Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6783 del 23/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 6783 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Di Meglio Gennaro n. il 2.12.1979
avverso la sentenza n. 371/2008 pronunciata dalla Corte d’appello di
Cagliari, sezione distaccata di Sassari, il 27.11.2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 23.1.2014 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. A. Policastro, che
ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 23/01/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con sentenza resa in data 27.11.2012, la corte d’appello di
Cagliari, sezione distaccata di Sassari, ha integralmente confermato
la sentenza in data 3.10.2007 con la quale il tribunale di Tempio Pausania ha condannato Gennaro Di Meglio alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione (oltre al risarcimento dei danni in favore della
parte civile costituita), in relazione al reato di naufragio colposo di cui
agli artt. 449 e 428 c.p., commesso, presso le acque de La Maddalena,
Secca dei Monaci, in data 11.9.2003.
All’odierno imputato era stata contestata la responsabilità della causazione, per propria colpa, dell’urto tra la motonave Moby Magic e una porzione delle rocce granitiche della Secca dei Monaci presso le acque de La Maddalena, avendo lo stesso, in servizio di turno al
comando della motonave, provveduto solo tardivamente a disporne
l’accostata, oltre ad omettere l’accertamento dell’erroneità della rotta
e della posizione della nave, con la conseguente provocazione
dell’eccessivo avvicinamento alla costa e dell’urto con le rocce della
Secca dei Monaci: urto dal quale era conseguito il naufragio della nave successivamente rimorchiata e condotta per l’ormeggio presso il
porto di Golfo Aranci.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore
ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, censurando il provvedimento della corte territoriale per mancata assunzione di prove decisive, violazione di legge e vizio di motivazione.
In primo luogo, l’imputato si duole dell’omissione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nel trascurare l’assunzione di talune
prove decisive (come l’acquisizione del Piano Generale della nave ed
altri strumenti di prova testimoniale e tecnica) essenziali al fine di
definire con certezza l’esatta ricostruzione dei fatti in contestazione,
con particolare riguardo all’identificazione delle reali cause della falla
provocata nello scafo della motonave, alla relativa distanza dalla linea
di galleggiamento, all’esatta determinazione dell’orario del sinistro e
della profondità in cui avvenne l’impatto dello scafo con il corpo
sommerso oltre alla determinazione del funzionamento della strumentazione tecnica indispensabile ai fini della ricostruzione del reale
accadimento dei fatti.
Al riguardo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per
aver attribuito un decisivo rilievo ad elementi di prova del tutto equivoci e privi di adeguata certezza rappresentativa e, in primo luogo,
alle relazioni e alle conseguenti deposizione testimoniali rese dal consulente tecnico del pubblico ministero (dott. Aloi) e dal responsabile

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dell’inchiesta amministrativa condotta dalla Capitaneria di porto di
Olbia (dott. Maresca), in larga misura fondate su rilievi d’incerta attendibilità e d’indole meramente ipotetica, tanto con riguardo alla
determinazione delle coordinate del punto di accostata, quanto in relazione alla specificazione della reale rotta nella specie seguita dalla
nave.
Sotto altro profilo, il ricorrente contesta l’argomentazione dettata dalla corte territoriale in relazione alla ricostruzione del nesso di
causalità tra la condotta dell’imputato e il naufragio verificatosi, sottolineando l’insussistenza di alcuna prova certa e coerente in ordine
all’effettiva sussistenza di elementi di colpa allo stesso imputabili in
relazione ai pretesi errori asseritamente consistiti nell’erronea impostazione (o controllo) della rotta e nel ritardo nel procedere
all’accostata della motonave, avuto altresì riguardo alle insuperabili
incongruenze emerse in relazione all’esatta determinazione
dell’orario dell’urto, al mancato funzionamento della strumentazione
tecnica (GPS; sistema Vdr) indispensabile ai fini della ricostruzione
del reale accadimento dei fatti, all’incompletezza e all’imprecisione
dei contenuti dell’ispezione compiuta dai sommozzatori della Guardia Costiera a seguito del naufragio.
Da ultimo, il ricorrente richiama i contenuti della deposizione
resa dal teste Pili, nella parte in cui ha attestato la presenza,
nell’immediatezza dell’urto, di un corpo scuro che si allontanava dal
lato nave, a conferma dell’alternativa spiegazione eziologica
dell’impatto dello scafo, nella specie avvenuto a seguito della collisione della motonave contro un corpo in movimento (quale, ad es., un
container etc.) costituente una circostanza anomala, integrante una
situazione di forza maggiore tale da escludere ogni profilo di colpa
ascrivibile a carico dell’odierno imputato.

