Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6811 del 14/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 6811 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: ROMIS VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SPANO’ FRANCESCO N. IL 28/11/1970
avverso l’ordinanza n. 61/2011 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 06/03/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Do t. VINCENZO ROMIS;
lette/solitite le conclusioni del PG Dott.
TI uttil

Uditi difensor Avv.;

41//,,

Data Udienza: 14/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’Appello di Reggio Calabria accoglieva l’istanza di equa riparazione proposta
da Spanò Francesco, ristretto in carcere con l’accusa di associazione per delinquere di
stampo mafioso ed altro, e poi, con decreto di archiviazione del GIP del Tribunale di
Reggio Calabria emesso il 27 gennaio 2011, riconosciuto estraneo all’addebito mossogli.
La Corte territoriale, in relazione al periodo della detenzione sofferta in carcere dallo
Spanò nel periodo tra il 22 dicembre 2009 ed il 7 gennaio 2010 liquidava la somma di

aritmetico, ed ancorava detta statuizione alla natura infamante dell’accusa ed al
peggioramento delle condizioni economiche dell’istante quale conseguenza della
detenzione ingiusta statuizione.

2. Avverso detto provvedimento ricorre per Cassazione lo Spanò deducendo vizio
motivazionale in ordine all’entità della somma liquidata, da ritenersi a suo avviso esigua
sotto il profilo di un inadeguato riconoscimento delle sofferenze derivate dal periodo di
privazione della libertà personale, con riferimento alle “devastanti ripercussioni dedotte”,
allo stato di incensuratezza, ed alle negative ripercussione a livello economico ed
occupazionale.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con la sua requisitoria scritta, ha chiesto
l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato
CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito indicate.
In materia di equa riparazione per ingiusta detenzione, questa Corte ha elaborato alcuni
parametri per conferire fondamento razionale ed equilibrato alla determinazione
equitativa. Tali parametri riguardano, in particolare, la durata della privazione della
libertà, la cifra massima fissata dal legislatore con l’art. 315, comma secondo, c.p.p., e il
limite massimo di durata complessiva della custodia cautelare, indipendentemente (come
precisato dalle Sezioni Unite con la sentenza Caridi del 9 maggio 2001)

dal titolo del

reato in concreto contestato. La stessa giurisprudenza ha chiarito – in conformità al
principio enunciato in materia dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza N. 1 del
31 maggio 1995, proc. Castellani (RV. 201035) – che i dati aritmetici, in tal modo
ottenuti, possono subire aggiustamenti che tengano conto di particolari aspetti soggettivi
ed oggettivi del caso concreto, in ordine ai quali, peraltro, il giudice di merito è
ovviamente tenuto a fornire adeguata e congrua motivazione, anche circa le regole di
esperienza che ne hanno suggerito l’adozione.
Nella concreta fattispecie, per quel che riguarda la valutazione degli effetti pregiudizievoli
prospettati dall’interessato ai fini della quantificazione della riparazione, il giudice del
1

u/t1-

)

euro 15.000,00, a fronte di un importo di euro 4.008,94 derivante dal mero parametro

merito ha seguito un percorso argomentativo che non presenta alcuna connotazione di
illogicità. Ed invero la Corte territoriale, dopo aver ricordato i princìpi enunciati nella
giurisprudenza di legittimità circa i criteri per la determinazione dell’importo quale
indennizzo per l’ingiusta detenzione, ha indicato i pregiudizi derivati allo Spanò, e da
ritenersi meritevoli di riconoscimento ai fini della quantificazione della somma da
liquidare, ed ha riconosciuto a favore dello Spanò un indennizzo superiore di quasi
quattro volte all’importo derivante dal mero calcolo aritmetico.

detenzione non ha natura di risarcimento del danno ma di semplice indennità o
indennizzo in base a principi di solidarietà sociale per chi sia stato ingiustamente privato
della libertà personale. Mette conto sottolineare inoltre che il legislatore, se avesse voluto
intendere la riparazione dell’ingiusta detenzione come risarcimento dei danni, avrebbe
dovuto richiedere, per coerenza, l’onere per il danneggiato di fornire la dimostrazione
dell’esistenza dell’elemento soggettivo, fondante la responsabilità per colpa o per dolo,
nelle persone che hanno agito e dell’entità dei danni subiti; ma ciò si sarebbe posto in
contraddizione con l’esigenza (fondata non solo su una precisa disposizione della nostra
Costituzione – art. 24 Cost. comma 4 – ma anche sull’art. 5 comma 5 della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo e sull’art. 9 n. 5 del Patto internazionale dei diritti civili e
politici) di garantire un adeguato ristoro a chi sia stato ingiustamente privato della libertà
personale senza costringerlo a complicate controversie sull’esistenza dell’elemento
soggettivo e sulla determinazione dei danni. La natura di indennizzo della somma
liquidata a titolo di riparazione conduce a rilevanti conseguenze anche nel giudizio di
legittimità perché i criteri, necessariamente equitativi, utilizzati dal giudice di merito, non
possono essere oggetto di sindacato in questa sede se non entro i ristretti limiti che una
valutazione di natura equitativa comportano, e certamente non quando, con il ricorso, si
intende in realtà non dedurre un vizio di violazione di legge o un vizio di motivazione del
provvedimento impugnato bensì denunciare l’insufficienza della somma liquidata a favore
dell’istante.
Il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo di riparazione – quale tipico
giudizio di merito – è sottratto al giudice di legittimità che può soltanto verificare se il
giudice di merito abbia logicamente motivato il suo convincimento, e non certo sindacare
la sufficienza, o insufficienza, della somma liquidata a titolo di riparazione; a meno che,
discostandosi in modo assai sensibile dai criteri usualmente seguiti che fanno riferimento
al tetto massimo liquidabile correlato al termine massimo della custodia cautelare, il
giudice non abbia adottato criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero abbia
liquidato in modo simbolico la somma dovuta.
4.1. Orbene, nel caso in esame, avuto riguardo al percorso seguito dalla Corte
distrettuale non è ravvisabile alcuno di questi casi; il giudice ha motivato sull’applicazione
dei criteri di liquidazione, e la somma liquidata risulta, come detto, superiore di circa

2

Come affermato, e più volte ribadito, da questa Corte, la riparazione per l’ingiusta

quattro volte al massimo aritmetico. La valutazione del giudice di merito si presenta,
dunque, immune da censure. Né il ricorso è stato corredato da adeguate allegazioni
documentali idonee a scalfire il percorso motivazionale seguito dalla Corte distrettuale,
avendo il ricorrente svolto argomentazioni generiche e con richiamo ai precedenti di
questa Corte in materia, limitandosi ad elencare le “voci” dei pregiudizi subiti, senza
alcuna specifica e puntuale allegazione documentale idonea a contrastare – sul piano

5. Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità
riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent.
N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una
somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 1000,00 (mille).
P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Roma, 14 novembre 2013

Il Presidente

della logicità argomentativa – le valutazioni della Corte di merito,

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