Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6808 del 30/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 6808 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: FOTI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SALVATORE GIAMMARIO N. IL 27/05/1947
GAMBACORTA ANTENORE N. IL 16/04/1948
avverso l’ordinanza n. 58/2013 TRIB. LIBERTA’ di CHIETI, del
09/05/2013

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sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Udit i dif sor Avv.;

N;ttir. PlAum-

Data Udienza: 30/10/2013

- 1- Salvatore Giammario e Gambacorta Antenore, amministratore, il primo, della “Sagifur
s.r.l.”, diliquidatore, il secondo, della stessa società, -esercente l’attività di preparazione e
concia del cuoio nonché nella fabbricazione di semilavorati in pelle (inattiva da diversi anni,
almeno dal 2005, data della messa in liquidazione)- sono indagati:
A) ex artt. 110, 99 co. 2 n. 2 e co. 4, 449 co. 1 e 2, in relazione all’art. 434 cod.pen., per
avere per colpa cagionato un disastro ambientale a causa della contaminazione della falda
acquifera sottostante il sito “Sigifur” provocata dalla concentrazione, superiore ai limiti
tabellari previsti dalle norme vigenti, di solventi rinvenuti a valle di detto sito, utilizzati nel
ciclo produttivo delle concerie;
B) ex artt. 110, 452, in relazione all’art. 440 cod. pen., per avere alterato le acque
rendendole pericolose per la salute pubblica, atteso che in alcuni pozzi della zona, ubicati a
valle dello stabilimento “Sigifur”, sono state rinvenute sostanze inquinanti, tanto da indurre
il sindaco della località interessata a vietare l’utilizzo dell’acqua dei pozzi su tutto il
territorio comunale per sei mesi;
ed inoltre delle contravvenzioni di cui agli artt. 257 co. 1 e 2 del d. lgs. n. 152/06, 674 cod.
pen., 137 co. 1 del d.lgs n. 152 /06.
Con la recidiva reiterata infraquinquennale quanto ai reati contestati sub capi A) e B).
-2- Nell’ambito di detto procedimento, il Gip del Tribunale di Chieti ha disposto il
sequestro preventivo dell’intero sito della “Sigifur”, comprendente lo stabilimento ed il
circostante terreno.
-3- La richiesta di riesame avanzata dai due indagati è stata rigettata dallo stesso tribunale
di Chieti con ordinanza del 9 maggio 2013.
Nel richiamare gli esiti degli accertamenti, anche di natura tecnica disposti nel corso delle
indagini e le considerazioni svolte dal Gip nel provvedimento di sequestro, il tribunaleha
ritenuto la sussistenza, sia del “fumuscommissidelicti”, che delle esigenze di cautela.
-4- Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione il Salvatore ed il
Gambacorta che, dopo avere riassunto i fatti e le fasi del procedimento, congiuntamente
deducono la violazione dell’art. 321 cod. proc. pen. con riferimento alla ritenuta sussistenza
dei presupposti legittimanti il sequestro, cioè, sia del “periculum” che del “fumus”.
Premesso che la norma richiamata correla il pericolo alla possibilità che la libera
disponibilità del bene consenta agli indagati di protrarre ed aggravare le conseguenze del
reato e che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’applicazione della norma in
questione deve passare attraverso la concreta dimostrazione di una inequivoca correlazione
tra il bene e l’attività che si assume illecita, nel caso di specie individuata nell’inquinamento
della falda acquifera, nonché attraverso la dimostrazione che quella attività si protragga
all’attualità, ossia che essa costituisca oggi la verosimile causa dell’inquinamento, i
ricorrenti sostengono che nel caso di specie mancherebbero ambedue i presupposti per
l’adozione del provvedimento di sequestro.
A) In particolare, in tema di “periculum”, nel ricorso si segnala:
a) che da nessun atto risulta che le pelli rinvenute nello stabilimento nel corso della
perquisizione fossero umide;
b) che non era stata dimostrata l’attuale operatività dell’impianto “Sagifur”, la cui attività
era cessata fin dal 2001, di guisa che il tribunale era stato costretto ad abbandonare la linea
giustificativa utilizzata dal Gip, cioè la perdurante attività dell’impianto, rimasta priva di
riscontri, ed a richiamare il pericolo di protrazione e di aggravamento del reato contestato;

Ritenuto in fatto.

