Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6810 del 14/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 6810 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: ROMIS VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CARRINO LUIGI N. IL 03/03/1954
avverso l’ordinanza n. 20/2011 CORTE APPELLO di PERUGIA, del
07/12/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO ROSIS;
lette/ titc le conclusioni del PG Dott. 5-4,,Ai

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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 14/11/2013

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Perugia accoglieva l’istanza di equa riparazione proposta da
Carrino Luigi, ristretto in carcere con l’accusa di aver commesso il reato di cui agli artt.
56,575 e 577, secondo comma, c.p. ed assolto poi con formula ampia con sentenza
divenuta irrevocabile.

Stato, non si era opposta alla domanda del Carrino e si era limitata a svolgere
osservazioni in punto di “quantum” da liquidare.

2. La Corte territoriale, in relazione alla detenzione sofferta dal Carrino nel periodo tra il 2
novembre 2006 ed il 12 febbraio 2007 – parte in regime intramurario e parte in regime
di detenzione domiciliare – liquidava la somma di euro 21.420,00 (in ragione di euro
280,00 per ciascun giorno di custodia in carcere e di euro 140,00 per ciascun giorno di
arresti domiciliari), inferiore a quella oggetto della richiesta, quantificata dall’istante in un
importo non inferiore ad euro 230.000,00 oltre alle spese legali sostenute per il
procedimento.

3. Avverso detto provvedimento ricorre per Cassazione il Carrino, a mezzo del difensore
cassazionista, deducendo vizio motivazionale in ordine all’entità della somma liquidata,
da ritenersi a suo avviso esigua sotto il profilo di un inadeguato riconoscimento delle
sofferenze derivate dal lungo periodo di privazione della libertà personale, con riferimento
a specifiche “voci” di danno indicate; il ricorrente si duole infine della mancata
liquidazione delle spese legali sostenute per il procedimento.

4. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con la sua requisitoria scritta, ha chiesto
il rigetto del gravame.

5. Ha depositato memoria l’Avvocatura Generale dello Stato per conto del Ministero
dell’Economia, prospettando innanzi tutto, in modo assertivo, la tardività del ricorso e
contrastando poi le argomentazioni svolte con il ricorso stesso.
CONSIDERATO IN DIRITTO

6. Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.
In materia di equa riparazione per ingiusta detenzione, questa Corte ha elaborato alcuni
parametri per conferire fondamento razionale ed equilibrato alla determinazione
equitativa. Tali parametri riguardano, in particolare, la durata della privazione della
libertà, la cifra massima fissata dal legislatore con l’art. 315, comma secondo, c.p.p., e il

1

u,(1)

L’Amministrazione finanziaria, costituendosi in giudizio a mezzo dell’Avvocatura dello

limite massimo di durata complessiva della custodia cautelare, indipendentemente (come
precisato dalle Sezioni Unite con la sentenza Caridi del 9 maggio 2001)

dal titolo del

reato in concreto contestato. La stessa giurisprudenza ha chiarito – in conformità al
principio enunciato in materia dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza N. 1 del
31 maggio 1995, proc. Castellani (RV. 201035) – che i dati aritmetici, in tal modo
ottenuti, possono subire aggiustamenti che tengano conto di particolari aspetti soggettivi
ed oggettivi del caso concreto, in ordine ai quali, peraltro, il giudice di merito è

esperienza che ne hanno suggerito l’adozione.
Nella concreta fattispecie, per quel che riguarda la valutazione degli effetti pregiudizievoli
prospettati dall’interessato ai fini della quantificazione della riparazione, il giudice del
merito ha seguito un percorso argomentativo che non presenta alcuna connotazione di
illogicità. Ed invero la Corte territoriale, dopo aver ricordato i princìpi enunciati nella
giurisprudenza di legittimità circa i criteri per la determinazione dell’importo quale
indennizzo – che, è bene ricordare, non ha natura risarcitoria – per l’ingiusta detenzione,
ha valutato specificamente tutte le allegazioni dell’istante fornendo logica motivazione in
ordine a tali valutazioni, ha elencato i pregiudizi derivati al Carrino, e da ritenersi
meritevoli di riconoscimento ai fini della quantificazione della somma da liquidare,
escludendo quelle “voci” ritenute non documentate – e quindi sfornite di concreto e
specifico supporto probatorio con conseguente impossibilità per la Corte stessa di
verificare la fondatezza della pretesa – oppure non strettamente riconducibili all’evento
detenzione; la Corte distrettuale ha quindi ritenuto rilevanti gli elementi costituiti dalla
durata e dalla natura della detenzione, ed i riflessi familiari, personali affettivi e
lavorativi.
6.1. Come affermato, e più volte ribadito, da questa Corte, la riparazione per l’ingiusta
detenzione, come sopra già accennato, non ha natura di risarcimento del danno ma di
semplice indennità o indennizzo in base a principi di solidarietà sociale per chi sia stato
ingiustamente privato della libertà personale. Mette conto sottolineare inoltre che il
legislatore, se avesse voluto intendere la riparazione dell’ingiusta detenzione come
risarcimento dei danni, avrebbe dovuto richiedere, per coerenza, l’onere per il
danneggiato di fornire la dimostrazione dell’esistenza dell’elemento soggettivo, fondante
la responsabilità per colpa o per dolo, nelle persone che hanno agito e dell’entità dei
danni subiti; ma ciò si sarebbe posto in contraddizione con l’esigenza (fondata non solo
su una precisa disposizione della nostra Costituzione – art. 24 Cost. comma 4 – ma anche
sull’art. 5 comma 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e sull’art. 9 n. 5 del
Patto internazionale dei diritti civili e politici) di garantire un adeguato ristoro a chi sia
stato ingiustamente privato della libertà personale senza costringerlo a complicate
controversie sull’esistenza dell’elemento soggettivo e sulla determinazione dei danni. La
natura di indennizzo della somma liquidata a titolo di riparazione conduce a rilevanti

