Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 685 del 03/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 685 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SPINELLA ANTONINO N. IL 09/07/1927
avverso la sentenza n. 51/2011 TRIBUNALE di MESSINA, del
09/11/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere
Dott. ANGELO CAPUTO
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Data Udienza: 03/12/2013

Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
di cassazione dott. Paolo Canevelli, che ha concluso per l’annullamento senza
rinvio della sentenza impugnata per prescrizione dei reati.
Udito altresì, per la parte civile, l’avv. Antonino Favazza, che ha concluso
per l’inammissibilità del ricorso, in subordine, per l’annullamento della sentenza,
depositando conclusioni e nota spese.

Con sentenza del 08/02/2011, il Giudice di pace di Messina condannava
Antonino Spinella per i reati, commessi in danno di Giovanna Micali, di cui agli
artt. 594 e 612 (capi A e B: in Messina il 08/10/2004), per il reato di cui all’art.
635 cod. pen. (capo C: in Messina in data antecedente 1’11/02/2004) e per il
reato di cui all’art. 582 cod. pen. (capo D: in Messina il 08/10/2004).
In parziale riforma della sentenza del Giudice di pace di Messina del
08/02/2011, il Tribunale di Messina, con sentenza deliberata il 09/11/2011,
assolveva Antonino Spinella dal reato di cui al capo C) dell’imputazione, per non
aver commesso il fatto, rideterminando la pena e confermando nel resto la
sentenza di primo grado. Il giudice di appello sottolinea che la dinamica dei fatti,
correttamente ricostruita dal Giudice di pace, è stata delineata dalla persona
offesa con dovizia di particolari, senza incorrere in alcuna contraddizione e in
termini perfettamente compatibili con la certificazione medica acquisita e con le
dichiarazioni dei testi escussi: Carmen Greco ha riferito, per un verso, di aver
sentito le grida della persona offesa che descriveva l’aggressione in atto e, per
altro verso, che il padre era stato avvicinato dall’imputato per evitare la sua
deposizione; Giovanna Greco ha confermato di aver visto Giovanna Micali
sanguinante dalla bocca, con ferite sulle braccia e con un occhio nero; Giuseppe
Micali ha precisato di aver udito delle invocazioni di aiuto da parte della persona
offesa, che affermava che l’imputato la stava “ammazzando” e chiedeva
l’intervento dei Carabinieri. Deve escludersi, osserva ancora il Tribunale di
Messina, la sussistenza di un’ipotesi di legittima difesa, anche putativa, avendo
la persona offesa precisato di aver colpito l’imputato soltanto al fine di sottrarsi
alla sua aggressione. In tale contesto, la prova della responsabilità dell’imputato
per i reati di minacce, lesioni e ingiurie risulta acclarata in termini univoci,
dovendosi invece assolvere Antonino Spinella dal reato di danneggiamento.
Avverso la sentenza del Tribunale di Messina ha proposto ricorso per
cassazione, nell’interesse dell’imputato, l’avv. Daniela Chillè, articolando un
unico motivo di doglianza – di seguito enunciato nei limiti di cui all’art. 173,
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RITENUTO IN FATTO

comma 1, disp. att. cod. proc. pen. – con il quale denuncia violazione di legge ex
art. 606, lett. b) e c) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 192, 210 e 530,
commi 2, con riferimento ai capi A) e B) dell’imputazione, 530, comma 3, cod.
proc. pen. con riferimento al capo D) dell’imputazione, nonché carenza,
contraddittorietà ed illogicità della motivazione e travisamento della prova.
Il Tribunale di Messina avrebbe dovuto assolvere l’imputato ai sensi dell’art.
530, comma 2, cod. proc. pen. La motivazione della sentenza impugnata è
incentrata sulle dichiarazioni della persona offesa che, essendo imputata in

