Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 675 del 21/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 675 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: LAPALORCIA GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RUGGERI MASSIMO N. IL 23/01/1965
RUGGERI DANIELA N. IL 01/12/1968
avverso la sentenza n. 642/2008 CORTE APPELLO di ANCONA, del
21/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA LAPALORCIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. e-c 1\A 2- 2-C “V”
che ha concluso per 4.

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7

Udito, per parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

_, \r.

Data Udienza: 21/11/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 21-2-2012 la Corte d’Appello di Ancona, confermando quella in data
3-10-2007 del Tribunale di Fermo, riconosceva la responsabilità di Massimo e Daniela
RUGGERI, soci della T1RMEC Ricami di Ruggeri & C snc, dichiarata fallita il 30-7-2004,
per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione alla distrazione della
complessiva somma di circa 261mila euro, oggetto di prelievo da parte dei due imputati

per fini sociali.
2.

L’eventuale non fallibilità della società per la sopravvenuta riforma della legge
fallimentare era ritenuta irrilevante alla luce dell’indirizzo di questa corte a sezioni unite
(Cass. Sez. U, 19601/2008), secondo il quale il giudice penale investito del giudizio
relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti R.D. 16 marzo 1942, n. 267 non
può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento quanto al presupposto oggettivo
dello stato di insolvenza dell’impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni
previste per la fallibilità dell’imprenditore, sicché le modifiche apportate all’art. 1 R.D. n.
267 del 1942 dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169,
non esercitano influenza ai sensi dell’art. 2 cod. pen. sui procedimenti penali in corso.

3.

Ricorrono gli imputati avverso tale decisione tramite il difensore, avv. G.V. Ranieri,
deducendo erronea applicazione della legge penale (art. 2 cod. pen. in relazione all’art.
1 comma 2, legge fall. come modificato dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5) in quanto alla
stregua della nuova normativa gli imputati, piccoli imprenditori, non sarebbero
assoggettabili alla procedura fallimentare rendendosi applicabile la legge più favorevole
che comporterebbe, in conseguenza di ciò, l’impossibilità di rispondere del reato di
bancarotta.

4.

Secondo i ricorrenti, l’indirizzo delle sezioni unite citato in sentenza sarebbe superato
dalla sentenza di questa corte, pure a sezioni unite (Cass. 24468/2009), che ha stabilito
che l’abrogazione dell’istituto dell’amministrazione controllata e la soppressione di ogni
riferimento ad esso contenuto nella legge fallimentare (art. 147 D.Lgs. n. 5 del 2006)
hanno determinato l’abolizione del reato di bancarotta societaria connessa alla suddetta
procedura concorsuale (art. 236, comma secondo, R.D. n. 267 del 1942).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi contenuti nell’unico atto a firma del difensore degli imputati sono inammissibili per
manifesta infondatezza.
2. La questione della violazione di legge in relazione alla riforma del diritto fallimentare, a
tenore della quale i Ruggeri non sarebbero soggetti a fallimento, è manifestamente priva di
fondamento.
2

per asserite esigenze personali e familiari, senza alcuna prova della sua destinazione

3. Le osservazioni critiche dei ricorrenti non scalfiscono l’orientamento di questa corte a sezioni
unite (Cass. Sez. U, 19601/2008), secondo il quale il giudice penale investito del giudizio
relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti R.D. 16 marzo 1942, n. 267 non può
sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento quanto al presupposto oggettivo dello stato di
insolvenza dell’impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la
fallibilità dell’imprenditore, sicché le modifiche apportate all’art. 1 R.D. n. 267 del 1942 dal
D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, non esercitano influenza

4. Tale approdo riposa infatti sui chiari e condivisibili principi che di seguito si ricordano,
ancorati al rilievo che il presupposto della bancarotta è il fallimento e non la fallibilità
dell’imprenditore o della società.
‘Non può dunque essere condiviso l’orientamento prevalso nella più recente giurisprudenza di
legittimità, a seguito della modifica apportata dagli artt. 2 e 3 c.p.p. alla disciplina delle
questioni pregiudiziali, secondo cui la sentenza dichiarativa di fallimento non ha efficacia di
giudicato nel processo penale e lo status di “imprenditore” (fallibile), in quanto richiamato dalle
fattispecie di bancarotta, andrebbe accertato autonomamente dal giudice penale. A ben
leggere gli artt. 216 e 217 I. fall., appare chiaro che in essi il termine “imprenditore” non rileva
di per sé ma solo in quanto individua il soggetto “dichiarato fallito”: esso compone cioè
un’endiadi che ha lo stesso valore connotativo del più breve riferimento al “fallito” contenuto
nell’art. 220 I. fall., del tutto analogo alla espressione “società dichiarate fallite” usata negli
artt. 223 e 224 I. fall. per il caso dei “reati commessi da persone diverse dal fallito”; e nessun
indizio logico-giuridico può desumersi da dette fattispecie acché possa a ragione ritenersi che
al giudice penale sia demandato il compito di accertare in capo all’imputato la veste di
“imprenditore” ovvero, per la ipotesi di bancarotta impropria, di sindacare la veste societaria
assunta dalla fallita. D’altro canto, anche se ciò fosse, il giudice penale avrebbe, in tesi, solo il
compito di accertare una generica qualità di “imprenditore”, ma non quella di verificare se, in
base alla legge fallimentare, un “imprenditore”, quale che sia, “possa essere dichiarato fallito”,
posto che le norme penali qui considerate non si esprimono in questi termini, ma ancorano la
operatività della fattispecie a una dichiarazione di fallimento e non a un accertamento del
giudice penale sulla esistenza delle condizioni per le quali quell’imprenditore poteva essere
dichiarato fallito’ (così testualmente Cass Sez. U, sopra citata).
5.La successiva pronuncia delle sezioni unite penali di questa corte richiamata nel ricorso, non
contraddice affatto gli argomenti di cui sopra per l’ovvia ragione che l’intervento legislativo
riformatore, abrogando l’istituto dell’amministrazione controllata, ha esercitato l’effetto
demolitorio di un elemento costitutivo del fatto tipico che lo presupponeva, alterando così
radicalmente la figura di reato, con conseguente necessaria abolitio criminis della relativa
tipologia di bancarotta.
6.Per contro le riforme del 2006/2007 alla legge fallimentare non hanno abrogato l’istituto del
fallimento, ma solo, per quanto qui rileva, modificato i parametri per l’individuazione del

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ai sensi dell’art. 2 cod. pen. sui procedimenti penali in corso.

piccolo imprenditore non assoggettabile a fallimento, mentre, come sopra ricordato,
l’operatività delle fattispecie di cui agli artt. 216 e 217 legge fall. è ancorata alla dichiarazione
di fallimento e non all’accertamento del giudice penale sull’esistenza delle condizioni per le
quali quell’imprenditore poteva essere dichiarato fallito, non rilevando il termine imprenditore
di per sé ma soltanto in quanto individua il soggetto fallito.
7. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi seguono le statuizioni di cui all’art. 616 cod.
proc. pen., determinandosi in C 1000, in ragione della natura delle doglianze, la somma da

P. Q. M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Roma, 21.11.2013

Il Presidente

corrispondersi alla cassa ammende da parte di ciascun ricorrente.

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