Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6786 del 23/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 6786 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D’Antonio Henry n. il 9.6.1975
avverso la sentenza n. 1479/2012 pronunciata dalla Corte d’appello di
L’Aquila il 20.5.2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 23.1.2014 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. A. Policastro, che
ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito, per l’imputato, l’avv.to A.A. Volpe che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 23/01/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con sentenza resa in data 20.5.2013, la Corte di appello di
L’Aquila ha integralmente confermato la sentenza in data 23.3.2010
con la quale il Tribunale di Chieti ha condannato Henry D’Antonio
alla pena di otto mesi di arresto ed euro 4.000,00 di ammenda, oltre
alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo di un anno e sei mesi, in relazione al
reato di guida in stato di ebbrezza alcolica (tasso alcolemico pari a
3,16 g/1) commesso in Chieti il 31.1.2009.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore,
ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, censurando la decisione impugnata per violazione di legge, avendo la corte territoriale raggiunto la prova della responsabilità penale del ricorrente esclusivamente sulla base dell’esito di accertamenti ematochimici nella specie
assolutamente inutilizzabili.
In particolare, sottolinea il ricorrente come, in occasione del
fatto de quo, gli organi di polizia giudiziaria intervenuti a seguito
dell’incidente nella specie verificatosi, avessero richiesto agli operatori sanitari coinvolti di procedere al prelievo e all’analisi chimica del
sangue del D’Antonio senza che detto prelievo fosse imposto da alcun
protocollo medico di cura o di pronto di soccorso, bensì sollecitando
direttamente la sottoposizione dell’imputato ad un prelievo ad hoc
(esclusivamente destinato all’accertamento del reato), in assenza di
alcun espresso consenso dell’interessato, con la conseguente assoluta
inutilizzabilità delle risultanze delle analisi in tal modo effettuate.
Considerato in diritto
2. – Il ricorso è infondato.
Con riguardo al tema relativo all’utilizzabilità, nell’ambito di
un procedimento penale per guida in stato di ebbrezza, degli accertamenti ematochimici disposti in assenza di un espresso consenso
dell’interessato, ritiene il collegio di dover riproporre e ribadire, in
questa sede, il vigore dei principi di recente statuiti da questa stessa
corte di legittimità in occasione di una vicenda analoga a quella oggetto dell’odierno esame, nel corso della quale la questione relativa
all’inutilizzabilità patologica degli accertamenti ematochimici compiuti in difetto di espresso consenso dell’imputato (astrattamente sollevabile in relazione al significato normativo dei principi di natura

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costituzionale) è stata compiutamente affrontata e risolta (cfr. Cass.,
Sez. 4, n. 6755/2012, Rv. 254931).
Varrà innanzitutto osservare come le situazioni, in relazione
all’accertamento del tasso alcolemico, che in concreto possono prospettarsi, nel momento in cui (come nel caso di specie) il conducente,
presumibilmente in stato di ebbrezza, sia stato coinvolto in un incidente stradale e condotto presso una struttura sanitaria, sono diverse
tra loro, benché in relazione a ciascuna di esse sia possibile individuare una regolamentazione ricavabile dalla norma di riferimento
(art. 186, co. 5, c.d.s.) nella sua attuale formulazione già in vigore al
momento del fatto di cui trattasi.
La disposizione normativa in parola prevede che, per i conducenti coinvolti in incidenti stradali e sottoposti alle cure mediche,
l’accertamento del tasso alcolemico su richiesta degli organi della polizia stradale venga effettuato da parte delle strutture sanitarie, che
rilasciano successivamente ai predetti organi la relativa certificazione
estesa alla prognosi delle lesioni accertate. Il successivo art. 186, co.
6, c.d.s., statuisce che, qualora da tale accertamento risulti un valore
corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 grammi per
litro di sangue, l’interessato è considerato in stato di ebbrezza ai fini
delle applicazioni delle sanzioni di cui al comma 2 dello stesso articolo.
Da tali premesse discende che, in presenza dei presupposti di
fatto indicati (coinvolgimento del conducente in un incidente stradale
e sua sottoposizione a cure mediche da parte della struttura sanitaria), l’accertamento del tasso alcolemico richiesto ai sanitari dagli organi della polizia giudiziaria, è utilizzabile ai fini dell’affermazione
della responsabilità dell’interessato, indipendentemente dal consenso
che costui abbia o meno prestato all’effettuazione dell’accertamento
stesso.
Il primo presupposto di fatto (ossia il coinvolgimento in un incidente stradale) è un dato oggettivo, non rilevando se esso abbia o
meno coinvolto solo il veicolo dell’interessato o anche quello di altri,
contando unicamente il pericolo causato alla circolazione stradale;
per la sussistenza del secondo presupposto è necessario che il prelievo ematico sia stato eseguito dal personale sanitario della struttura
presso cui è stato condotto l’interessato, nell’ambito di un protocollo
medico di pronto soccorso; a tal fine, ovviamente, la valutazione se si

