Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6752 del 06/11/2012


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 6752 Anno 2013
Presidente: MARZANO FRANCESCO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. GORAN SIKIC, N. IL 28/12/1965,
2.

CARRIVALE DOMENICO, N. IL 17/5/1977,

3.

RADOVIC BLAZENKO, N. IL 14/11/1968,

avverso la sentenza n. 213/2011 pronunciata dalla Corte di Appello di
Firenze del 6/7/2011;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
udite le conclusioni del P.G. Dott. Oscar Cedrangolo, che ha chiesto il rigetto
dei ricorsi;

RITENUTO IN FATTO
1. Goran Sikic, Carrivale Domenico e Radovic Blazenko venivano condannati
dal Tribunale di Firenze per essersi associati tra loro allo scopo di commettere un
numero indeterminato di furti all’interno di uffici di società private, di esercizi
commerciali, di studi professionali e di abitazioni private, nonché per la
ricettazione di cose provento di furto.

Data Udienza: 06/11/2012

Il Goran veniva condannato alla pena di anni dieci e mesi dieci di reclusione

ed euro 2.400,00 di multa, ritenuta la contestata recidiva ed unificati i reati di
cui ai capi A, N, O, P, Z, EE, GG, LL, MM, QQ, RR, TT, UU, AAA, CCC sotto il
vincolo della continuazione; il Radovic alla pena di anni nove e mesi dieci di
reclusione ed euro 2.000,00 di multa, ritenuta la contestata recidiva ed unificati i

reati di cui ai capi A, N, P, Z, EE, LL, QQ, RR, TT, UU sotto il vincolo della
continuazione; il Carrivale alla pena di anni otto mesi sei di reclusione ed euro
2.000,00 di multa, esclusa l’aggravante di cui all’articolo 416, co. 2 cod. pen. e
II, SS, DDD, FFF sotto il vincolo della continuazione.

2. Le indagini prendevano avvio dal furto consumato il 13 luglio 2008 ai
danni di un pub fiorentino. Alcune impronte papillari rinvenute sul luogo del furto
risultarono appartenere a tale Potoknic Janco. Gli inquirenti ipotizzarono
l’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati
contro il patrimonio e sottoposero ad intercettazione telefonica l’utenza cellulare
in uso al Potoknic. Le conversazioni captate evidenziarono che oggetto principale
delle stesse era la programmazione di furti in ora notturna, con il Potoknic nel
ruolo dell’organizzatore dei reati, da altri eseguiti.
Estese le captazioni ad ulteriori utenze e ad altri soggetti, tra cui quelle degli
odierni ricorrenti ed altresì di Pierazzuoli Stefano, nelle conversazioni captate
appellato anche con il nomignolo ‘scimmia’, emerse che i conversanti
utilizzavano un linguaggio piano, che permetteva agli inquirenti di comprendere
che si parlava della programmazione di furti; ciò nonostante per un certo periodo
delle indagini non fu possibile contrastare l’esecuzione dei progettati delitti per
alcune difficoltà operative.
Il ricorso alle indagini tecniche contemplò anche lo strumento del positioning
e quello del monitoraggio delle celle interessate dalle conversazioni captate (il
primo sistema permette di avere la posizione esatta dell’utenza analizzata, la
seconda tecnica permette di individuare l’area entro la quale è collocata l’utenza
cellulare agganciata dalla cella in esame).
2.1. Gli elementi posti dal Tribunale a base delle condanne si concretano nel
contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate, nei dati relativi al
posizionamento delle utenze negli orari in cui avvennero i furti, negli esiti dei
sequestri operati dagli inquirenti e nelle dichiarazioni degli imputati medesimi.
Nel ritenere raggiunta la prova della responsabilità degli imputati, il
Tribunale ha confutato la contestazione operata dalle difese circa la validità
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la recidiva contestata, unificati i reati di cui ai capi A, J, K, Q, R, 5, T, U, AA, BB,

probatoria dei sistemi di individuazione attraverso le celle ed il positioning,
fondata sull’assunto che essi consentirebbero una localizzazione solo
approssimativa della posizione delle utenze; limitazione tanto più decisiva nel
caso che occupa, in quanto alcuni imputati abitavano in zone limitrofe ai luoghi
di commissione dei furti. A ciò il Tribunale ha replicato che “il dato delle celle e
del positioning si innesta in un complesso quadro indiziario composto anche dai
tempi e dal contenuto delle conversazioni telefoniche, dall’esito dei sequestri,
delle stesse dichiarazioni degli imputati che hanno confermato (sia pure in parte)
specifici fini”.
3. La Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza di primo
grado, riduceva le pene inflitte agli imputati (al Goran infliggeva la pena di anni
sei mesi dieci di reclusione ed euro 1.500,00 di multa; al Radovic la pena di anni
sette mesi dieci di reclusione ed euro 1.400,00 di multa; al Carrivale la pena di
anni sei di reclusione ed euro 900,00 di multa), confermando ogni altra
statuizione.
3.1. Il Goran ed il Radovic avevano censurato la motivazione redatta dal
giudice di prime cure con argomento di valenza radicale, assumendo che questi
aveva errato nel ricostruire il funzionamento del metodo di verifica del
posizionamento, che lungi dal consentire l’individuazione del luogo in cui si
trovano uno o entrambi gli interlocutori, consente solo di conoscere il dato
dell’ubicazione della cella stimolata dalla telefonata oggetto di captazione.
Rilevato che le utenze degli appellanti non erano state analizzate con il
positioning, essi evidenziavano come la localizzazione attraverso le celle
agganciate rendesse possibile determinare solo con molta approssimazione il
luogo ove si trovava l’apparecchio intercettato, considerata l’ampiezza dell’area
della cella medesima.
Inoltre, a fronte del fatto che il Tribunale aveva valorizzato l’orario in cui si
erano svolte le conversazioni intercettate, le difese rilevavano che, in via
generale, risultava indeterminato il momento di commissione del reato, che
poteva collocarsi in un intervallo temporale mai inferiore alle dieci ore e talora
ampio anche due giorni. Rimarcavano, poi, che le conversazioni telefoniche
interessavano celle prossime alle abitaziorl degli imputati e che ciò non era stato
tenuto in conto dal Tribunale.
Con riferimento al reato associativo, il Goran rilevava che la prova del
medesimo non si poteva trarre dai contatti con i coimputati, da imputarsi alla
comune condizione di stranieri. Né si poteva valorizzare la partecipazione
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il loro coinvolgimento in alcuni reati ed anche l’intreccio di conoscenze a questi

insieme al Potoknic al furto in danno dell’esercente Nobile, perché egli era stato
assolto da tale addebito. Con specifico riguardo al capo O, il Goran asseriva di
aver ricevuto la proposta di commettere il furto ma di averla rifiutata; riguardo al
capo M asseriva di aver soltanto indicato al Potoknic alcuni obiettivi, allo scopo di
ottenere dei prestiti di denaro.
3.2. Quanto al Carrivale, la critica alla decisione di condanna prendeva le
mosse dalla ritenuta sussistenza del delitto di partecipazione ad associazione per
costitutivi di un concorso di persone in reato continuato. Quanto ai reati sub 3 e
K, si denunciava l’irrilevanza probatoria dei rilevamenti eseguiti sulle celle
agganciate dal telefono intercettato e di quelli operati attraverso il positioning,
perché non in grado di dare indicazioni sulla posizione del telefono in uso
all’interlocutore del soggetto captato. Tanto comportava l’insussistenza della
prova della compresenza del Carrivale sul luogo del furto nell’arco temporale in
cui quello era stato commesso. Si rimarcava poi la scarsa significatività del
rinvenimento di un candelabro a casa del Carrivale, proveniente dal furto in
questione, atteso che la refurtiva era costituita da un numero ben maggiore di
cose, sicché risultava plausibile la versione fornita dall’imputato, di aver
acquistato l’oggetto anni prima.
Quanto ai capi Q ed R, ci si doleva del mancato riconoscimento
dell’attenuante della minima partecipazione e di quella del danno di speciale
tenuità.
In relazione ai reati sub S, T ed U, reiterato il rilievo in ordine alla valenza
del positioning e dell’associazione a celle, l’appellante lamentava l’insignificanza
delle telefonate intercettate e però valorizzate dal primo giudice in senso
accusatorio, nonché la disconosciuta rilevanza in chiave difensiva della telefonata
n. 1653, dalla quale emergeva che il Carrivale non era a conoscenza di quanto
fatto dal Pierazzuoli il giorno del furto. Per ciò che concerne il valore da attribuire
in chiave probatoria al rinvenimento presso l’abitazione del Carrivale di materiale
informatico proveniente dal furto in danno di Nigro Giovanni, l’appellante
rilevava che la persona offesa aveva sporto un’unica denuncia nella quale
elencava quanto sottrattogli il 13 ed il 15 dicembre 2008, senza specificare cosa
fosse stato trafugato nell’uno piuttosto che nell’altro giorno.
Ancora, con riferimento ai capi AA e BB, l’appellante lamentava che, ribadita
l’impossibilità di ricostruire la posizione del Carrivale attraverso i dati relativi ad
utenze di altri soggetti, il giudice di prime cure aveva ritenuto che le tre bottiglie
di vino rinvenute al Carrivale fossero provento del furto in danno dell’esercente
Ghinassi, nonostante questi al dibattimento non fosse stato in grado di dire che
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delinquere, emergendo, ad avviso dell’appellante, piuttosto gli elementi