Considerato in diritto.

Il ricorso è infondato.
-1- Occorre preliminarmente osservare che, secondo la costante e condivisa giurisprudenza
di questa Corte, il sindacato di legittimità sulle ordinanze emesse in sede di riesame di
provvedimenti di sequestro preventivo o probatorio è limitato al solo vizio di violazione di
legge, in esso dovendosi intendere ricompresi i vizi di motivazione limitatamente ai casi in
cui questa manchi del tutto ovvero si presenti solo apparente, cioè sia del tutto priva dei
requisiti minimi di coerenza e completezza, talché non sia comprensibile l’iter logico seguito
dal giudice di meritoovvero le linee argomentative del provvedimento siano talmente
scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento.
-2- Orbene, tanto precisato, rileva la Corte che nel caso di specie non può certo sostenersi
che la motivazione sia inesistente o solo apparente, avendo ampiamente indicato il tribunale
le ragioni per le quali doveva ritenersi verificata la sussistenza dei presupposti di
applicabilità del sequestro.
In realtà, il tribunale, dopo attento esame degli atti, ha rilevato:
2.1) Quanto al “fumus”, che dalle indagini eseguite era emerso:
a) che dai controlli eseguiti dall’ “Arta” sulle falde che scorrono nel territorio interessato
erano state riscontrate, in quella sottostante lo stabilimento della “Sagifur”, cospicue tracce
di inquinamento per la presenza di sostanze tipicamente impiegate nell’attività di
trattamento del pellame;
b) che ad analoghe conclusioni era giunto il CT del PM, che aveva ribadito che i composti
organici rilevati, costituiti da tricloroetilene e tetracloroetilene, sono utilizzati come solventi
e sgrassatori nelle industrie operanti nel settore del trattamento del pellame;
c) che nel corso di una perquisizione eseguita dal “Nipef” nello stabilimento “Sigifur” era
stata riscontrata la presenza di due lavatrici industriali, nonché di pelli umide e quindi

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c) che lo stesso tribunale, nel mutare le ragioni giustificative del provvedimento di
sequestro, non ha tuttavia rispettato i principi affermati dal giudice di legittimità, laddove è
stata sostenuta la necessità di una motivazione che presenti i requisiti di puntualità,
concretezza ed attualità elaborati da questa Corte in tema di sequestro preventivo. Assente
sarebbe il presupposto della necessaria e concreta correlazione tra il bene e l’ipotizzata
attività illecita, laddove il “periculum” è stato individuato nella stato di dismissione dei
macchinari presenti nello stabilimento, senza tuttavia spiegare come uno stabilimento
dismesso ed in stato di abbandono possa rappresentare un pericolo di aggravamento o di
protrazione del supposto reato.
B) Quanto al “fumus”, i ricorrenti contestano che le indagini consentano di ricondurre
l’inquinamento della falda alla “Sagifur”. In particolare, essi negano che l’inquinamento
avesse interessato solo la falda posta a valle dello stabilimento, come hanno sostenuto i
giudici del riesame svalutando la circostanza che anche nell’acqua prelevata a monte era
stata riscontrata la presenza di sostanze inquinanti. Svalutazione che ha anche riguardato
un’ordinanza del TAR che ha disposto la sospensione di un’ordinanza sindacale che aveva
ordinato la messa in sicurezza dei luoghi, disposta sulla base della relazione dell’Arta”,
utilizzata dai giudici del merito, giudicata generica ed incompleta, tanto che ne era stata
disposta la rinnovazione.
Il tribunale non avrebbe poi considerato altre emergenze investigative e non avrebbe
rilevato la non sussistenza del reato contravvenzionale di cui all’art. 257 co. 1 e 2 del d.lgs n.
152/2006, posto che l’ordinanza sindacale,asseritamente non rispettata, era stata impugnata
davanti al TAR, che l’aveva sospesa.

