Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6786 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 6786 Anno 2016
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: DE MASI ORONZO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da

RUBERTI SORAICA, nata a Casorate Primo il 2 maggio 1988
MUSARRA AMATO Antonia, nata a San Fratello il 30 dicembre 1952

avverso la sentenza Il G.I.P. del Tribunale di Milano, in data 13 giugno 2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Oronzo De Masi;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Paola Filippi,
che ha concluso per l’annullamento della sentenza senza rinvio con trasmissione atti in
ordine ai capi 12) e 13);

Data Udienza: 25/11/2015

RITENUTO IN FATTO

Il G.I.P. del Tribunale di Milano, con sentenza del 13/6/2014, ha applicato ex art. 444 c.p.p. a
RUBERTI SORAICA, per i reati ascrittile ai capi 1), 2), 3), 4) e 5) dell’imputazione, unificati i
fatti per il vincolo della continuazione, con le attenuanti generiche equivalenti alla contestata
recidiva, e con la riduzione del rito scelto, la pena di anni quattro di reclusione ed Euro 500
di multa nonché a MUSARRA AMATO Antonia, per i reati ascrittile ai capi 12), 13) e 14)

sentenza emessa dal medesimo Tribunale il 15/2/2013 (irrevocabile il 13/3/2013), con le
attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, e con la riduzione del rito scelto, la
pena di anni quattro di reclusione ed Euro 14.000 di multa.
All’imputata RUBERTI sono contestati, al capo 1), il delitto di cui agli artt. 110, 624 bis, 625
n.5, 61 n. 5, 56 e 81 cpv c.p., perché agendo in concorso tra loro, con più azioni esecutive del
medesimo disegno criminoso, la RUBERTI avvicinando in due occasioni Bona Giuseppe (n.
11/6/1930) nei pressi della sua abitazione, offrendosi di fargli le pulizie e facendosi fornire
informazioni sulla vita privata del Bona, il suo telefono e l’esatta ubicazione dell’appartamento,
inoltre chiedendogli di salire nello stesso, Lucchesi Katia e Caruso Antonella aspettando fuori
e fungendo da palo, compivano atti idonei diretti ad introdursi nell’abitazione ed impossessarsi
di beni e cose ivi presenti, non riuscendo nell’intento per l’intervento della polizia. Con le
aggravanti di aver agito in tre persone riunite ed abusando di condizioni (per età) della vittima
tali da ostacolare la privata difesa (in Milano l’11 e 12/6/2012);
al capo 2), il delitto di cui agli artt. 110, 624 bis, 625 n. 5, 61 n.5, 56 e 81 cpv c.p., perché
agendo in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, la
RUBERTI avvicinando Sala Luigia (n. 10/11/1926) nei pressi della sua abitazione, offrendosi di
aiutarla e successivamente di effettuarle dei massaggi alle mani, inoltre chiedendole di salire
nella stessa, la Lucchesi e la Caruso aspettando fuori e fungendo da palo, si impossessavano
di 400 euro di proprietà della medesima. Con le aggravanti di aver agito in tre persone riunite
ed abusando di condizioni (per età) della vittima tali da ostacolare la privata difesa (in Busto
Garofalo il 31/10/2012);
al capo 3), il delitto di cui agli artt. 110, 624 bis, 625 n. 5, 61 n.5, 56 e 81 cpv c.p., perché al
fine di profitto, agendo in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno
criminoso, Lucchesi e Ruberti avvicinando Vitali Luigia (n. 8/7/1927) pressi della sua
abitazione, con il pretesto di aiutarla a portare le borse della spesa e farle le pulizie, la Caruso
stazionando all’esterno in attesa e facendo da palo, si introducevano nell’appartamento della
donna impossessandosi di alcuni gioielli. Con le aggravanti di aver agito in tre persone riunite
ed abusando di condizioni (per età) della vittima tali da ostacolare la privata difesa (in Milano
il 6/9/2012);
al capo 4), il delitto di cui agli artt. 110, 624 bis, 625 n. 5, 61 n.5, 56 e 81 cpv c.p., perché al
fine di profitto, agendo in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno
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dell’imputazione, unificati tali fatti per il vincolo della continuazione con altri oggetto della

