Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6817 del 23/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 6817 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Del Moro Bruno n. il 2.7.1956
avverso l’ordinanza n. 86/2012 pronunciata dalla Corte d’appello di
Roma il 13.12.2012;
sentita nella camera di consiglio del 23.1.2014 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. A.
Policastro, che ha richiesto la dichiarazione di inammissibilità del
ricorso.

Data Udienza: 23/01/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con ricorso in data 21.2.2013, a mezzo del proprio difensore, Bruno Del Moro ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in data 13.12.2012 con la quale la corte d’appello di Roma, in
accoglimento della corrispondente domanda dell’istante, ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze a corrispondere in
favore del Del Moro la somma di euro 101.300,00 a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione dallo stesso sofferta nei periodi dal
12.11.1997 al 13.12.1997 e dal 24.3.1998 al 4.6.1999 (dal 15.9.1998 in
regie di arresti domiciliari).
Con l’impugnazione proposta, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per aver omesso di computare, nel calcolo
dell’indennità liquidata in proprio favore, le retribuzioni lavorative
pur riconosciute come perdute per effetto della detenzione sofferta
per l’importo pari ad euro 35.000,00 circa.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole del vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato nella parte in
cui ha ritenuto non adeguatamente comprovato il nesso di causalità
tra la carcerazione ingiustamente subita e la prospettata diminuzione
della redditività dell’attività commerciale gestita dalla propria coniuge nel periodo corrispondente, in contrasto con quanto attestato dalla
documentazione allegata anche in questa sede di legittimità.
Ha depositato memoria il procuratore generale presso la Corte
di cassazione, concludendo per la dichiarazione d’inammissibilità del
ricorso.
Con memoria depositata in data 2.10.2013, il ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso e il conseguente annullamento
del provvedimento impugnato.
Con memoria depositata in data 7.1.2014, il Ministero
dell’Economia e delle Finanze ha concluso per il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
2. – Il ricorso è manifestamente infondato.
Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di
legittimità, autorevolmente sostenuto dalle sezioni unite di questa
corte, in materia di riparazione per l’ingiusta detenzione, il parametro aritmetico, al quale riferire la liquidazione dell’indennizzo, è costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art.

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c.p.p. e il termine massimo della custodia cautelare di cui
all’art. 303, co. 4, lett. c), espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita (Cass.,
Sez. Un., n. 24287/2001, Rv. 218975); calcolo, grazie al quale si perviene all’individuazione della somma liquidabile di circa euro 235,00
per ogni giorno di detenzione in carcere, comprensiva di tutte le negative conseguenze generalmente derivanti dalla carcerazione, ridotta
della metà nel caso di arresti domiciliari in vista della loro minore afflittività rispetto alla detenzione in carcere (v. Cass., Sez. 4, n.
34857/2011, Rv. 251429).
Nel caso di specie, il calcolo relativo alla dimensione c.d.
`nummaria’ dell’indennizzo avrebbe determinato la complessiva entità di quest’ultimo (avuto riguardo ai periodi di ingiusta detenzione in
precedenza ricordati) nella somma di euro 48.645,00 (per 207 giorni
di detenzione carceraria), oltre a quella di euro 30.785,00 (per 262
giorni in regime di arresti domiciliari), per un importo complessivo
pari ad euro 79.430,00.
Viceversa, avendo la corte territoriale liquidato in favore del
Del Moro la somma complessiva di euro 101.300,00, la differenza pari ad euro 21.870,00 (101.300,00 – 79.430,00 = 21.870,00) deve ritenersi imputata, dalla corte d’appello di Roma, alla riparazione delle
ulteriori sofferenze (d’indole personale, familiare e patrimoniale) patite dall’istante per effetto della carcerazione subita, con particolare
riguardo alla considerazione del valore ‘dinamico’ che l’ordinamento
costituzionale attribuisce alla libertà della persona.
Sul punto, vale richiamare il principio costantemente seguito
da questa corte di legittimità, ai sensi del quale la liquidazione
dell’indennizzo per la riparazione dell’ingiusta detenzione deve ritenersi svincolata da parametri aritmetici o comunque da criteri rigidi,
e si deve basare su una valutazione equitativa che tenga globalmente
conto, non solo della durata della custodia cautelare, ma anche, e non
marginalmente, delle conseguenze personali e familiari scaturite dalla privazione della libertà, e ciò sia per effetto dell’applicabilità, in tale materia, della disposizione di cui all’art. 643, co. 1, c.p.p., che
commisura la riparazione dell’errore giudiziario alla durata dell’eventuale espiazione della pena ed alle conseguenze personali e familiari
derivanti dalla condanna, sia in considerazione del valore ‘dinamico’
che l’ordinamento costituzionale attribuisce alla libertà di ciascuno,

