Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6877 del 28/10/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 6877 Anno 2016
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
Giannalia Francesco Paolo, nato a Palermo, il 5/6/1968;

avverso la sentenza del 30/4/2014 della Corte d’appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Gabriele
Mazzotta, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Palermo ha confermato la condanna
di Giannalia Francesco Paolo per il reato di minaccia aggravata commesso ai danni di
Bononno Maria Rosa.

Data Udienza: 28/10/2015

2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore deducendo vizi
della motivazione in merito alla sussistenza della prova del fatto e alla configurabilità
dell’aggravante di cui al secondo comma dell’art. 612 c.p., eccependo
conseguentemente il difetto di procedibilità del reato per mancanza della querela.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.

medesima sulle dichiarazioni della persona offesa, la cui attendibilità è stata
motivatamente ritenuta in forza dei riscontri ricavati da quelle delle testi Cutrò e
Signorelli.
2.1 Manifestamente infondate e generiche sono dunque le doglianze del ricorrente che
non tiene conto della consolidata giurisprudenza di questa Corte sul valore probatorio
delle dichiarazioni della persona offesa cui correttamente i giudici dell’appello si sono
richiamati.
2.2 In tal senso va infatti ribadito che le stesse, per fondare la prova di responsabilità,
non necessitano di riscontri esterni, ma semplicemente devono essere sottoposte ad un
vaglio accurato di attendibilità che può richiedere in alcuni casi l’opportunità che questi
vengano acquisiti, laddove esistano elementi in grado di far ritenere che la credibilità
del dichiarante possa essere messa in discussione (in concreto e non in astratto) dal
particolare interesse vantato ad accusare l’imputato.
2.3 Ciò ricordato i va dunque osservato che il ricorso non indica le ragioni per cui la
parte offesa non sarebbe credibile, né si confronta con la motivazione della sentenza
che ha dimostrato di aver svolto quella verifica di attendibilità di cui si è detto in
precedenza, giungendo in tal senso ad una valutazione positiva sulla base del fatto che
il racconto della Bonomo, come detto, ha trovato riscontri obbiettivi idonei a superare
qualsiasi ragionevole dubbio sulla sua credibilità, a nulla rilevando che tali riscontri
abbiano avuto ad oggetto solo una parte del fatto contestato o gli accadimenti
successivi alla sua consumazione, atteso che la sentenza ne ha logicamente apprezzato
la capacità di confermare le dichiarazioni della persona offesa.

3. Manifestamente infondata è anche la seconda censura avanzata con il ricorso. Ed
infatti l’aggravante di cui al secondo comma dell’art. 612 c.p. è configurabile non solo
quando la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell’art. 339 c.p. – come
erroneamente dimostra di credere il ricorrente – ma altresì quando la stessa possa
considerarsi grave. E’ a tale ultima fattispecie che si riferiva la contestazione mossa
all’imputato e che i giudici del merito hanno ritenuto integrata in forza del contenuto
della minaccia proferita dal Giannalia con valutazione correttamente svolta riguardo a

2. Quanto alla prova del fatto, la Corte territoriale ha correttamente fondato la

tutte le modalità della condotta, ed in particolare al tenore delle espressioni verbali ed
al contesto nel quale esse si collocano, verificando se, ed in quale grado, essa abbia
ingenerato timore o turbamento nella persona offesa (Sez. 5, n. 43380 del 26
settembre 2008, De Marco, Rv. 242188); valutazione peraltro non confutata dal
ricorrente. Non di meno deve rilevarsi come in ogni caso la doglianza sarebbe
inammissibile atteso che sul punto non erano stato proposto motivo alcuno con il
gravame di merito.

condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della
somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 28/10/2015

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA