Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6745 del 07/11/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 6745 Anno 2014
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: DI SALVO EMANUELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LA ROSA FILIPPO N. IL 12/02/1964
avverso la sentenza n. 4173/2012 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 02/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMANUELE DI SALVO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Il 1)- E

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Lo eA 9( et

rCE.

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Data Udienza: 07/11/2013

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1. La Rosa Filippo ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte
d’appello di Palermo , in data 2-4-13, con la quale è stata confermata la sentenza
di condanna emessa in primo grado, in ordine al delitto di cui all’art 416 bis co
2 , 4 e 6 cp per avere dapprima fatto parte del “gruppo di fuoco” del mandamento
di Ciaculli-Brancaccio e per avere poi assunto la funzione di reggente della
famiglia mafiosa di Ciaculli, pianificando la preparazione di attività delittuose di
carattere estorsivo, sovrintendendo alla gestione della cassa comune della
consorteria e al mantenimento degli associati e rappresentando la famiglia stessa
nei rapporti con le altre articolazioni territoriali di Cosa Nostra. In Palermo sino al
10-9-09, data in cui il La Rosa era stato arrestato.
2. Il ricorrente deduce , con il primo motivo, violazione di legge e vizio di
motivazione, in relazione agli artt 416 bis cp, 192 co 3 e 125 cpp poiché i giudici
di secondo grado hanno erroneamente valorizzato dichiarazioni di collaboranti
estremamente generiche , inerenti a presunti incontri di mafia dal contenuto
imprecisato e a generiche attività criminali occorse nel territorio di Ciaculli. Né
valore alcuno può essere attribuito ai riconoscimenti fotografici, stante l’esistenza
di un fratello gemello di Filippo La Rosa. Ecco perché le dichiarazioni del
Mutolo circa la presunta conoscenza di La Rosa Filippo in ambito carcerario
hanno trovato ampia smentita, così come riconosciuto dalla stessa Corte
d’appello, nonostante il positivo riconoscimento fotografico effettuato dal Mutolo
nei confronti del La Rosa, che non lo aveva mai incontrato. Così come nessun
valore di riscontro riveste la sentenza di condanna del La Rosa per l’omicidio di
Fici Giovanni poiché tale pronuncia è scaturita dalle dichiarazioni dei medesimi
collaboratori di giustizia, primo fra tutti Giovanni Drago. Del resto, il
collaboratore Tullio Cannella ha riferito che, dopo l’uccisione di Pino Greco,
Filippo La Rosa sarebbe definitivamente uscito di scena. L’asserto della Corte
territoriale circa lo schierarsi del La Rosa con i fratelli Graviano si pone dunque
in stridente contrasto con le dichiarazioni del Cannella. Così come i collaboratori
Francesco Marino Mannoia e Giuseppe Marchese hanno concordemente riferito
circa le intimidazioni subite dal La Rosa contestualmente all’uccisione di Pino
Greco, avvenuta nel 1985. Anche nell’uccisione di Giovanni Fici , nel febbraio
1988 , il La Rosa ebbe un ruolo marginale, essendosi limitato ad accompagnare
la vittima sul luogo dell’agguato. Tutto ciò è inconciliabile con l’asserita fiducia
riposta nel La Rosa dai vertici dell’associazione. Tanto più che la Corte d’appello
tace sul tema dell’inserimento del La Rosa nel “gruppo di fuoco” del
mandamento di Brancaccio-Ciaculli. D’altronde i collaboratori di giustizia non
hanno specificato alcun “indicatore fattuale ” dello status di “uomo d’onore ” del
La Rosa, ad eccezione dell’omicidio Fici , di cui si è parlato, e dell’omicidio del
barone D’Onufrio ,per il quale il ricorrente è stato assolto. L’unico altro referente
fattuale è costituito dalla vicenda Euromare, nel contesto della quale il ruolo di
fiduciario per conto di Pino Greco assume , al più , vicenda indiziante, non
implicando necessariamente l’appartenenza all’associazione mafiosa. Trattasi