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debba o meno sottoporre il medesimo a cure mediche e procedere
anche al prelievo ematico, onde predisporre adeguate cure farmacologiche, è rimessa agli stessi sanitari.
Nell’ambito delle cure che vengono in tal modo prestate con il
prelievo ematico, gli organi di polizia giudiziaria sono legittimati a
richiedere l’accertamento del tasso alcolemico, i cui risultati possono
essere utilizzati ai fini penali, indipendentemente dal consenso prestato o meno in tal senso dal guidatore.
In tale caso, poiché l’acquisizione del risultato dell’accertamento ematico è previsto ex lege, non è affatto necessario, a tutela del
diritto di difesa, che l’interessato venga avvertito della facoltà di nomina di un difensore. Il conducente potrebbe, però, opporsi alla sottoposizione alle cure mediche e, quindi, al prelievo di sangue e, sostanzialmente all’accertamento del tasso alcolemico, disposti dai sanitari nell’ambito di applicazione del protocollo di pronto soccorso
cui si è fatto riferimento; tuttavia, in tal caso (atteso il collegamento
tra il comma 7 ed il comma 5 dell’art. 186 c.d.s.), egli è punito con le
pene previste dal comma 2, lett. c) dello stesso articolo, sempre, però,
che sia stato informato che, nell’ambito delle cure mediche, era stato
richiesto da parte della polizia giudiziaria ai sanitari il prelievo di
sangue per l’accertamento del tasso alcolemico.
Diversamente, se i sanitari abbiano ritenuto di non sottoporre
il conducente a cure mediche e a prelievo ematico, la richiesta degli
organi di polizia giudiziaria di effettuare l’analisi del tasso alcolemico,
in presenza di un dissenso espresso dell’interessato, è illegittima e,
quindi, l’eventuale accertamento, comunque effettuato a mezzo del
prelievo ematico da parte dei sanitari, è inutilizzabile ai fini dell’affermazione di responsabilità per una delle ipotesi di reato previste
dall’art. 186, co. 2, c.d.s., (v. sul punto anche Cass., Sez. 4, n.
26108/2012, Rv. 253596, secondo cui i risultati del prelievo ematico
effettuato per le terapie di pronto soccorso successive ad incidente
stradale e non preordinato a fini di prova della responsabilità penale
sono utilizzabili per l’accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza, senza che rilevi l’assenza di consenso dell’interessato. In applicazione di tale principio la S.C. ha affermato che, per il suo carattere invasivo, il conducente può opporre un rifiuto al prelievo ematico
se sia finalizzato esclusivamente all’accertamento della presenza di
alcol nel sangue).

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Non a caso si è fatto riferimento al dissenso espresso dell’interessato e non al suo mancato consenso, in quanto l’utilizzazione
dell’una o dell’altra locuzione ha risvolti applicativi di non poco conto.
Ed, infatti, se basta “il dissenso espresso dell’interessato” gli
organi di polizia giudiziaria possono richiedere ai sanitari l’effettuazione del prelievo ematico e, quindi, dell’accertamento del tasso alcolemico, ancorché gli stessi non abbiano ritenuto necessario di sottoporre l’interessato a cure mediche, deducendo il consenso di quest’ultimo, ovviamente previa informazione al medesimo della finalità per
cui è effettuato il prelievo ematico (trattasi pur sempre di un consenso informato), anche da un atteggiamento positivo, sebbene verbalmente non espresso; altrimenti, se si richiede “il consenso dell’interessato” è ovvio che esso debba essere espresso, cioè non ricavabile
da suoi atteggiamenti.
La scelta del collegio di ritenere che, per l’utilizzabilità processuale dell’accertamento del tasso alcolemico, acquisito con le modalità descritte, non ci debba essere “il dissenso espresso dell’interessato”, deriva dalla lettura dell’art. 186, co. 7, c.d.s., laddove il legislatore
ha specificamente utilizzato il termine “rifiuto” da parte del conducente, con riferimento all’accertamento del tasso alcolemico (anche
con riguardo al comma 5 dello stesso articolo): il significato lessicale
di tale sostantivo di opporsi espressamente (con qualsiasi modalità,
ovverosia verbale e non) ad una richiesta di fare o subire un qualche
cosa (consenso informato) è incontrovertibile (v. infra sent. Corte
Cost. n. 238/1996).
È del tutto ovvio, poi, alla luce di un’interpretazione sistematica della norma, che anche in questo caso l’espresso dissenso (rifiuto)
del conducente all’effettuazione dell’accertamento alcolemico, richiesto dagli organi di polizia giudiziaria ai sanitari, al di fuori dei presupposti illustrati, di cui al comma 5, consente l’applicazione della
disposizione del richiamato comma 7.
Con riguardo all’ipotizzata violazione da parte della disposizione normativa in esame dei principi costituzionali a tutela della libertà personale del cittadino e del suo diritto di rifiuto a sottoporsi ad
accertamenti invasivi anche se per finalità di accertamento di reati,
possono essere evocati i principi affermati con la sentenza della Corte
Costituzionale n. 238/1996, la quale ha dichiarato l’illegittimità