le bottiglie restituitegli fossero proprio le sue. Mentre l’imputato aveva
documentato che le stesse erano state acquistate al tempo in cui gestiva una
rosticceria ed un bar.
Con riguardo al capo II, l’appellante censurava la decisione impugnata
perché non aveva tenuto conto della deposizione della direttrice del negozio
Disney, che aveva riferito di essere stata chiamata dal servizio notturno intorno
alle ore 3 o 3,30 (perché l’esercizio aveva la porta aperta) e di essere arrivata a
Firenze intorno alle ore 4,00; sicché risultava confermata la versione del

autovetture della polizia e quindi di non aver avuto parte nella commissione del
furto.
In merito al reato sub SS, la difesa denunciava l’inutilizzabilità del contenuto
delle conversazioni intercettate nella telefonata n. 826 perché non acquisito nella
forma della perizia; di talchè non risultava corretta la decisione di condanna,
atteso che le altre telefonate erano inidonee a dare prova della reità del
Carrivale.
Infine si criticava la sentenza impugnata per l’eccessività la pena inflitta e la
mancata concessione delle attenuanti generiche. In particolare gli aumenti di
pena per effetto della ritenuta continuazione tra i reati non avevano tenuto conto
del fatto che taluni erano consumati mentre altri erano tentati.

4. La Corte di Appello ha replicato alla censura – comune a tutti gli imputati
– relativa alla valorizzazione della localizzazione delle utenze cellulari sulla base
delle celle impegnate, affermando che quel dato non era decisivo nel fondare la
pronuncia di condanna, perché il Tribunale aveva derivato il proprio
convincimento da un insieme di elementi che vedevano comparire, oltre a quello
criticato, anche il contenuto delle conversazioni intercettate, valutato in rapporto
all’ubicazione delle celle impegnate e l’ubicazione delle utenze riferibili
rispettivamente al Pierazzuoli ed al Potoknic, nonché le dichiarazioni rese dagli
imputati e l’esito della perquisizione eseguita nell’abitazione del Carrivale.

4.1. Con riferimento a quest’ultimo, ad avviso della Corte distrettuale, la
sua partecipazione al furto in danno di Clerici Francesca (capo P) è dimostrata
dal fatto che il Pierazzuoli, la sera dei fatti, aveva dato appuntamento a casa del
Carrivale a Trifkovic Dejan, che dalle intercettazioni risultava essere, intorno alla
mezzanotte, in procinto di fare un sopralluogo insieme ad un’altra persona.
Qualche ora dopo il Carrivale raggiunse ed incontrò il Pierazzuoli che si trovava
in via Nazionale. Le telefonate intercettate tra le ore 01:11 e le ore 5:21
impegnarono le celle ubicate in via Nazionale ed in piazza Santissima
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Carrivale, di essere arrivato sul posto solo dopo che vi erano giunte le

Annunziata, a breve distanza dalla via Ginori, luogo di compimento del furto. Da
ciò il Collegio ha ricavato che i tre uomini, nelle ore in cui era avvenuto il furto, si
trovavano nelle immediate vicinanze del negozio da cui sarà asportato il
candelabro poi rinvenuto nell’abitazione del Carrivale.

4.2. Con riferimento ai reati di cui ai capi S e T, (furto in danno dell’Internet
Point di Nigro Giovanni e indebito utilizzo di carta Postapay sottratta
nell’occasione), la Corte di Appello ha condiviso la decisione del giudice di primo

emerge che il C:arrivale avvertiva il Pierazzuoli ed il Trifkovic di dover uscire
subito; nella successiva telefonata (n. 1585) delle ore 2,20 l’imputato si
compiaceva che i due erano riusciti ad uscire e dava indicazioni sulla propria
posizione: “siete usciti, vero? Bravi tutti e due, loro sono venuti verso di là, io
sono dalla parte davanti”. A ciò la Corte territoriale ha aggiunto che l’imputato
era stato trovato in possesso di beni provenienti dai furti commessi nell’esercizio
del Nigro oltre che di cose trafugate nel Ristorante Nove, di via Guicciardini. Da
ciò la Corte di Appello ha desunto che l’imputato era sicuramente presente sul
luogo dei fatti mentre questi venivano consumati.

5. Riguardo alle posizioni del Goran e del Radovic, la Corte di Appello ha
ritenuto, per quel che qui interessa, che la loro responsabilità per il reato sub LL
risulta documentata dal tenore delle conversazioni intercettate e che la
qualificazione giuridica data al fatto dal Tribunale è corretta, dovendosi escludere
l’ipotesi del furto tentato per l’avvenuto impossessamento della carta.

