Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6772 del 23/01/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 6772 Anno 2013
Presidente: MARZANO FRANCESCO
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARSON FABIO N. IL 29/03/1980
avverso la sentenza n. 155/2010 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
05/03/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/01/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI
Udito il Procuratore GTIerale in persona del Dott.
che ha concluso per d

o

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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Data Udienza: 23/01/2013

Ritenuto in fatto
MARSON Fabio ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di
primo grado, lo ha riconosciuto colpevole dei reati di cui all’articolo 189, commi 6 e 7, del
codice della strada.
Il giudicante di appello, riprendendo gli argomenti sviluppati dal primo giudice,
condotta incriminata: lo stesso imputato, dopo l’occorso, era del resto ritornato indietro a
bordo del proprio veicolo e aveva potuto apprezzare la presenza di un “capannello di
persone” intorno al motociclista infortunato e ciò lo avrebbe dovuto indurre a fermarsi.
Né, per escludere la mancata prestazione di soccorso, poteva valere la presenza in loco di
altre persone, nulla potendo escludere la necessità del soccorso, anche in ragione del
fatto che il possesso del veicolo da parte dell’imputato poteva, in ipotesi, agevolare
l’approntamento dei soccorsi.
Con Il ricorso, articolato su diversi, ma connessi, motivi, si censura il giudizio di
responsabilità, sostenendosi, con diversi argomenti di fatto, la insussistenza della
consapevolezza in capo all’agente, sul rilevo che non risulterebbe né accertata né provata
la circostanza che l’ imputato si fosse reso conto dell’urto verificatosi.
Considerato in diritto
Le doglianze sono manifestamente infondate perché si risolvono in una rinnovata
valutazione dell’apprezzamento del compendio probatorio che i giudicanti, in modo
convergente in primo e secondo grado, hanno sviluppato in modo logico e quindi
incensurabile nella presente sede di legittimità.
In diritto è sufficiente ricordare che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’articolo
189, comma 6, del codice della strada, che punisce l’utente della strada che, in caso di
incidente con danno alle persone, non ottempera all’obbligo di fermarsi, il dolo richiesto
deve investire, innanzitutto ed essenzialmente, l’omesso obbligo di fermarsi in relazione
all’evento dell’incidente, ove questo sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, e
va apprezzato come eventualmente sussistente avendo riguardo alle circostanze fattuali
del caso laddove queste, ben percepite dall’agente, siano univocamente indicative di un
incidente idoneo ad arrecare danno alle persone (ex pluribus , Sezione IV, 21 novembre
2007, Cortellazzi).

2

evidenziava come le circostanze dell’incidente deponessero per la consapevolezza della

Mentre, con riferimento al reato di cui al successivo comma 7, che punisce la violazione
dell’obbligo di fermarsi e di “prestare assistenza alle persone ferite” da parte dell’ utente
della strada, in caso di incidente con danno alle persone comunque ricollegabile al suo
comportamento, è parimenti pacifico che per la punibilità è necessario e sufficiente anche
il dolo eventuale, che si configura normalmente in relazione all’elemento volitivo, ma che
può attenere anche all’elemento intellettivo, quando l’agente consapevolmente rifiuti di
accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento
verificazione del danno alle persone eziologicamente collegato all’incidente, è sufficiente
(ma pur sempre necessario) che, per le modalità di verificazione di questo e per le
complessive circostanze della vicenda, l’agente si rappresenti la probabilità – o anche la
semplice possibilità- che dall’incidente sia derivato un “danno alle persone” e che queste
“necessitino di assistenza” e, pur tuttavia, accettandone il rischio, ometta di fermarsi
(Sezione IV, 5 novembre 2009, Bernardi).
La sentenza si è mossa nel rispetto di tali principi, avendo finanche evidenziato come
l’imputato fosse tornato indietro sul luogo dell’incidente, ove aveva potuto apprezzare la
presenza dell’infortunato, con ciò dimostrandosi la piena consapevolezza della condotta
elusiva tenuta.
Mentre, con riferimento alla mancata prestazione del soccorso, esattamente è stata
ritenuta non significativa la circostanza della presenza di “altri” sul luogo dell’incidente,
giacchè il reato in questione ricorre quando la persona investita ha effettivo bisogno della
assistenza dell’investitore sia per le condizioni nelle quali sia venuta a trovarsi in seguito
all’incidente sia perché l’assistenza occorrente non sia già stata approntata idoneamente
da altri. La presenza di altre persone (una o più) non esime l’autore dell’incidente dal
dovere dell’assistenza, se questa sia necessaria o anche soltanto utile. L’investitore resta
dispensato da tale dovere solo quando si sia accertato che l’aiuto sia stato fornito da terzi
in maniera efficace (cfr. Sezione IV, 3 maggio 1983, Delle Fabbrich): circostanza che qui
il giudicante ha motivatamente escluso.
Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa della ricorrente (Corte Cost., sent. 713 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del ricorrente medesimo al pagamento
delle spese processuali e di una somma, che congruamente si determina in mille euro, in
favore della cassa delle ammende.

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costituisce reato, accettandone per ciò stesso il rischio: ciò significa che, rispetto alla

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in data 23 gennaio 2013

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