criminoso, la Lucchesi avvicinando Arpa Auverny Giuseppe (n. 16/11/1934) col pretesto di
aiutarlo, introducendosi nella sua abitazione e facendolo sdraiare per massaggiargli le gambe,
così distraendolo, le atre approfittandone per frugare nell’abitazione, si impossessavano di 200
euro in contanti. Con le aggravanti di aver agito in tre persone riunite ed abusando di
condizioni (per età) della vittima tali da ostacolare la privata difesa (in Milano il 7/7/2012);
al capo 5), il delitto di cui agli artt. 624 bis, 625 n. 5, 61 n.5, perché a fine di profitto, agendo
con altra persona rimasta ignota, introducendosi nell’abitazione di Pistoni Anna Maria, si
impossessava di un orologio in oro ed alcuni preziosi. Con l’ aggravante di aver agito abusando

All’ imputata MUSARRA sono contestati, al capo 12), il delitto di cui agli artt. 81 cpv, 73, c.1,
D.P.R. 309/1990, per avere, in concorso con altri, con più azioni esecutive del medesimo
disegno criminoso ed in tempi diversi, fuori dai casi di cui all’art. 75 e senza le autorizzazioni di
cui all’art. 17 medesimo D.P.R., illecitamente ceduto a Renati Milva quantità imprecisate di
sostanza stupefacente di tipo non identificato (in Buccinasco tra l’ottobre 2012 ed il gennaio
2013); al capo 13), il delitto di cui agli artt. 81 cpv, 73, c.1, D.P.R, 309/1990, per avere, in
concorso con altri, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso ed in tempi
diversi, fuori dai casi di cui all’art. 75 e senza le autorizzazioni di cui all’art. 17 medesimo
D.P.R., illecitamente ceduto a soggetti non identificati, quantità imprecisate di sostanza
stupefacente di tipo non identificato (in Buccinasco tra l’ottobre 2012 ed il gennaio 2013); al
capo 14), il delitto di cui agli artt. 81 cpv, 648 c.p., per avere, a fine di profitto ed anche in
pagamento delle cessioni di cui sopra, con più azioni esecutive del medesimo disegno
criminoso ed anche in tempi diversi, ricevuto da Renati Milva e dai suoi famigliari, computer,
anelli preziosi ed altri oggetti provento di furto in danno di soggetti non identificati (in
Buccinasco nelle date di cui sopra).
Avverso la sentenza le prevenute, personalmente la seconda, propongono ricorso per
cassazione e chiedono l’annullamento della sentenza impugnata, con ogni consequenziale
disposizione, ciascuna per un unico motivo.
La RUBERTI deduce la illegittimità della pena per disparità di trattamento con riferimento alla
posizione della coimputata Lucchesi, in quanto si assume che comportamenti identici e
commessi in concorso risultano sanzionati in misura differente, nonostante i differenti e meno
gravosi precedenti risultanti dal casellario giudiziale a carico della ricorrente.
La MUSARRA deduce, ai sensi dell’art. 606, c.1, lett. b) e lett. e) c.p.p., inosservanza o
erronea applicazione della legge penale, nonché mancanza, contraddittorietà della motivazione
della sentenza impugnata, quanto alla declaratoria di penale responsabilità dell’imputata, non
risultando se effettivamente il giudicante abbia esaminato tutti gli elementi a sua disposizione,
non avendone dato sufficientemente conto nella motivazione, nè bastando il richiamo all’art.
129 c.p.p. e, quanto alla ritenuta recidiva specifica ex art. 99 c.p., in quanto i reati realizzati
in continuazione costituiscono momenti di un’unica condotta illecita.
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di condizioni (per età) della vittima tali da ostacolare la privata difesa (in Milano il 6/6/2011).