RITENUTO IN FATTO

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il primo e il secondo motivo di ricorso esulano dal numerus clausus delle
censure deducibili in sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova
e di ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito ,le cui
determinazioni , al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da
motivazione congrua , esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico
seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum . In tema di sindacato del vizio di
motivazione , infatti , il compito del giudice di legittimità non è quello di
sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine
all’affidabilità delle fonti di prova , bensì di stabilire se questi ultimi abbiano
esaminato tutti gli elementi a loro disposizione , se abbiano fornito una corretta
interpretazione di essi , dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle
parti , e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle
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comunque di vicende risalenti agli anni 80 mentre , per quanto attiene a periodi
più recenti , vi sono solo dichiarazioni generiche , come quelle di Salvatore
Grigoli, e, in massima parte, de relato , come quelle del collaborante Giacomo
Greco , che riferisce quanto appreso dal suocero Francesco Pastoia. Anche
Andrea Bonaccorso, che descrive peraltro soltanto due episodi ( la richiesta, da
parte del Ferrara, della somma di 5000 euro per contribuire alle spese legali del
La Rosa e il pagamento del pizzo da parte della ditta Maddaloni), riferisce de
relato quanto appreso da Ferrara Benedetto. Scarne e incerte sono poi le
dichiarazioni di Giovanni Garofalo e di Di Filippo Emanuele così come quelle di
Gaspare Spatuzza , che si configurano anch’esse , in larga misura , come
dichiarazioni de relato ,avendo narrato di circostanze apprese dallo stesso La
Rosa.
2.1. Il secondo motivo si appunta invece sull’attribuzione al Larosa di un ruolo
direttivo , nell’ambito della famiglia di Ciaculli. , rappresentandosi che, anche
sotto questo profilo , sono state valorizzate mere dichiarazioni de relato di
Greco e di Bonaccorso , che riferisce quanto appreso da tale Andrea Adamo.
Mentre Gaspare Spatuzza non si cura nemmeno di chiarire sulla base di quali
elementi egli formuli l’asserto relativo al ruolo verticistico asseritamente
assunto da La Rosa , nonostante egli si sia , a suo dire , quotidianamente
incontrato con il ricorrente .
2.2. Il terzo motivo invece inerisce all’aggravante di cui all’art 416 bis co 6 cp ,
avendo ingiustificatamente la Corte d’appello valorizzato , al riguardo , la
vicenda relativa al villaggio turistico “Euromare” , che è soltanto una singola
iniziativa, per di più risalente agli anni 80.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.

3.1. Nel caso di specie , la Corte d’appello ha accuratamente analizzato le
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Al riguardo , un consolidato orientamento
giurisprudenziale ha stabilito che, ai fini di una corretta valutazione della chiamata in
correità, a mente del disposto dell’art 192 co 3 cpp , il giudice deve , in primo luogo,
sciogliere il problema della credibilità del dichiarante , in relazione alla sua
personalità , alle sue condizioni socio-economiche e familiari , al suo passato , ai
rapporti con i chiamati in correità, alla genesi remota e prossima della sua decisione
di confessare e di accusare i complici . In secondo luogo , deve verificare l’intrinseca
attendibilità della chiamata in correità, alla luce di connotati come la precisione, la
coerenza , la costanza , la spontaneità , la verosimiglianza , la ricchezza di
particolari. Infine il giudice deve esaminare i riscontri estrinseci . L’esame va
compiuto seguendo quest’ ordine logico perché non si può procedere ad una
valutazione unitaria della chiamata in correità e degli altri elementi di prova che ne
confermano l’attendibilità se prima non si chiariscono gli eventuali dubbi che si
addensino sulla chiamata in sé , indipendentemente dagli elementi di verifica esterni
ad essa ( Sez. un. 21-10-92 , Marino , rv. n. 192465 ; Cass 16-4-98 , Civardi , rv. n.
210734 ; Cass 3-9-98 , Balbo , rv. n. 211525 ) .
A tale proposito, la Corte d’appello ha evidenziato come le attendibili e convergenti
dichiarazioni dei collaboranti abbiano coerentemente ricostruito la lunga e
qualificata condotta di partecipazione a Cosa Nostra , tenuta dal La Rosa e che
aveva portato il ricorrente ad assumere una stabile posizione all’interno di tale
sodalizio , manifestata dalla acquisizione, sin da epoca risalente, della qualifica di
“uomo d’onore” e da una serie di condotte in favore del vertice della famiglia
mafiosa di Ciaculli , rappresentato da Pino Greco , fino alla sua scomparsa. Al
riguardo , dalle concordi dichiarazioni di Drago , Marino Mannoia e Marchese si
evince come la fedeltà agli scopi associativi del La Rosa si sia estrinsecata, alla fine
degli anni 80, nella partecipazione ad un importante fatto di sangue , quale
l’omicidio del Fici , rispondente a precise strategie del vertice del mandamento. Le
dichiarazioni dei collaboranti Greco , Spatuzza e Bonaccorso gettano poi luce sul
periodo successivo , in cui il La Rosa , in linea con il suo risalente quanto
qualificato percorso associativo , manifestò la concreta acquisizione di posizioni
direttive nella storica “famiglia”mafiosa di Ciaculli. Soprattutto le descrizioni dello
Spatuzza e del Bonaccorso danno contezza di come la carica di capofamiglia abbia
consentito al La Rosa , nonostante la lunga latitanza, di organizzare e promuovere
l’attività del sodalizio in un ampio territorio , in modo sistematico ed in molteplici
3

argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a
preferenza di altre ( Sez un. 13-12-95, Clarke , rv. n. 203428).

3.2.La Corte d’appello esamina dunque analiticamente le dichiarazioni di ogni
singolo collaborante, confutando specificamente le obiezioni mosse dalla difesa in
merito al narrato dei collaboratori e mostrando come le dichiarazioni accusatorie
siano intrinsecamente attendibili , in quanto connotate da precisione , coerenza e
verosimiglianza; e come esse siano convergenti e concordi sul ruolo espletato dal
ricorrente in seno all’associazione mafiosa . E’, a tale proposito , da precisare
soltanto , in questa sede , che , in linea di principio , è possibile , secondo un
consolidato orientamento giurisprudenziale , che il riscontro ad una chiamata sia
costituito da un’altra o da altre chiamate poiché esso può essere rappresentato da
qualunque elemento idoneo a corroborare la dichiarazione accusatoria, sempre che
si appuri la totale autonomia delle singole chiamate ( Sez IV 10-12-2004, n.
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settori, servendosi degli altri associati in libertà e non trascurando le aspettative dei
sodali detenuti. Per questi ultimi , l’imputato ha rappresentato , fino al momento del
suo arresto , uno stabile punto di riferimento, particolarmente affidabile , per la sua
lunga affiliazione e la sua ligia osservanza delle regole associative. In questo
contesto, il giudice a quo evidenzia , in particolare , come le individuazioni
fotografiche siano attendibili , avendo i collaboratori dimostrato di essere a
conoscenza dell’esistenza del fratello gemello; esamina altresì l’episodio
dell’omicidio Fici , evidenziando come la partecipazione ad esso si correli ad un
ruolo di assoluta fiducia , tanto più che nel fatto erano coinvolti i vertici ed alcuni
dei più qualificati killer del mandamento. Anche il Greco- sottolineano i giudici di
secondo grado- ha confermato che il suocero e i cognati ( esponenti di spicco di un
mandamento limitrofo , da sempre in stretti rapporti con la famiglia di Ciaculli )
gli avevano indicato la qualità di “uomo d’onore” del La Rosa e il ruolo di comando
da questi rivestito. Lo stesso ruolo viene riferito dal Bonaccorso, dal Garofalo, da
Di Filippo Emanuele e da Spatuzza. Quest’ultimo , in particolare, ha riferito in
ordine all’interessamento del La Rosa a tutte le attività mafiose nel territorio di
Ciaculli ( racket delle estorsioni ; tangenti richieste in occasione di compravendite
di terreni ; controllo mafioso dell’importante settore della distribuzione dell’acqua
per usi irrigui; situazione della Calcestruzzi Ciaculli spa , che aveva fatto sempre
capo ad uomini d’onore , fra i quali , già in epoca remota , Pino Greco). Nè —
argomenta il giudice a quo – episodi come la richiesta di 5000 euro per far fronte
alle spese legali si pongono in termini antitetici rispetto a tale prospettazione poiché
la possibilità della famiglia dell’imputato di sostenere la spesa non toglie che essa
dovesse gravare sul sodalizio mafioso poiché correlata ad un processo penale
ascrivibile all’assolvimento , da parte del La Rosa, di funzioni associative , agli
ordini del vertice del mandamento di Brancaccio.