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dell’art. 224 c.p.p., comma 2, “nella parte in cui consente che il giudice, nell’ambito delle operazioni peritali, disponga misure che comunque incidano sulla libertà personale dell’indagato o dell’imputato o di
terzi, al di fuori di quelle specificamente previste nei “casi” e nei
“modi” dalla legge”. Principio a maggior ragione da valere anche per
gli atti d’indagine.
Va osservato che la Corte Costituzionale, è giunta alla pronuncia d’illegittimità per arginare l’utilizzo di provvedimenti coercitivi
atipici, astrattamente riconducibili alla nozione di “provvedimenti…
necessari per l’esecuzione delle operazioni peritali”, senza che fosse
prevista alcuna distinzione tra quelli incidenti e quelli non incidenti
sulla libertà personale, così cumulandoli in una disciplina, connotata
da assoluta genericità di formulazione e totale carenza di ogni specificazione dei casi e dei modi in presenza dei quali soltanto poteva ritenersi legittima l’esecuzione coattiva di accertamenti peritali mediante
l’adozione, a discrezione del giudice, di misure restrittive della libertà
personale. Carenza normativa a cui, peraltro, di recente il legislatore
ha posto riparo con l’introduzione dell’art. 224 bis c.p.p..
Invero, la stessa Corte, nella motivazione della sentenza, nel
momento in cui censurava la genericità della disciplina del rito penale, ha segnalato come invece, “…. in un diverso contesto, che è quello
del nuovo codice della strada (arti. 186 e 187), il legislatore – operando specificamente il bilanciamento tra l’esigenza probatoria di accertamento del reato e la garanzia costituzionale della libertà personale abbia dettato una disciplina specifica (e settoriale) dell’accertamento
(sulla persona del conducente in apparente stato di ebbrezza alcoolica o di assunzione di sostanze stupefacenti) della concentrazione di
alcool nell’aria alveolare espirata e del prelievo di campioni di liquidi
biologici, (prevedendo bensì in entrambi i casi la possibilità del rifiuto dell’accertamento, ma con la comminatoria di una sanzione penale
per tale indisponibilità dei conducente ad offrirsi e cooperare all’acquisizione probatoria); disciplina – questa – la cui illegittimità costituzionale è stata recentemente esclusa da questa Corte (sentenza n. 194
del 1996, citata) proprio denegando, tra l’altro, la denunziata violazione dell’art. 13 Cost., comma 2, atteso che la dettagliata normativa
di tale accertamento non consente neppure di ipotizzare la violazione
della riserva di legge”.

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Ne consegue che lo stesso giudice delle leggi ha riconosciuto,
nelle due pronunce sopra riportate, la legittimità della disciplina del
codice della strada, anche laddove nell’indicare le modalità degli accertamenti tecnici per rilevare lo stato di ebbrezza, non prevede alcun
preventivo consenso dell’interessato al prelievo dei campioni.
E, dunque, avendo la stessa Corte Costituzionale, nella richiamata sentenza, individuato quali sono i “trattamenti sanitari”, c.d.
invasivi, consentiti, tra cui il prelievo ematico, le modalità previste
dall’art. 186, co. 5, c.d.s., per l’accertamento del tasso alcolemico trovano il loro fondamento nell’art. 32, comma 2 della Carta Costituzionale.
Ciò che può essere opposto è il rifiuto al controllo; ma la stessa
sanzione penale che accompagna tale condotta, sancendone il disvalore, risulta incompatibile con la pretesa di un esplicito consenso al
prelievo dei campioni.
Nel caso di specie, risulta incontestato dallo stesso tenore
dell’odierno ricorso come il prelievo subito dal D’Antonio sia stato
effettuato in assenza di un espresso dissenso dell’interessato nel rispetto delle norme vigenti all’epoca dei fatti, ai sensi dell’art. 186, co.
5, c.d.s., presso il presidio sanitario in cui l’imputato era stato condotto per controlli medici.
Sulla base delle argomentazioni sin qui comprendiate, deve ritenersi che le censure d’inutilizzabilità degli accertamenti ematochimici relativi alla positività all’alcool dell’imputato siano del tutto prive di fondamento; premessa da cui deriva il riscontro
dell’infondatezza del ricorso con il conseguente relativo integrale rigetto.

Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23.1.2014.

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