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso proposto dalla RUBERTI, manifestamente infondato, va dichiarato inammissibile e va
accolto invece il ricorso della MUSARRA nei limiti e per le ragioni di seguito precisate.
Quanto al motivo di doglianza proposto dalla RUBERTI, non si ravvisa alcun giudicato
contraddittorio, nè ingiusta disparità di trattamento nei confronti della coimputata che
asseritamente si trova nella stessa posizione della ricorrente, atteso che la predetta, rispetto
alla Lucchesi, è chiamata a rispondere anche del delitto di cui al capo 5) dell’imputazione (il

comparazione giustifica, alla luce
interventi sanzionatori

dei criteri si cui all’art. 133 c.p., la modulazione di

ispirati a scelte punitive oggettivamente e soggettivamente

differenziate.
Quanto alla impugnazione della MUSARRA AMATO, giova premettere che, con la dichiarazione
effettuata in data 1/10/2015 al Direttore del Carcere di Vigevano, la predetta ha formulato
rinuncia ai termini processuali (” … rinuncio ai termini di legge … “) e non già al ricorso per
cassazione personalmente proposto avverso al sentenza di patteggiamento, conclusione che è
imposta dal principio secondo cui la rinuncia all’impugnazione è un atto processuale a
carattere formale che richiede una inequivoca manifestazione della volontà abdicativa
dell’interessato.
Il motivo di doglianza proposto dalla MUSARRA AMATO si appalesa fondato.
E’ opportuno ricordare che per costante giurisprudenza di questa Corte, la sentenza del
giudice di merito che applichi la pena su richiesta delle parti, escludendo che ricorra una delle
ipotesi di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p., può essere oggetto

di controllo di

legittimità, per vizio di motivazione, soltanto se dal testo della sentenza impugnata appaia
evidente la sussistenza di una causa di non punibilità ai sensi della disposizione su menzionata.
Diversamente (Sez. 5, n. 2309 del 15/4/1999, Rv. 213633), non è necessario che il giudice dia
conto, nella motivazione, della esclusione di tale causa, “essendo sufficiente anche una
implicita motivazione” al riguardo (Sez. 5, n. 31250 del 25/06/2013, dep. 22/07/2013, Rv.
256359; Sez. 4, n. 30867 del 17/06/2011, dep. 03/08/2011, Rv. 250902; Sez. 3, n. 2309 del
18/6/1999, Rv. 215071).
E, come è noto, il giudice del patteggiamento deve effettuare il controllo preteso dall’art. 129
c.p.p., comma 1, in una situazione in cui per effetto dell’accordo sulla pena l’imputato ha
rinunciato, non solo a Controvertere sulla quantificazione della sanzione, ma anche sul diritto
alla prova, accettando di essere giudicato in base agli atti probatori presenti nel fascicolo,
rinunciando altresì a controvertere sul fatto, per cui oltre a non poter essere dedotte
insufficienze ovvero carenze probatorie, la denuncia dell’errata qualificazione giuridica del fatto
è destinata a ricevere un’applicazione limitata.

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furto commesso ai danni di Pisoni Anna Maria) e che l’eterogeneità delle situazioni in

In particolare, la possibilità di impugnare la sentenza di patteggiamento per denunciare
l’erronea qualificazione giuridica del fatto ha dato luogo ad interpretazioni contrastanti, risolte
da un intervento delle Sezioni unite (sant. n. 5 del 19/1/2000, Neri, Rv. 215825 ed Rv.
215826), le quali hanno statuito che con il ricorso per cassazione può essere denunciata
l’erronea qualificazione del fatto come prospettata dalle parti e recepita dal giudice, e ciò
perché è lo stesso art. 444 c.p.p., comma 2, ad imporre siffatto controllo, funzionale ad evitare
che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati.
Tuttavia, proprio in considerazione della natura del patteggiamento e dello scopo del controllo