315, CO. 2,

dal quale deriva la doverosità di una valutazione equitativamente differenziata caso per caso degli effetti dell’ingiusta detenzione (Cass.,
Sez. Un., n. 1/1995, Rv. 201035); con la conseguenza che il riferimento al criterio aritmetico – che risponde all’esigenza di garantire un
trattamento tendenzialmente uniforme, nei diversi contesti territoriali – non esime il giudice dall’obbligo di valutare le specificità, positive o negative, di ciascun caso e, quindi, dall’integrare opportunamente tale criterio, innalzando ovvero riducendo il risultato del calcolo aritmetico per rendere la decisione più equa possibile e rispondente alle diverse situazioni sottoposte al suo esame (v. Cass., Sez. 4, n.
34857/2011, Rv. 251429).
Le argomentazioni che precedono, tuttavia, non valgono a
modificare la specifica natura della riparazione oggetto d’esame, destinata in ogni caso a conservare la propria indole indennitaria, senza
assumere, in nessun caso, alcuna funzione di tipo risarcitorio, con la
conseguenza che, proprio in ragione del carattere necessariamente
equitativo della quantificazione della riparazione e l’esclusione della
relativa natura propriamente risarcitoria, la mancata specificazione,
da parte del giudice di merito, di quanto attribuito al richiedente in
relazione a ciascun tipo di pregiudizio da lui subito in conseguenza
della privazione della libertà non può essere considerata, di per sé,
come vizio di motivazione atto ad invalidare, sul punto, il provvedimento adottato da detto giudice (v. Cass., Sez. 1, n. 217/1992, Rv.
189353).
Al riguardo, varrà ribadire come il controllo sulla congruità
della somma liquidata a titolo di riparazione per ingiusta detenzione
debba ritenersi sottratto alla cognizione del giudice di legittimità (che
può soltanto verificare se il giudice di merito abbia logicamente motivato il suo convincimento, ma non sindacare la sufficienza o insufficienza dell’indennità), a meno che lo stesso giudice non abbia adottato criteri manifestamente arbitrari o immotivati, ovvero abbia liquidato in modo simbolico la somma dovuta (cfr. Cass., Sez. 4, n.
25901/2009, Rv. 244226).
Nel caso di specie, la particolare entità della somma eccedente
la dimensione nummaria della riparazione (percentualmente rilevante, essendo stata calcolata in misura superiore al 20% dell’indennità
totale) deve ritenersi tale da non costituire una forma meramente
simbolica della riparazione invocata, né calcolata in modo manife-

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stamente arbitrario o immotivato, rispetto alle voci di danno patrimoniale rivendicati dall’odierno ricorrente, dovendo qualificarsi, la
motivazione dettata dalla corte territoriale, in termini di adeguatezza
logica e di coerenza argomentava, anche sotto il profilo della proporzionalità equitativa perseguita.
Dev’essere, infine, radicalmente disattesa la doglianza avanzata dal ricorrente con riguardo al mancato riconoscimento delle conseguenze patrimoniali riferite all’attività commerciale della coniuge,
avendone la corte territoriale correttamente ritenuto non adeguatamente comprovata la sussistenza di un riconoscibile nesso di derivazione causale con la detenzione del Del Moro, in nessun caso desumibile icto oculi, sul piano logico (e in termini di adeguata attendibilità
rappresentativa), dalla stessa documentazione allegata in questa sede.
3. — Le considerazioni che precedono, nel giustificare il riscontro della manifesta infondatezza dei motivi di doglianza avanzati dal
ricorrente, impongono la dichiarazione dell’inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 500,00 in favore della cassa delle ammende oltre al rimborso delle spese del giudizio in favore del Ministero resistente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 500,00 in favore della casa delle ammende, oltre
alla rifusione in favore del Ministero delle Finanze delle spese del
presente giudizio, che liquida in complessivi euro 750,00.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23.1.2014.

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