Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 681 del 18/10/2012


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 681 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: LA POSTA LUCIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) AMERI ATEF N. IL 10/05/1983
avverso l’ordinanza n. 1350/2011 TRIBUNALE di BRESCIA, del
30/09/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA LA POSTA;

Data Udienza: 18/10/2012

RITENUTO IN FATTO

1, Con ordinanza in data 30.9.2011 il Tribunale di Brescia, quale giudice
dell’esecuzione, dichiarava inammissibile perché manifestamente infondata la
richiesta di Amen i Atef volta alla revoca della sentenza emessa dal Tribunale di
Agrigento del 16.9.2008 (irrev. 14.10.2008) con la quale il predetto è stato
condannato per il reato di cui all’art. 13, comma 13, T.U. imm. rilevando che a
differenza della sentenza di condanna oggetto di precedente ordinanza di revoca
-ter per il predetto reato non

sussistono i presupposti della revoca.

2. Propone ricorso per cassazione il condannato, personalmente, ribadendo
la richiesta di revoca della condanna all’art. 13, comma 13, T.U. imm..

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
Devono senz’altro escludersi possibili ricadute nella fattispecie in esame
della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008,
2008/115/CE e della sopravvenuta decisione della Corte di giustizia U.E., 28/04/
2011, El Dridi laddove ha affermato che ai giudici penali degli Stati della Unione
spetta «disapplicare ogni disposizione del decreto legislativo n. 286/1998
contraria al risultato della direttiva 2008/115», tenendo anche «debito conto
del principio della applicazione della retroattiva della legge più mite il quale fa
parte delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri».
L’unico profilo di contrasto della fattispecie in contestazione con le
disposizioni della direttiva rimpatri in astratto ipotizzabile è quello relativo alla
durata del divieto di reingresso alla luce dell’art. 11 paragrafo 2 della direttiva
stessa, laddove prevede che «la durata del divieto d’ingresso è determinata
tenendo debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e
non supera di norma i cinque anni; può comunque superare i cinque anni se il
cittadino di un paese terzo costituisce una grave minaccia per l’ordine pubblico,
la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale». Così che, la durata del divieto
superiore a cinque anni previsto dalla normativa interna è in via generale
incompatibile con siffatta disposizione, tanto che tra le modifiche introdotte dalla
legge n. 129 del 2011, al fine di adeguare la disciplina interna alla direttiva
europea, è stato previsto al comma 14 dell’art. 13 T.U. imm. che il divieto di
reingresso di cui al precedente comma 13 opera per un periodo non inferiore a
tre anni e non superiore a cinque anni, fatti salvi casi specificamente indicati.
Il ricorso, per vero generico, non deduce tale circostanza.
2

relativa al reato di cui all’art. 14 comma 5

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di
elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di una
sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’
art. 616 cod. proc. pen..

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro mille in favore della
cassa della ammende.

Così deciso, il 18 ottobre 2012.

P.Q.M.

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