Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 687 del 24/10/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 687 Anno 2017
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: AIELLI LUCIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DIAW CHEICH N. IL 02/08/1964
avverso la sentenza n. 1786/2010 CORTE APPELLO di GENOVA, del
15/09/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA AIELLI;

Data Udienza: 24/10/2016

IN FATTO E IN DIRITTO

Diaw Cheich ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova
del 15/9/2015, confermativa della sentenza del Tribunale di Sanremo del
9/4/2010, con la quale è stato condannato, per i reati ascritti, alla pena ritenuta
di giustizia, chiedendone l’annullamento ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b)
e c) cod. proc. pen.; deduce l’inosservanza ed erronea applicazione della legge
con riferimento alla dichiarazione di assenza dell’imputato in grado di appello e

Manifestamente infondati appaiono al Collegio i motivi di gravame
proposti; difatti, quanto al primo motivo, si rileva che il ricorrente solleva un
vizio in ordine alla dichiarazione di assenza, dalla quale, tuttavia, non si
comprende quale conseguenza pregiudizievole possa essergli derivata, essendo
pacifico che la dichiarazione di assenza, in quanto diretta a garantire la
conoscenza effettiva del processo, presenta maggiori garanzie rispetto alla
dichiarazione formale di contumacia, e che il ricorrente, a fronte di tale
accertamento , ha regolarmente esercitato il potere di impugnazione sia in grado
di grado di appello, sia in sede di legittimità .
Nel merito la sentenza citata anche attraverso il richiamo alla recente
giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio, rende adeguata
motivazione in ordine alla ritenuta integrazione, nella fattispecie oggetto del
presente ricorso, del reato di cui all’art. 474 cod. pen. contestato al capo a)
dell’imputazione e, conseguentemente, anche del reato di ricettazione contestato
al capo b). Il problema dell’inidoneità dei prodotti in sequestro ad indurre in
inganno il compratore è stato ripetutamente affrontato da questa Corte di
legittimità pervenendosi alla conclusione che la sussistenza di detta circostanza
non è idonea ad escludere l’integrazione del reato di cui all’art. 474 cod. pen.
Trattasi, difatti, di norma rivolta alla tutela, in via principale e diretta, non
dell’acquirente dei prodotti recanti i marchi contraffatti, ma della pubblica fede
intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e nei segni distintivi che
individuano le opere dell’ingegno ed i prodotti industriali e ne garantiscono la
circolazione; la norma in esame configura un reato di pericolo, per la cui
integrazione non occorre la realizzazione dell’inganno, non potendosi, neppure,
ritenere sussistente l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della
contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che
gli acquirenti siano tratti in inganno (sez. 5 n. 33324 del 17/4/2008, Rv.
241347; sez. n. 20944 4.5.2012, Rv. 252836). E la motivazione risulta esaustiva
e conforme alla recente giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio,
anche in ordine alla possibilità che i due reati contestati concorrano fra loro; in

per l’erronea applicazione degli artt. 474 e 648 cod. pen.

particolare si è, al riguardo, affermato che il delitto di ricettazione e quello di
commercio di prodotti con segni falsi possono concorrere, atteso che le
fattispecie incriminatrici descrivono condotte diverse sotto il profilo strutturale e
cronologico, tra le quali non può configurarsi un rapporto di specialità e che non
risulta dal sistema una diversa volontà espressa o implicita del legislatore (sez. 2
n. 12452 del 20/3/2008, Rv. 239745).
Le considerazioni sopra esposte impongono la dichiarazione di
inammissibilità del ricorso, cui consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la

versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che,
considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente
in C 2.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di duemila euro alla Cassa delle
ammende.
Roma, 24/10/2016

condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al

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