fatto debba essere limitata ai casi in cui quella prospettata dalle parti sia palesemente erronea
ovvero ai casi in cui la contestazione originariamente delineata dal solo pubblico ministero sia
anch’essa manifestamente erronea.
Quindi, la ricorribilità della sentenza di patteggiamento è ammessa nelle sole ipotesi di errore
manifesto, ossia quando sussiste realmente l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi
in accordo sui reati, sicché deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione
presenti margini di opinabilità: l’errata qualificazione giuridica del fatto può essere fatta valere
solo dinanzi ad un evidente error in iudicando che “dissimuli un’illegale trattativa sul nomen
iuris”, ma non in presenza di una qualificazione che presenti oggettivi margini di opinabilità
(tra le tante, Sez. 4, n. 10692 del 11/3/2010, Rv. 246394, Sez. 3, n. 44278 del 23/10/2007,
Rv. 238286).
La ricorrente ha dedotto l’insussistenza dei reati contestati e comunque l’erronea qualificazione
dei fatti di reato, avuto riguardo alla valutazione delle risultanze processuali operata dal
del Tribunale di Milano allo stato degli atti del procedimento, attesa la scarna motivazione
della sentenza impugnata in punto di qualificazione giuridica delle contestazioni (“del fatto è
stata operata una corretta qualificazione giuridica; anche sotto ìl profilo degli elementi
accidentali del reato può essere condivisa la ricostruzione sottesa all’accordo da valutarsi”).
Tuttavia i fatti contestati alla ricorrente nei capi 12) e 13) dell’ imputazione non
corrispondono all’ipotesi di cui all’art. 73 , c.1, D.P.R. n. 309/1990, per la quale è avvenuto il
patteggiamento, in quanto si riferiscono a cessioni di “quantità imprecisate di sostanza
stupefacente di tipo non identificato” e nella impugnata sentenza risulta del tutto trascurata
la possibile sussumibilità dei fatti medesimi nell’alveo dell’ipotesi lieve di cui al D.P.R. n. 309
del 1990, art. 73, comma 5 proprio in forza della formulazione dei capi d’imputazione.
Al riguardo, va ricordato che la lieve entità del fatto (prima circostanza attenuante speciale del
reato di cui all’art. 73, comma 1, D.P.R. citato, oggi ipotesi autonoma di reato, e da ultimo
modificata ulteriormente, in sede di conversione con modificazione del D.L. 20 marzo 2014, n.
36, dalla L. 16 maggio 2014, n. 79) può essere riconosciuta in ipotesi di minima offensività
penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri
richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione) e che il piccolo spaccio,
ancorchè rudimentalmente organizzato, certamente non esclude l’invocata ipotesi lieve,
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affidato al giudice, la giurisprudenza ritiene che l’impugnabilità per l’erronea qualificazione del

purché di piccolo spaccio si tratti, dovendosi intendere, per tale, un’attività che sia
caratterizzata per una complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi
eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro nonché di guadagni
limitati e che può ricomprendere anche la detenzione di una provvista per la vendita che,
comunque, non sia superiore – tenendo conto del valore e della tipologia della sostanza
stupefacente – a dosi che non siano incompatibili con la minima offensività del fatto (Sez. 6, n.
41090 del 18/07/2013, Rv. 256609) che ha ritenuto compatibile con il piccolo spaccio la
detenzione di poche decine di dosi di droga leggera).

appalesa inammissibile in quanto la contestata recidiva è stata esclusa dal G.I.P.
nell’impugnata sentenza (pag. 5).
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di MUSARRA
AMATO Antonia senza rinvio, con trasmissione degli atti ai Tribunale di Milano per l’ulteriore
corso, consentendo alle parti di poter rinegoziare l’accordo sulla base dei legali limiti edittali
ovvero proseguire con il rito ordinario.
Essendo il ricorso della RUBERTI inammissibile e non ravvisandosi, a norma dell’art. 616
c.p.p., assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent.
n. 186 del 13/6/2000), alla condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in
dispositivo.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di MUSARRA AMATO Antonia e
dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Milano per nuovo giudizio. Dichiara inammissibile
il ricorso di RUBERTI SORAICA che condanna al pagamento delle spese processuali e della
somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 5 novembre 2015.

Con riferimento alla doglianza concernente la contestata recidiva ex art. 99 c. p., la stessa si

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