prestata, “pur non

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doglianze prospettate con l’atto di appello, disattese dalla corte

riuscendo a spiegarsi la mancata indicazione a bilancio della
stessa”.
Né va taciuto che il ricorrente, quanto meno a far data dal 2008,
come rileva la corte di appello, “rivestiva la posizione di vice

Se ne deduce, pertanto, che, in considerazione del ruolo
dirigenziale e non meramente esecutivo in concreto svolto
dall’Andermacher all’interno della cooperativa ed anche della
posizione formale dallo stesso assunta a partire dal 2008 (tenuto
conto, sotto tale ultimo profilo del carattere permanente della
condotta illecita in esame), l’imputato rientra nel novero dei
soggetti destinatari del precetto penale, quanto meno nella sua
qualità di vice-direttore generale (figura equiparabile a quella di
direttore generale, per la sua posizione apicale, che lo distingue
dagli altri dirigenti) ovvero di dirigente preposto alla redazione dei
documenti contabili societari, che ha violato concorrendo con gli
altri imputati ad ommettere le dovute comunicazioni.
7. Sulla base delle svolte considerazioni i ricorsi di cui in premessa
vanno, dunque, rigettati, con condanna di ciascun ricorrente, ai
sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del
procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma il 12.11.2015

direttore generale della cooperativa” (cfr. pp. 10-12).

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