-3- Il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato ed i ricorrenti condannati al pagamento
delle spese processuali.
P.Q.M.

A

presumibilmente trattate da poco tempo, e di un tubo di plastica che convogliava le acque
delle lavatrici in un tombino allacciato alla rete fognaria;
d) che da successive analisi, eseguite su un campione di acqua prelevata da detto tombino,
era emersa la presenza di dicloroetilene, sostanza impiegata per il trattamento del pellame;
e) che da documentazione rinvenuta nella sede della società risultava l’acquisto di prodotti
aventi composizione chimica compatibili con le sostanze inquinanti presenti nella falda
sottostante lo stabilimento della “Sagifur”;
O che l’inquinamento delle falde sotterranee interessava solo la falda posta a valle
dell’impianto “Sigifur”.
Proprio con riguardo a tale ultimo argomento, di evidente rilievo ai fini dell’odierno
giudizio, i ricorrenti hanno esposto le loro censure, sostanzialmente riproponendole
osservazioni già svolte davanti al giudice del riesame, laddove avevano osservato che la
presenza di sostanze inquinanti era stata rilevata nel c.d. “punto bianco” (piezometro S4),
posto a monte dell’impianto, traendone la conclusione che la fonte dell’inquinamento
dovesse ricercarsi a monte della stabilimento “Sigifur”, che dunque non ne era responsabile.
In proposito, tuttavia, il tribunale ha fornito spiegazioni del tutto convincenti e plausibili,
laddove, richiamando la relazione dell’ ARTA, ha rilevato che tale punto non rappresentava
il monte idrogeologico del sito, e quindi il “punto bianco”, atteso che l’area in questione si
trovava nelle immediate vicinanze dell’impianto, ed era stata quindi probabile sede di
stoccaggio di rifiuti o di materie prime, riconducibili alla “Sigifur” -non essendo emersa la
presenza, sul posto, di altri stabilimenti-che potevano avere rilasciato sostanze inquinanti; ed
ancora, che i valori rilevati a monte dell’impianto non avevano evidenziato segni di
inquinamento.
Argomenti che, inquadrati nel complessivo contesto delle emergenze investigative, si
presentano coerenti, pur se il primo è stato doverosamente reso in termini probabilistici,
atteso l’attuale stato dalle indagini.
Non ha omesso, inoltre, il giudice del riesame di valutare i contenuti della sentenza del
TAR Abruzzo, richiamata dagli esponenti, legittimamente esprimendo sulla stessa un
giudizio di non rilevanza, allo stato, delle considerazioni in essa svolte.
Legittimamente, dunque, alla stregua delle emergenze acquisite, i giudici del riesame
hanno ritenuto sussistente il “fumus” dei reati ipotizzati.
2.2) Quanto al “periculum”, il tribunale ha ritenuto che la permanenza delle conseguenze
provocate dall’inquinamento della falda acquifera, l’assenza di interventi di bonifica e lo
stato di abbandono dello stabilimento, ove erano stati rinvenuti residui di lavorazioni,
macchinari dismessi ed arrugginiti e prodotti infiammabili ed inquinanti, giustificavano il
sequestro, diretto ad impedire che la libera disponibilità del bene potesse protrarre o
aggravare le conseguenze del reato.
Decisione che, seppur sinteticamente motivata, si presentaadeguata e certamente legittima,
anche con riferimento alla denunciata modificazione, da parte del tribunale, delle ragioni
giustificative del provvedimento di sequestro (individuate nel pericolo di aggravamento o di
protrazione del reato e non più, come indicato dal Gip, nella perdurante attività
dell’impianto, la cui cessazione era stata accertata),specie ove si consideri che, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, il sequestro deve ritenersi giustificato allorché perdurino gli
effetti lesivi dell’equilibrio ambientale -nel caso di specie indiscutibilmente accertati- anche
quando sia cessata la condotta criminosa.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2013.

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