5.1. Con riferimento al reato sub AAA, chiamato in causa dal solo Goran, la
Corte di Appello ha replicato all’appellante, che riteneva inutilizzabili le
dichiarazioni rese dal teste indiretto Benvenuti, che “indipendentemente dalla
utilizzabilità anche della testimonianza de relato”, gli elementi di reità si
traggono dal verbale di sequestro e di restituzione.

5.2. Per la medesima ragione la Corte di Appello ha ritenuto di dover
confermare anche la condanna per il capo CCC. Ha rilevato il Collegio territoriale
che la mancata acquisizione della denuncia di furto non esclude la prova del
reato presupposto, che può derivarsi dalla mancata spiegazione da parte
dell’imputato del modo in cui è venuto a trovarsi in possesso dell’abbonamento
per il campionato di calcio della A.C. Fiorentina, provento di furto in danno di
Mammoli Marcello.

grado, rilevando che dalla telefonata n. 1584 del 15 dicembre 2008, ore 2,18

6.1. Ricorre per cassazione con atto sottoscritto personalmente l’imputato
Carrivale.
Con un primo motivo deduce vizio motivazionale in ordine alla ritenuta
sussistenza del reato associativo. Gli elementi valorizzati al riguardo dalla Corte
di Appello possono al più valere a dare dimostrazione di un accordo criminoso
formatosi di volta in volta ma non dell’esistenza di un preesistente sodalizio
dotato di stabilità e mezzi organizzativi. La stessa immediatezza con cui il
Carrivale prendeva parte alle azioni criminose su chiamata del Pierazzuoli e del

ultimi due soggetti; gli attrezzi rinvenuti all’imputato non sono attrezzi da scasso
ma attrezzi comuni, diversamente da quanto asserito dalla Corte di Appello e lo
stesso dicasi per la disponibilità di una vettura o di un carrello per il trasporto. Si
tratta di cose nella disponibilità di chiunque pratichi bricolage. In ogni caso il
Carrivale aveva rapporti solo con i due menzionati soggetti e quindi non poteva
avere conoscenza dell’esistenza di un’organizzazione criminale. La presenza di
varia refurtiva presso la sua abitazione non significa che avesse il ruolo di
magazziniere ma solo che aveva partecipato ai furti. Quanto alla dichiarazione
dell’imputato, secondo la quale egli aveva aderito alla proposta del Trifkovic di
concorrere nei furti, si è trattato dell’adesione alla proposta di un singolo
individuo.

6.2. Con un secondo motivo di ricorso il Carrivale deduce vizio motivazionale
e travisamento della prova in ordine alle intercettazioni telefoniche e ai dati
concernenti il rilevamento delle celle ed il positioning.
A fronte del dato processuale, dal quale si evince che tanto l’elaborazione
dei dati estrapolabili dalle celle che quelli ottenibili con il positioning non
consentono di avere alcuna informazione circa la localizzazione del telefono
interlocutore di quello oggetto di rilevazione, il Tribunale prima e la Corte di
appello poi sono incorsi nel vizio del travisamento della prova perché hanno
tratto la responsabilità del Carrivale dall’aggancio di una cella in prossimità del
luogo del furto o dalla posizione del telefono del Pierazzuoli.

6.3. Con un terzo motivo si deduce vizio motivazionale e travisamento della
prova in ordine alla partecipazione ai reati di cui ai capi 3, K, S, T, U, AA e BB.
Con riferimento ai capi 3 e K, ricordato ancora una volta quanto sostenuto
in relazione al secondo motivo di ricorso, l’esponente rileva che dalle telefonate
richiamate dalla Corte di Appello non emerge alcuna certezza in ordine alla
presenza del Carrivale sul luogo del furto, atteso che i contenuti delle
conversazioni e il posizionamento del Pierazzuoli (suo interlocutore) sono
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Trifkovic non spiega se non l’esistenza di uno stabile vincolo criminale tra tali

compatibili anche con l’ipotesi di un trattenersi del Carrivale presso la sua
abitazione per l’intero arco di tempo di interesse. Il fatto che presso l’abitazione
del ricorrente sia stato rinvenuto solo un candelabro proveniente dal furto, a
fronte di un più ingente quantitativo di merce sottratta, avvalora l’affermazione
del Carrivale circa la legittima provenienza di quel bene.
In ordine ai reati sub 5, T e U, l’esponente rileva che fulcro della
ricostruzione della Corte di Appello è ancora la circostanza della presenza
dell’imputato in prossimità del luogo dei furti, erroneamente ritenuta in ragione

tracciamento incentrati sulle celle e sul positioning.
Inoltre la Corte di Appello non ha valutato le censure mosse avverso la
valutazione fatta dal giudice di merito a riguardo della versione fornita
dall’imputato e del riscontro ad essa fornito da talune telefonate.
L’esponente contesta poi la valutazione probatoria svolta dalla Corte
territoriale al riguardo del possesso da parte del Carrivale medesimo di cose
provenienti dai furti indicati sub 5, T, U, AA e BB.