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ovviamente tenuto a fornire adeguata e congrua motivazione, anche circa le regole di

conseguenze anche nel giudizio di legittimità perché i criteri, necessariamente equitativi,
utilizzati dal giudice di merito, non possono essere oggetto di sindacato in questa sede se
non entro i ristretti limiti che una valutazione di natura equitativa comportano, e
certamente non quando, con il ricorso, si intende in realtà non dedurre un vizio di
violazione di legge o un vizio di motivazione del provvedimento impugnato bensì
denunciare l’insufficienza della somma liquidata a favore dell’istante.
Il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo di riparazione – quale tipico

giudice di merito abbia logicamente motivato il suo convincimento, e non certo sindacare
la sufficienza, o insufficienza, della somma liquidata a titolo di riparazione; a meno che,
discostandosi in modo assai sensibile dai criteri usualmente seguiti che fanno riferimento
al tetto massimo liquidabile correlato al termine massimo della custodia cautelare, il
giudice non abbia adottato criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero abbia
liquidato in modo simbolico la somma dovuta.
Orbene, nel caso in esame, avuto riguardo al percorso argomentativo seguito dalla Corte
distrettuale, non è ravvisabile alcuno di questi casi; il giudice ha motivato
sull’applicazione dei criteri di liquidazione, e la somma liquidata – pari ad euro 280,00
“pro die” per la detenzione intramuraria, superiore al massimo aritmetico di euro 235,83
“pro die”, e pari ad euro 140,00 “pro die” per la detenzione domiciliare, superiore al
massimo aritmetico di euro 117,00 “pro die” – non assume carattere arbitrario e tanto
meno simbolico. La valutazione del giudice di merito si presenta, dunque, immune da
censure perché adeguatamente motivata. Né il ricorso è stato corredato da adeguate
allegazioni documentali idonee a scalfire il percorso motivazionale seguito dalla Corte
d istrettua le.

7. E’ infine priva di qualsiasi fondamento la doglianza concernete il mancato
riconoscimento delle spese legali sostenute per il procedimento; ed invero: 1) come
condivisibilmente precisato da questa Corte, le spese legali sborsate durante le fasi del
giudizio di cognizione conclusosi con l’assoluzione, non possono trovare riconoscimento in
sede di equa riparazione per ingiusta detenzione (così, “ex plurimis”, Sez.1, n. 2628/91,
cc. 4/6/1991, RV. 188336); 2) secondo il condivisibile indirizzo interpretativo affermatosi
nella giurisprudenza di legittimità, “in tema di spese relative alla procedura di riparazione
dell’ingiusta detenzione, occorre tenere presente che l’indennità non può essere pagata
se non ricorrendo al giudice; pertanto, allorché il Ministero del Tesoro, costituendosi in
giudizio, non si opponga alla domanda, non è applicabile il principio della soccombenza di
cui all’art. 91 cod. proc. civ., che trova fondamento nella possibilità che la pretesa fatta
valere in giudizio possa essere soddisfatta dalla controparte anche al di fuori del giudizio,
ed il giudice non deve procedere a liquidazione delle spese che restano a carico di
ciascuna delle parti; nè il procedimento assume carattere contenzioso per l’eventuale

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giudizio di merito – è sottratto al giudice di legittimità che può soltanto verificare se il

opposizione del pubblico ministero poiché quest’ultimo è estraneo al rapporto civilistico
tra istante e amministrazione del Tesoro, avendo il suo intervento natura identica a
quella di cui all’art. 70 cod. proc. civ.” (in termini, Sez. 4, n. 46777 del 13/11/2007
Cc. – dep. 17/12/2007 – Rv. 238363; nello stesso senso, Sez. U, n. 34559 del
26/06/2002 Cc. – dep. 15/10/2002 – Rv. 222264).

8. Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle

9. Così come già disposto dal giudice del merito per la procedura dell’equa riparazione, si
ravvisano giusti motivi per compensare anche in questo giudizio le spese tra le parti,
tenuto altresì conto della manifesta infondatezza della denuncia di tardività
del’impugnazione – peraltro solo assertivamente prospettata – e della genericità delle
argomentazioni di cui alla memoria dell’Avvocatura Generale dello Stato.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma, 14 novembre 2013
Il Cons gliere estensore

Il Presidente
(Pietro Antonio Sirena)

(Viifcenzo Romis )

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
IV Sezione Penale

spese processuali.

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