Considerato in diritto
2. – Il ricorso è infondato.
Preliminarmente, dev’essere disattesa la doglianza avanzata
dal Di Meglio con riguardo all’omessa assunzione, ad opera della corte territoriale, di prove decisive (ai sensi dell’art. 606, lett. d, c.p.p.),
valendo, sul punto, il richiamo al consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale deve ritenersi ‘prova decisiva’, secondo la previsione dell’art. 606 lett. d) c.p.p., quella prova
che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione,
si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia (Cass., Sez. 2, n. 16354/2006, Rv.

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234752; Cass., Sez. 6, n. 14916/2010, Rv. 246667), ovvero quella prova che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la
struttura portante (Cass., Sez. 3, n. 27581/2010, Rv. 248105).
Nella specie, le circostanze di fatto destinate ad essere confermate attraverso l’assunzione dei mezzi di prova suppletivi genericamente invocati dal ricorrente devono ritenersi inevitabilmente caratterizzati da un’irriducibile astrattezza, apparendo meramente congetturale la conseguenza che la difesa intende trarne circa la certa attestazione dell’esatta ricostruzione dei fatti in contestazione, con particolare riguardo all’identificazione delle reali cause della falla provocata nello scafo della motonave, alla relativa distanza dalla linea di galleggiamento, all’esatta determinazione dell’orario del sinistro e della
profondità in cui avvenne l’impatto dello scafo con il corpo sommerso
oltre alla determinazione del funzionamento della strumentazione
tecnica indispensabile ai fini della ricostruzione del reale accadimento dei fatti.
Del tutto coerentemente, pertanto la corte territoriale ha ritenuto superflua la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale invocata
dal ricorrente, evidenziando le insufficienti certezze ricavabili dall’acquisizione di mere notizie giornalistiche e l’avvenuto accertamento
aliunde della distanza tra la falla provocata nello scafo della motonave e la relativa linea di galleggiamento, oltre all’accertamento della
sicura compatibilità della provocazione di detta falla attraverso l’urto
contro le rocce della secca, tenuto conto delle conferme sul punto
fornite dalle prove testimoniali e tecniche assunte e dell’oggettiva collocazione dei picchi delle rocce, oltre alla considerazione delle prevedibili oscillazioni della nave dovute alle condizioni meteomarine
(vento forza 7 e mare forza 4) al momento in atto.
La stessa acquisizione delle carte nautiche al fine dell’esatta
identificazione del punto di collocazione della Secca dei Monaci sulla
base delle coordinate rese in dibattimento dal teste Maresca (sul punto smentito dal teste Michele Di Meglio richiamato dal ricorrente) è
stata coerentemente giudicata superflua dalla corte territoriale,
avendo lo stesso teste Maresca affermato di non essere in grado di
confermare e definire con certezza le coordinate nautiche identificative della esatta collocazione della Secca dei Monaci.
Nel resto, rileva il collegio come la corte territoriale abbia proceduto alla ricostruzione dei fatti di causa, alla determinazione dei
processi causali che ebbero a condurre al naufragio e alla relativa imputazione soggettiva alla colpa dell’odierno ricorrente sulla base di

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una logica interpretazione e di una coerente sistemazione argomentativa del compendio probatorio complessivamente acquisito.
In particolare, la corte territoriale ha evidenziato come la riconduzione del naufragio della motonave all’apertura, nel relativo
scafo, di una falla originata dall’urto contro le rocce della Secca dei
Monaci fosse rimasta comprovata sulla base di un complesso di elementi probatori d’indole oggettiva e univoca.
In primo luogo, la corte d’appello sarda ha richiamato i contenuti del resoconto documentale dell’ispezione subacquea condotta in
loco dal nucleo sommozzatori della Guardia costiera, la cui attendibilità (con particolare riguardo alla certezza circa l’esatta localizzazione
del luogo d’ispezione) deve ritenersi confermata dall’avvenuta collaborazione prestata dal personale della Guardia costiera di Olbia.
All’esito di tale ispezione, la corte d’appello ha coerentemente evidenziato gli elementi concreti in forza dei quali dovesse ritenersi inconfutabile il riscontro dei segni lasciati dall’urto della nave sul costone
roccioso della secca e la sicura riconducibilità, degli zinchi rinvenuti
sul posto dai sommozzatori, alla dotazione della specifica motonave
in esame, oltre alle ragioni del mancato rinvenimento di lesioni alla
pinna stabilizzatrice della motonave (nell’occasione non in funzione)
e dell’irrilevanza della riscontrata presenza sullo scafo di bugnature e
striature nere d’incerta origine.
Un particolare rilievo probatorio la corte territoriale ha significativamente attribuito alle dichiarazioni rese dal comandante della
motonave, Cutugno, il quale, precipitatosi in plancia subito dopo
l’urto, ha riferito di aver immediatamente avuto la percezione
dell’eccessiva vicinanza della motonave alla costa: dichiarazione pienamente attendibile e genuina, siccome rilasciata da un soggetto
nell’immediatezza investito della qualità di imputato nel processo di
primo grado, come tale obiettivamente interessato a rendere dichiarazioni in ipotesi suscettibili di allontanare da sé ogni forma di responsabilità per eventuali errori nell’impostazione della navigazione.
Tali dichiarazioni, peraltro, sono state ritenute dalla corte coerenti
con il riscontro fornito dalla deposizione del teste Cecalotti, là dove
ha riferito di aver “sentito uno sfregamento molto forte della nave,
una grattata” (cfr. pag. n della sentenza d’appello).
Nessuna ferita a tale univoca ricostruzione dei fatti può ascriversi all’incidenza della dichiarazione resa dal teste Pili (circa
l’eventuale urto della nave contro un corpo sommerso, come un container o un sottomarino), atteso il carattere irriducibilmente generico
dei contenuti di detta deposizione, peraltro pienamente compatibile

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con la collisione della nave con la secca, di là dal carattere meramente
congetturale dell’alternativa spiegazione causale ipotizzata dalla difesa.
Il complesso delle argomentazioni dettate nella motivazione
della sentenza d’appello in relazione alla ricostruzione del nesso causale del naufragio deve dunque ritenersi completo ed esauriente, immune da vizi d’indole logica o giuridica, come tale pienamente idoneo
a sottrarsi a tutte le censure sul punto avanzate dagli odierni ricorrenti, avendo la corte territoriale tratto, oltre ogni ragionevole dubbio, la conclusione dell’effettività dell’urto dello scafo della nave con
le rocce della Secca dei Monaci sulla base di un ragionamento probatorio dotato del più elevato livello di probabilità logica equiparabile al
più alto livello di credibilità razionale: decorso causale probatoriamente corroborato attraverso il complesso degli indici più sopra richiamati, in assenza di alcun elemento di prova contraria idoneo a
fondare il ragionevole dubbio circa la possibile incidenza di un plausibile decorso causale alternativo.
Quanto alla prova dei profili di colpa ascrivibili all’odierno imputato, la corte territoriale ha coerentemente ricostruito il quadro
degli elementi rilevanti in tal senso, richiamando le deposizioni rese
dai testi Maresca e Aloi in forza delle quali è stata ricostruita, con rilevante attendibilità, tanto la posizione, quanto la rotta concretamente seguita nell’occasione dalla motonave, il cui scostamento rispetto a
quella prestabilita (150° invece che 137°), unita al comprovato (decisivo) ritardo nell’accostata (attestato dalla combinata e coerente ricostruzione delle diverse testimonianze partitamente richiamate in motivazione), ha determinato le inevitabili oggettive condizioni dell’urto
tra lo scafo della nave e le rocce della Secca dei Monaci: urto che sarebbe stato certamente evitato laddove l’imputato avesse diligentemente provveduto (pur in presenza del mancato funzionamento della
strumentazione tecnica disponibile a bordo) a effettuare un regolare
controllo del punto-nave effettivo, come imposto dalle regole di marineria. Al riguardo, risulta provato che l’ultimo punto-nave venne
effettuato dal comandante Cutugno alle 17.45, ovvero circa un’ora
prima del sinistro, con la conseguenza che il controllo è stato omesso
per l’intero lasso di tempo in cui la nave era stata affidata al comando
dell’odierno imputato: un lasso di tempo irragionevolmente lungo
avuto riguardo alle condizioni meteomarine di quel giorno e dai pericoli propri della zona di navigazione.
Sulla base di tali premesse, la corte territoriale ha dunque coerentemente desunto, con assoluta certezza, la circostanza secondo

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cui, là dove l’imputato avesse correttamente ottemperato agli obblighi che la sua posizione gli imponeva, lo stesso si sarebbe agevolmente reso conto degli errori commessi con la possibilità di adottare tutti
gli accorgimenti del caso, altresì sottolineando la sufficienza, a tal fine, di una semplice maggiore attenzione nel controllo della navigazione, avendo lo stesso comandante Cutugno riferito di aver immediatamente percepito, mediante la semplice osservazione della costa,
l’errata posizione della nave: accertamento che lo stesso imputato
avrebbe potuto e dovuto effettuare al fine di correggere gli errori in
precedenza rilevati.
La motivazione dettata dalla corte territoriale in relazione ai
profili di colpevolezza dell’imputato deve dunque ritenersi anch’essa
pienamente completa ed esauriente, scevra da vizi di natura logica o
giuridica, pienamente idonea a sottrarsi alle censure sul punto argomentate dal ricorrente, nella specie per lo più inclini a prospettare
un’inammissibile rilettura in fatto delle risultanze probatorie acquisite, come tali non sottoponibili al vaglio di questa corte di legittimità.
3. — Al riscontro dell’infondatezza di tutti i motivi di doglianza
avanzati dall’imputato segue il rigetto del ricorso e la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23.1.2014.

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