6.4. Con un quarto motivo si deduce ancora vizio motivazionale e
travisamento della prova a riguardo della ritenuta partecipazione del Carrivale ai
reati sub II e SS. A proposito del primo si contesta la congruenza della
ricostruzione dell’accadimento operata dai giudici di merito, prospettando che
l’imputato era giunto nei pressi del negozio teatro dell’azione illecita dopo l’arrivo
delle forze dell’ordine.
Con riferimento al reato sub SS, la censura è mossa ancora sulla scorta della
asserita irrilevanza dei dati emergenti dalle celle e dal positioning ed altresì
contestando la valutazione fatta dai giudici di merito in ordine alla rilevanza e al
contenuto probatorio della telefonata n. 826 del 18.1.2009.

6.5. Con un ultimo motivo si deduce vizio motivazionale in ordine alla
quantificazione della pena e alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
La negativa valutazione del comportamento processuale serbato
dall’imputato urta con l’ammissione della partecipazione ad alcuni furti.

7. Ricorrono per cessazione con atto sottoscritto personalmente
rispettivamente Goran Sikic e Radovic Biazenko, con censure del tutto
sovrapponibili salvo che per un limitato profilo, di cui si scriverà.

7.1. Con riferimento alla condanna per il reato di cui al capo P, gli esponenti
rilevano che gli indizi di reità ritenuti dalla Corte di Appello non sono univoci
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del fraintendimento in ordine alla tipologia dei dati offerti dai sistemi di

perché l’aggancio alla cella non equivale ad esatta localizzazione dell’utenza; il
contenuto delle telefonate non è univoco come vorrebbe fosse la Corte, perché le
indicazioni stradali fornite all’interlocutore telefonico dal Radovic non permettono
di dire che si trattava proprio dell’edificio ove si è compiuto il furto. Quindi la
motivazione sarebbe sul punto affetta da illogicità ed incoerenza.

7.2. Con riferimento alla condanna per il reato di cui al capo LL, si contesta
la logicità della motivazione laddove la Corte di Appello ha ritenuto che

del furto) dicendo “sono su”, mentre quel luogo era in un seminterrato.
Ad avviso del ricorrente la Corte distrettuale incorre anche in una errata
qualificazione del fatto perché la carta Postapay sottratta, in quanto scaduta, è
priva di ogni valore economico, di talché l’inesistenza relativa dell’oggetto, non
prevedibile, dà luogo ad un tentativo di furto e non ad un furto consumato.

7.3. Con riferimento alla condanna per il reato di cui al capo AAA, ad avviso
degli esponenti la Corte di Appello ha utilizzato la deposizione di un teste
indiretto nonostante che, sollecitata l’audizione del teste diretto, il Collegio
avesse revocata la propria ordinanza all’udienza del 1.6.2010, con l’effetto della
mancata escussione del testo diretto.
Sotto altro e contiguo profilo, i ricorrenti rilevano che la Corte di Appello ha
ritenuto che vi fossero comunque elementi sufficienti di reità, tratti dal verbale di
sequestro e di restituzione, quest’ultimo pienamente utilizzabile nella parte
descrittiva delle cose restituite. Ma, si osserva, la prova della condotta illecita
non coincide con la prova della descrizione dei beni. La parte narrativa di
quell’atto, ove si fa denuncia del furto, non può essere proposta che con la
deposizione.

7.4. Con riferimento alla condanna per il reato di cui al capo CCC, si
avanzano analoghe doglianze, aggiungendo che non è mai stata acquisita la
denuncia di furto della persona offesa, sicchè non è mai stata provata l’illecita
provenienza della cosa.

8. Come già osservato, il Radovic ha proposto motivi di impugnazione
coincidenti con quelli esposti da Goran Sikic, ed ha formulato un ulteriore
peculiare motivo, concernente il giudizio di sussistenza della contestata recidiva
e il conseguente aumento di pena, censurato perché omessa la motivazione in
ordine ai rapporti tra il nuovo reato e la condanna precedente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
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l’imputato Goran avesse dato indicazioni sul luogo ove trovavasi (ovvero il luogo

9. I ricorsi sono infondati e pertanto non meritano accoglimento.

9.1. Le diverse censure sono accomunate dall’essere volte ad evidenziare
l’illogicità della valutazione condotta dai giudici di merito in ordine al significato
attribuibile alle circostanze emerse all’esito dell’istruttoria dibattimentale,
prospettando ricostruzioni alternative pure deducibili da quelle medesime
circostanze. In sostanza, tutte le doglianze sono volte a contestare le valutazioni
degli elementi di prova rese dai giudici del merito (trattasi, bene ricordarlo, di

risolvono in censure di fatto integranti questjoni insuscettibili di considerazione
nel giudizio di cassazione.
Compito di questa Corte non è quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del
Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a
dimostrare, in questa sede di legittimità, l’incompiutezza strutturale della
motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dal non aver questa
tenuto presente fatti decisivi, di rdievo dirompente dell’equilibrio della decisione
impugnata.