pen., sicché le dichiarazioni rese dovevano essere riscontrate da elementi di
prova in grado di confermarne l’attendibilità. La sentenza impugnata ha ritenuto
che tali elementi sarebbero rappresentati dalle testimonianze di Giuseppe Micalli,
di Carmen Greco e di Giovanna Greco, ma l’argomentazione è frutto di
travisamento della prova essendo i testi intervenuti solo quando la lite era in
fase terminale. Le certificazioni sanitarie relative alle ferite riportate da Giovanna
Micali non provano che la stessa sia stata aggredita dall’imputato, che pure ha
riportato ferite gravissime di cui il Tribunale di Messina non ha dato conto,
sussistendo quindi l’incertezza in ordine alla presenza di una causa di
giustificazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
Preliminarmente, deve rilevarsi che, in considerazione del molteplici rinvii
dei dibattimento di primo grado (dal 04/11/2005 al 07/04/2006; dal 07/12/2007
al 14/01/2008; dal 08/04/2008 al 14/10/2008; dal 14/10/2008 al 10/02/2009;
dal 11/01/2010 al 07/06/2010) e della loro incidenza sulla sospensione del corso
della prescrizione (per un totale di 645 giorni), il termine per la prescrizione
stessa non risulta decorso alla data della deliberazione della presente sentenza,
in quanto sarebbe maturato il 13/01/2014.
La lamentata violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc.
pen. è del tutto generica, non trovando puntuale riscontro nelle argomentazioni
del ricorso, sicché deve essere dichiarata inammissibile.
Anche la doglianza relativa alla violazione dell’art. 210 cod. proc. pen.,
svolta dal ricorrente esclusivamente nella prospettiva di denunciare
l’inosservanza della regola di giudizio di cui all’art. 192, comma 3, cod. proc.
pen., è inammissibile in quanto generica: il ricorrente, infatti, si limita ad
affermare che la persona offesa è anche imputata in un procedimento connesso
e doveva essere sentita ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen., senza offrire alcuna

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procedimento connesso, doveva essere sentita ai sensi dell’art. 210 cod. proc.

specifica indicazione su tale procedimento (in ordine al suo oggetto e alle relative
parti); ancora più generico, al riguardo, era l’atto di appello, che si limitava ad
evidenziare che la persona offesa rivestiva la qualità di imputata in altro ben più
grave procedimento. La genericità della doglianza ne esclude l’ammissibilità.
Nel caso di specie, peraltro, il Tribunale di Messina si è comunque attenuto
ai canoni valutativi dettati dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., avendo
ritenuto, per un verso, che il rapporto di animosità verosimilmente intercorrente
tra la famiglia dell’imputato e quella della persona offesa imponesse «un più

fronte di significativi ed oggettivi riscontri idonei a confermare il resoconto della
denunciante» non risultasse inficiata la valenza probatoria della sua
testimonianza.
La denunciata violazione dell’art. 530, commi 2 e 3, cod. proc. pen. deve
essere valutata congiuntamente al vizio di motivazione, in quanto i limiti
all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente
dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati
ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) del medesimo articolo, nella parte in cui
consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di
nullità (Sez. 6, n. 45249 del 08/11/2012 – dep. 20/11/2012, Cimini e altri, Rv.
254274). La censura è inammissibile perché sostanzialmente deduce questioni di
merito, sollecitando una rivisitazione, esorbitante dai compiti del giudice di
legittimità, della valutazione del materiale probatorio che il Tribunale di Messina
ha operato: tale valutazione è sostenuta con motivazione coerente ai dati
probatori richiamati e sulla base di una linea argomentativa immune da qualsiasi
caduta di consequenzialità logica, avendo la sentenza impugnata indicato, a
conferma della credibilità della ricostruzione dei fatti offerta dalla persona offesa,
elementi tratti dalla certificazione medica e dalle molteplici dichiarazioni
testimoniali, descrittive, queste ultime, anche delle grida della persona offesa nel
corso dell’aggressione.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle
ammende della somma, che si stima equa, di Euro 1.000,00, nonché alla
rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Giovanna Micali
liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle

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rigoroso controllo circa l’attendibilità della dichiarante» e, per altro verso, che «a

ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile
liquidate in euro 2.500,00 oltre accessori di legge.

Così deciso il 03/12/2013

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