Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6815 del 09/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 6815 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
Sul ricorso proposto da :
LUCISANO GIUSEPPE N. IL 05.05.1988
Nei confronti di:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
avverso la ordinanza della CORTE D’APPELLO DI REGGIO CALABRIA in data 7 dicembre
2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI;
viste le conclusioni del PG in persona del dott. Aldo Policastro che ha chiesto l’annullamento
con rinvio
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Reggio Calabria, con l’ordinanza impugnata rigettava l’istanza di
riparazione presentata da Lucisano Giuseppe per in g iusta detenzione in re g ime di
custodia in carcere dal 5/02/07 al 12/01/2009, perché sospettato del reato di omicidio.
La sentenza di assoluzione, pronunciata dal giudice di secondo grado era divenuta
irrevocabile il 24 gennaio 2011.
2. Avverso tale decisione ricorre il Lucisano.
Il ricorrente censura l’ordinanza impu g nata per violazione ed erronea applicazione degli
artt. 314 e 315 c.p.p., in particolare nella parte in cui la Corte di appello rimprovera in
termini di colpa g rave condotte insuscettibili di essere ri g uardate alla stregua di
macroscopica ne g lig enza e trascuratezza. Pertanto, ad avviso del ricorrente, non
sussisterebbe la colpa grave, impeditiva del riconoscimento del diritto all’equa
riparazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.

Data Udienza: 09/01/2014

Osserva
la
Corte
che
il
diritto
a
equa
riparazione
per
l’ingiusta
detenzione, regolato dall’art. 314 c.p.p., e ss., trova fondamento nella condizione
soggettiva della persona sottoposta a detenzione immeritata e in tal senso ingiusta.
Il quadro sistematico di riferimento è un quadro di diritto civile, ma non è quello
dell’art. 2043 c.c che appresta sanzioni contro chi produce per dolo o colpa un danno
ingiusto ad altri. Il principio regolatore è piuttosto quello della riparazione legata ad
eventi che producono il sorgere, quali conseguenze di principi di solidarietà e di giustizia
distributiva, di responsabilità da atto lecito (la distinzione tra responsabilità per danno
ingiusto ex art. 2043 c.c. e responsabilità per atto lecito è ben chiarita da Cass. SS.UU.
civ. 11/6/2003 n. 9341). È ben fermo, in materia, l’assetto delle regole generalissime
che disciplinano l’onere della prova civile ex art. 2697 c.c. posto che il procedimento
relativo alla riparazione per l’ingiusta detenzione, quantunque si riferisca ad un rapporto
obbligatorio di diritto pubblico e comporti perciò il rafforzamento dei poteri officiosi del
giudice, è tuttavia ispirato ai principi del processo civile, con la conseguenza che
l’istante ha l’onere di provare i fatti costitutivi della domanda, la custodia cautelare
subita e la successiva assoluzione (Corte Cass. Sez. 4 sent. n. 23630 02/04/2004 20/05/2004) della quale è talora ritenuta irrilevante la formula (Cass. Sez 4, 12/4/2000
n. 2365) e talora rilevante, nel senso che indefettibile presupposto del sorgere del
diritto sarebbe solo il proscioglimento con una delle formule di cui all’art. 314 c.p.p.,
comma 1. Peraltro il sorgere del diritto è condizionato alla esistenza di una condotta del
richiedente che al tempo del processo in nulla abbia dato causa o concorso a dare causa
a quella ingiusta detenzione.
L’operazione intesa a cogliere tali condizioni deve scandagliare solo l’eventuale
efficienza causale delle condotte dell’imputato che possano aver indotto, anche nel
concorso dell’altrui errore, secondo una valutazione ragionevole e non congetturale il
giudice a stabilire la misura della detenzione (Cass. SS.UU. 13/12/95 n. 43, Sez. 4
10/3/2000 n. 1705).
Il giudice, pertanto, deve fondare la sua decisione su fatti concreti e precisi e non su
mere supposizioni, esaminando la condotta del richiedente, sia prima e sia dopo la
perdita della libertà personale, indipendentemente dall’eventuale conoscenza che
quest’ultimo abbia avuto dell’attività di indagine, al fine di stabilire, con valutazione ex
ante, non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stato il presupposto
che ha ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa
apparenza della sua configurazione come illecito penale, dando luogo alla detenzione
con rapporto di causa ad effetto (cfr. Cass. Sezioni Unite, Sent. n.34559/2002; Cass.,
Sez.4, Sent. n.17552 del 2009).
Tanto premesso si osserva che la Corte territoriale, con motivazione adeguata, ha
enucleato,con congrua verifica degli accertati elementi di riferimento, la condotta del
richiedente ostativa all’accoglimento dell’istanza di equa riparazione.
In primo luogo ha individuato quale comportamento addebitabile all’imputato ed
ostativo al riconoscimento del diritto all’indennizzo gli accertati contatti del Lucisano con
Morabito Pietro, ritenuto ideatore dell’agguato; in secondo luogo ha sottolineato la
circostanza della presenza del Lucisano sul luogo del delitto, fatto rilevante in relazione
alle dichiarazioni dello stesso imputato, intese a fornire un alibi, risultato non veritiero,
per l’ora del delitto.
Il provvedimento impugnato, che definisce il procedimento per la riparazione
dell’ingiusta detenzione, supera quindi il vaglio di questa Corte che è limitato alla
correttezza del procedimento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare
o negare i presupposti per l’ottenimento del beneficio indicato. Resta invece nelle
esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a motivare adeguatamente e
logicamente il suo convincimento, la valutazione sull’esistenza e la gravità della colpa e
sull’esistenza del dolo. Il legislatore non ha infatti riconosciuto incondizionatamente il
diritto all’equa riparazione, ma l’ha esplicitamente escluso allorquando il
comportamento dell’indagato, come appunto nella fattispecie de qua, abbia indotto in
errore il giudice circa l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza a suo carico.
Il
ricorso deve essere pertanto rigettato e il ricorrente deve essere condannato al
4.
pagamento delle spese processuali.

P.Q, 14 .
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso nella camera di consiglio del 9 gennaio 2014

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