In realtà, le deduzioni dei ricorrenti non risultano in sintonia con il senso
dell’indirizzo interpretativo di questa Corte secondo cui (Cass. Sez. 6, n. 38698
del 26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989) la Corte di Cassazione deve
circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della
decisione impugnata, alla verifica dell’assenza, in quest’ultima, di argomenti
viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati
contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o
connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili,
infine, con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e che siano
dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro
rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al suo
interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere manifestamente
incongrua la motivazione. Ciò posto, se la denuncia del ricorrente va letta alla
stregua dei contenuti concettuali dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come
modificato dalla L. n. 46 del 2006, occorre allora tener conto che:
1) la legge citata non ha normativamente riconosciuto il travisamento del
fatto, anzi lo ha escluso, dovendosi semmai parlare di “travisamento della
prova”; esso, nel rinnovato indirizzo interpretativo di questa Corte, ha un duplice
contenuto, con riguardo a motivazione del Giudice di merito o difettosa per
commissione o difettosa per omissione, a seconda che si sia incorsi
nell’utilizzazione di un’informazione inesistente, ovvero in una omissione decisiva
10

doppia conforme quanto all’an delle responsabilità). In tal modo i ricorsi si

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della valutazione di una prova (Sez. 2^, n. 13994 del 23/03/2006, Rv. 233460,
P.M. in proc. Napoli). In sostanza, la riforma della L. n. 46 del 2006, ha
introdotto un onere rafforzato di specificità per il ricorrente in punto di denuncia
del vizio di motivazione. Infatti, il nuovo testo dell’art. 606 cod. proc. pen.,
comma 1, lett. e) – nel far riferimento ad atti del processo che devono essere dal
ricorrente “specificamente indicati” – detta una previsione aggiuntiva ed ulteriore
rispetto a quella contenuta nell’art. 581 cod. proc. pen., lett. c) (secondo cui i
motivi di impugnazione devono contenere “l’indicazione specifica delle ragioni di

conseguenza che sussiste a carico del ricorrente – accanto all’onere di formulare
motivi di impugnazione specifici e conformi alla previsione dell’art. 581 cit. anche un peculiare onere di inequivoca “individuazione” e di specifica
“rappresentazione” degli atti processuali ritenuti rilevanti in relazione alla
doglianza dedotta, onere da assolvere nelle forme di volta in volta più adeguate
alla natura degli atti stessi, e cioè integrale esposizione e riproduzione nel testo
del ricorso, allegazione in copia, precisa identificazione della collocazione dell’atto
nel fascicolo del giudice et similia (cfr. Cass. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006,
Rv. 233778, imp. Simonetti ed altri).
In forza di tale principio (cosiddetta autosufficienza del ricorso) si impone,
inoltre, che in ricorso vengano puntualmente ed adeguatamente illustrate le
risultanze processuali considerate rilevanti e che dalla stessa esposizione del
ricorso emerga effettivamente una manifesta illogicità del provvedimento, pena
altrimenti l’impossibilità, per la Corte di Cassazione, di procedere all’esame
diretto degli atti (in tal senso, “ex plurimis”, Cass. sez. 1, n. 16223 del
02/05/2006, Scognamiglio, Rv. 233781): manifesta illogicità motivazionale
assolutamente insussistente nel caso in esame, se si tiene conto delle
argomentate risposte fornite dalle integrative pronunce di primo e secondo grado
alle questioni prospettate dalla difesa dell’imputato. Ma v’è di più, posto che,
sempre con riferimento alla portata delle innovazioni della L. n. 46 del 2006,
relativamente allo specifico caso di ricorso per cassazione di cui all’art. 606
c.p.p., lett. e), non è sufficiente: a) che gli atti del processo evotati con il ricorso
siano semplicemente “contrastanti” con particolari accertamenti e/o valutazioni

del giudicante, o con la sua ricostruzione complessiva (e finale) dei fatti e delle
responsabilità; b) né che tali atti possano essere astrattamente idonei a fornire

una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Occorre
invece che gli “atti del processo”, presi in considerazione per sostenere
l’esistenza di un vizio della motivazione, siano “decisivi”, ossia autonomamente
dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione
disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno
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diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”). Con la

radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua
o contraddittoria la motivazione. In definitiva: la nuova formulazione dell’art.
606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n.
46, art. 8, nella parte in cui consente la deduzione, in sede di legittimità, del
vizio di motivazione sulla base, oltre che del “testo del provvedimento
impugnato”, anche di “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di
gravame”, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur
sempre un giudizio di legittimità, per cui gli atti in questione non possono che

solo singolarmente, ma in relazione all’intero contesto probatorio), avrebbero
potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo
comunque esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza
della motivazione (cui deve limitarsi la corte di cassazione) possa essere confusa
con una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella
effettuata dal giudice di merito (Sez. 2^, n. 19584 del 05/05/2006, Rv. 233775,
Capri ed altri).
Tenendo conto di tutti i principi teste ricordati, deve dunque concludersi che,
nel caso di specie, le argomentazioni poste a base delle censure appena
esaminate non valgono a scalfire la congruenza logica della struttura
motivazionale impugnata. I ricorrenti, pur asserendo di volere contestare
l’omessa o errata ricostruzione di risultanze della prova dimostrativa, in realtà
hanno piuttosto richiesto a questa Corte un intervento in sovrapposizione
argomentativa rispetto alla decisione impugnata, e ciò ai fini di una lettura della
prova alternativa rispetto a quella, congrua e logica, fornita dalla Corte di merito.
Le allegazioni difensive non valgono dunque a disarticolare l’apparato
argomentativo delle integrative pronunce di primo e secondo grado: è principio
pacifico in giurisprudenza quello secondo cui, nel caso di doppia conforme, le
motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a
vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in
ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione (in
termini, “ex plurimis”, Cass. Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994, Rv. 197497; conf.
Cass. Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Rv. 209145).

10. Vi è un ulteriore rilievo da compiere al riguardo dei ricorsi in esame.
Come dimostra l’esposizione che precede, essi rappresentano per la gran
parte la riproposizione delle censure e dei rilievi già portati all’attenzione della
Corte di Appello, la quale ha offerto adeguata risposta agli stessi, anche
attraverso il rinvio ad argomentazioni svolte dai giudici di primo grado.

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essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati (non

11. Ciò detto, con osservazione valevole per tutti i ricorsi valga rilevare che
la Corte territoriale ha ripetuto che “i dati tratti dal sistema di rilevamento spazio
temporale delle utenze non sono, dunque, isolati e sono del tutto sintonici con
altri elementi di prova che hanno, a giusta ragione, indotto il Tribunale a ritenere
provato il diretto coinvolgimento nei singoli reati contestati “di tutti i soggetti dei
quali sono state captate le conversazioni con contenuto riferibile ad accordi per
incontri nelle notti dei singoli furti e le cui utenze sono state rilevate in

12.1. Venendo all’esame degli ulteriori profili espressi dai singoli motivi di
ricorso, con riferimento alla posizione del Carrivale e all’affermata partecipazione
del medesimo all’associazione per delinquere di cui al capo A), il relativo motivo
è infondato, giacché alle puntuali considerazioni svolte dalla Corte di Appello il
ricorso si limita a contrapporre una diversa lettura di alcuni tra i diversi e
numerosi elementi evidenziati dai decidenti (cfr. pg . 15-18).
12.2. Con riferimento ai motivi che attengono ai singoli reati fine, va
osservato come essi propongano tutti una lettura parcellizzata degli elementi di
prova elaborati dai giudici di merito, così contravvenendo al principio secondo il
quale “la valutazione della prova impone di considerare ogni singolo fatto e il loro
insieme non in modo parcellizzato e avulso dal generale contesto probatorio, e di
verificare se essi, ricostruiti in sè e posti ‘vicendevolmente in rapporto, possano
essere ordinati in una costruzione logica, armonica e consonante che consenta,
attraverso la valutazione unitaria del contesto, di attingere la verità processuale”
(Cass. sez. 2, sent. n. 33578 del 20/05/2010, Isoa r Rv. 248128). Pertanto, la
critica rivolta partitamente ai diversi elementi che connettono il Carrivale ai fatti
ascrittigli risulta viziata da tale impostazione metodologica, che non risulta
capace di svalutare la complessiva valutazione operata dai giudici di merito.
12.3. Anche laddove si evoca il travisamento della prova (cfr. quarto
motivo), si rinviene unicamente la prospettazione di una alternativa lettura degli
elementi di prova, senza che ne venga minata in radice la logicità del giudizio
espresso dal decidente.
12.4. Quanto ai preteso vizio motivazionale in tema di trattamento
sanzionatorio, esso non r;corre poichú la Corte di Appello ha esplicitato le ragioni
per le quali ha ritenuto di non poter concedere le attenuanti generiche, facendo
riferimento a dati di fatto reali, la cui valutazione costituisce apprezzamento di
merito non sindacabile in sede di legittimità.

13

prossimità degli obiettivi in orari compatibili con quelli dei singoli reati”.

