Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6834 del 20/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 6834 Anno 2014
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PICCOLO PASQUALINA N. IL 17/03/1961
CARATOZZOLO GIUSEPPE N. IL 06/06/1961
avverso la sentenza n. 1937/2009 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 27/03/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 20/11/2013

Motivi della decisione
La Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza in data 27.03.2012,
confermava la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Palmi in data
19.03.2009, in ordine al furto di legname, qualificato ai sensi degli artt. 624, 625
n. 7 cod. pen. ascritto a Piccolo Pasqualina e Caratozzolo Giuseppe.
Avverso la richiamata sentenza ha proposto ricorso per cassazione Piccolo
Pasqualina denunciando la violazione di legge, in riferimento agli artt. 603, 533,
546 cod. proc. pen.; e 625 n. 7, 61, nn. 7, 5, 42 e 43 cod.pen.

che era stata richiesta con l’atto di appello; osserva che l’incombente serviva a
dimostrare che il giudicante aveva errato nella individuazione del fondo dal quale
sarebbe stato asportato il legname di cui si tratta.
Sotto altro aspetto, la ricorrente rileva che non pare condivisibile la
contestazione della circostanza aggravante della esposizione del bene alla pubblica
fede. Al riguardo, osserva che il cancello che consente l’accesso al fondo era stato
lasciato aperto. L’esponente osserva che appare insussistente anche la circostanza
aggravante di cui all’art. 61 n. 5 cod. pen.
Infine, la parte considera di aver agito in buona fede, atteso che Caratozzolo
aveva avuto rassicurazioni sulla possibilità di prelevare la legna da due persone
presenti sul posto.
Avverso la richiamata sentenza ha proposto ricorso per cassazione il
coimputato Caratozzolo Giuseppe, deducendo la violazione di legge. La parte si
sofferma sulla ricostruzione delle circostanze di fatto afferenti al prelievo del
legname e si duole della mancata acquisizione, da parte della Corte di Appello,
della mappa catastale che era stata indicata in sede di gravame. L’esponente
osserva che la Corte territoriale non ha esplicitato le ragioni per le quali non ha
accolto l’istanza di riapertura della istruttoria dibattimentale.
Il ricorrente contesta poi la sussistenza delle circostanze aggravanti della
esposizione alla pubblica fede e della minorata difesa. Infine, osserva che
Caratozzolo agì in buona fede, essendo convinto di avere avuto il permesso di
prelevare la legna.
I ricorsi, che è dato esaminare congiuntamente, sono inammissibili.
Con riguardo alla censura afferente al mancato rinnovo della istruttoria
dibattimentale, giova osservare che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo
chiarito: che il vigente codice di rito penale pone una presunzione di completezza
dell’istruttoria dibattimentale svolta in primo grado; che la rinnovazione, anche
parziale, del dibattimento, in sede di appello, ha carattere eccezionale e può essere
disposta unicamente nel caso in cui il giudice ritenga di non poter decidere allo
stato degli atti; e che solo la decisione di procedere a rinnovazione deve essere

In primo luogo la parte si duole della mancata assunzione di prova decisiva

specificamente motivata, occorrendo dar conto dell’uso del potere discrezionale
derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti,
(Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6379 del 17/03/1999, dep. 21/05/1999, Rv. 213403).
Nell’alveo dell’orientamento interpretativo ora richiamato, la Suprema Corte
ha poi affermato che l’esercizio del potere di rinnovazione istruttoria si sottrae, per
la sua natura discrezionale, allo scrutinio di legittimità, nei limiti in cui la decisione
del giudice di appello, tenuto ad offrire specifica giustificazione soltanto
dell’ammessa rinnovazione, presenti una struttura argomentativa che evidenzi – per

logica valutazione in punto di responsabilità (cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 40496
del 21/05/2009, dep. 19/10/2009, Rv. 245009).
Tanto premesso, si osserva che la valutazione effettuata dalla Corte di
Appello nella sentenza impugnata, risulta immune dalle dedotte censure. Il Collegio
ha infatti chiarito che il terreno dal quale gli imputati avevano prelevato il legname
risultava chiaramente individuato, anche sulla base degli accertamenti effetuati dai
Carabinieri, i quale avevano verificato la presenza sul terreno di tracce di
pneumatici corrispondenti al disegno del battistrada rilevato sugli pneumatici
posteriori dell’autocarro utilizzato dai prevenuti per il caricamento della legna.
Soffermandosi poi sulle restanti doglianze, si osserva che gli esponenti
propongono censure non consentite nel giudizio di legittimità, in quanto
concernenti la ricostruzione e la valutazione del fatto, come pure l’apprezzamento
del materiale probatorio, profili del giudizio rimessi alla esclusiva competenza del
giudice di merito, che ha fornito una congrua e adeguata motivazione, immune da
incongruenze di ordine logico. Come è noto la giurisprudenza della Suprema Corte
di Cassazione ha ritenuto, pressocchè costantemente, che “l’illogicità della
motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è
quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, in quanto
l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per
espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato
argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle
acquisizioni processuali” (Cass. 24.9.2003 n. 18; conformi, sempre a sezioni unite
Cass. n. 12/2000; n. 24/1999; n. 6402/1997). Più specificamente si è chiarito che
“esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva,
riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità, la
mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione
delle risultanze processuali” (Cass. sezioni unite 30.4.1997, Dessimone). Ed invero,
in sede di legittimità non sono consentite le censure, che pur investendo

il caso di mancata rinnovazione – l’esistenza di fonti sufficienti per una compiuta e

formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa
valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass.
23.03.1995, n. 1769, Rv. 201177; Cass. Sez. VI sentenza n. 22445 in data
8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181). Del resto, nel caso di specie, la Corte di
Appello ha espressamente considerato, sviluppando un conferente percorso logico
argomentativo, che risultava pacifica la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61
n. 7 cod. pen., essendo il legname non sottoposto alla custodia del proprietario ed

5 cod. pen., avendo gli imputati approfittato della assenza della persona offesa, in
riferimento allo stato dei luoghi. E la Corte territoriale ha pure considerato
l’incoerenza delle circostanze di fatto addotte dai prevenuti – rispetto alla stessa
tesi del difetto di dolo sostenuta dalla difesa – osservando che il prelevamento di
legname dalla pubblica via non avrebbe comunque richiesto l’autorizzazione da
parte di terzi.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti
al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00
ciascuno a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di € 1.000,00 ciascuno in
favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 20 novembre 2013.

all’interno di un fondo non sorvegliato ed altresì dell’aggravante di cui all’art. 61 n.

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