13.1. Per ciò che concerne i ricorsi del Goran e del Radovic, anche per essi
vale il rilievo della sostanziale riproposizione di censure già valutate dalla Corte
di Appello, le cui argomentazioni non sono state fatte oggetto di critica.
Alla censura concernente il capo P la Corte di Appello ha dato riscontro
facendo riferimento sia all’inequivoco significato delle telefonate intercettate che
ai dati relativi alla posizione del Radovic, con argomentazione non superata dalle
osservazioni dei ricorrenti, meramente assertive, che ripropongono quanto la

13.2. Con riferimento al capo LL, la Corte di Appello ha dato conto del peso
attribuibile all’espressione ‘già su’, la cui valutazione è stata censurata dai
ricorrenti. In effetti, il giudice di seconde cure ha evidenziato come tale elemento
potesse trovare un addentellato fattuale nel fatto che i ladri erano saliti sulla
cabina di una caldaia alta circa tre metri e come il dato fosse comunque
accessorio ad un compendio di ulteriori elementi con il quale esso convergeva.
La ritenuta erronea qualificazione del reato come furto consumato in luogo
di quella di furto tentato, da doversi affermare in ragione del fatto che la carta
Poste-pay sottratta nello studio legale Pane e Cacchione era priva di valore
economico, non può essere affermata. La carta in questione ha indubbiamente
un valore economico, che non è soltanto quello espresso dal valore spendibile
con il suo utilizzo legale, ma anche quello riconosciutole nel mercato illegale
degli strumenti di pagamento e delle cose di illecita provenienza.
Le decisioni citate a sostegno in realtà affrontano un diverso tema, ovvero
quello della qualificazione giuridica da preferire nel caso in cui ci si introduca in

un luogo per sottrarre cose che però non siano lì presenti. In tal caso, come
affermato da questa Corte, il giudizio sull’insussistenza dell’oggetto idoneo ad
escludere la punibilità ai sensi dell’art. 49 cpv. cod. pen. deve essere effettuato
con valutazione “ex ante” e costituisce tentativo punibile e non reato impossibile
il comportamento di chi si introduce in una vettura per commettere furto di cose
nella stessa contenute (ma non presenti) posto che, con valutazione “ex ante”,
nella vettura sono normalmente contenute cose che possono essere oggetto di
furto (Sez. 5, sent. n. 84 del 09/12/1996, Tansino, Rv. 206562).
13.3. Quanto al motivo relativo al capo AAA, la Corte di Appello ha spiegato

che la dichiarazione del teste de relato non è determinante nel fondare il giudizio
di responsabilità del Goran in relazione al menzionato reato, risultando elementi
di prova sufficienti dai verbali di sequestro e di restituzione delle cose sottratte.
L’osservazione del ricorrente secondo la quale dal verbale di restituzione non
potrebbe trarsi alcuna informazione in ordine all’avvenuto furto non coglie il
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Corte di Appello ha disatteso con motivazione esente da vizi.

segno giacchè il dato significativo è il rinvenimento dei beni presso l’abitazione
dell’imputato a breve distanza temporale dalla perpetrazione del furto.
13.4. Ancora immune da censure è la motivazione prodotta dalla Corte
territoriale in merito alla ricettazione di cui al capo CCC. La non indispensabilità
dell’acquisizione di notizie certe e circostanziate dell’avvenuto furto della cosa
ricettata mediante la relativa denuncia di furto è stata più volte affermata da
questa Corte (cfr. da ultimo Cass. Sez. 2, sent. n. 29685 del 05/07/2011,

delitto di ricettazione non richiede l’accertamento giudiziale della commissione
del delitto presupposto, nè dei suoi autori, nè dell’esatta tipologia del reato,
potendo il giudice affermarne l’esistenza attraverso prove logiche”).
13.5. Quanto, infine, alla ritenuta omessa motivazione in ordine alle ragioni
della riconosciuta recidiva, richiamato il principio per il quale “in tema di recidiva
facoltativa, è richiesto al giudice uno specifico dovere di motivazione sia ove egli
ritenga sia ove egli escluda la rilevanza della stessa” (Cass. Sez. U, sent. n. 5859

del 27/10/2011, Marcianò, Rv. 251690), va rilevata la manifesta infondatezza
della doglianza, avendo la Corte di Appello esplicitamente fatto riferimento
all’accresciuta pericolosità sociale degli imputati (e tra questi l’odierno ricorrente
Radovic), manifestata dalla numerosità dei reati commessi, dalle modalità
esecutive, dal carattere organizzato delle azioni criminose. Si tratta di
affermazioni che adempiono appieno all’obbligo motivazionale.
14. Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6/11/2012 .

Tartari, Rv. 251028 , per la quale “l’affermazione della responsabilità per il

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