La Corte territoriale distingue poi gli apporti probatori di fonte diretta da quelli
de relato. A proposito di questi ultimi , occorre , in questa sede , porre in rilievo
come le Sezioni unite, chiamate ad affrontare la questione se la chiamata in reità o
in correità de relato possa essere o meno riscontrata da altra chiamata de relato ,
abbiano dato risposta affermativa al quesito, sempre che le due chiamate abbiano
autonomia genetica e siano positivamente valutate per attendibilità , specificità e
convergenza. Sez. Un. 29-11- 12 , Aquilina, infatti , nel risolvere il contrasto insorto
, al riguardo, nella giurisprudenza di legittimità, ha stabilito che la chiamata in
correità o in reità de relato, pur se non confermata dalla fonte diretta, può avere,
anche come unico riscontro, altra o altre chiamate di analogo tenore, purchè siano
rispettate le seguenti condizioni: a) risulti positivamente effettuata la valutazione
della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell’attendibilità intrinseca di
ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificità, della coerenza, della
costanza, della spontaneità; b) siano accertati i rapporti personali fra il dichiarante e
la fonte diretta, per inferirne dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto
dalla seconda confidato al primo; c) vi sia la convergenza delle varie chiamate, che
devono riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante, in relazione a
circostanze rilevanti del “thema probandum”; d) vi sia l’indipendenza delle
chiamate, nel senso che esse non devono rivelarsi frutto di eventuali intese
fraudolente; e) sussista l’autonomia genetica delle chiamate, vale a dire la loro
derivazione da fonti di informazione diverse. Ed abbiamo visto come il giudice a
quo si sia soffermato a lungo sulla credibilità soggettiva e sull’attendibilità
intrinseca dei collaboranti , tutti soggetti profondamente inseriti nella compagine
mafiosa e che conoscevano , spesso da lungo tempo, direttamente o indirettamente,
il La Rosa, nonchè sulla convergenza delle loro dichiarazioni in merito
all’appartenenza, con funzioni direttive, del La Rosa alla famiglia di Ciaculli . Così
come la Corte d’appello ha scandagliato il versante relativo ai rapporti fra ciascun
collaborante e la fonte primaria , evidenziando come si trattasse di rapporti di
natura parentale o di collaborazione , assai risalente nel tempo, nel contesto
dell’attività associativa. Il giudice di secondo grado ha poi sempre individuato e
specificato la fonte diretta , dando così modo di apprezzare come i riferimenti de
relato provenissero da fonti diverse, al di fuori di ogni “concertazione” fra i
collaboranti.

5

5821/05 , rv. n. 231301).

4.Non dissimili considerazioni ineriscono al terzo motivo di ricorso, che si colloca
anch’esso al di fuori dell’area della deducibilità nel giudizio di cassazione, ricadendo
sul terreno del merito. Le determinazioni adottate dal giudice a quo , in ordine al
profilo in disamina, sono quindi insindacabili ove siano supportate da motivazione
esente da vizi logico-giuridici. Al riguardo , il giudice a quo ha evidenziato la
significatività delle risultanze acquisite in ordine agli investimenti mafiosi nelle
imprese del Sanseverino , sui quali si sono soffermati diversi collaboratori ( ed ,in
particolare , il Canella , il Calvaruso e lo Spatuzza) e che interessarono non solo il
Greco ma anche altri esponenti di vertice del mandamento , come i Graviano.Orbene
, l’interessamento dell’imputato al reimpiego dei proventi illeciti nelle attività
economiche sottoposte a controllo mafioso è ben rappresentato da quanto emerso in
merito agli investimenti nelle iniziative imprenditoriali , tramite il Sanseverino.
L’impianto argomentativo a sostegno del decisum si sostanzia dunque in un apparato
esplicativo puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere
intelligibile l’iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo
scrutinio di legittimità.
5. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, a norma dell’art 606 co 3 cpp ,
con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di euro mille , determinata secondo equità , in favore della Cassa delle
ammende.
PQM

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3.3.Dalle cadenze motivazionali della sentenza d’appello è dunque enucleabile una
attenta analisi della regiudicanda , avendo i giudici di secondo grado preso in esame
tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alla conferma della sentenza di
prime cure attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile ,sotto
il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in
termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa
sede . Né la Corte suprema può esprimere alcun giudizio sull’attendibilità delle
acquisizioni probatorie , giacchè questa prerogativa è attribuita al giudice di merito,
con la conseguenza che le scelte da questo compiute, se coerenti, sul piano logico,
con una esauriente analisi delle risultanze agli atti , si sottraggono al sindacato di
legittimità ( Sez. un. 25-11-’95 , Facchini , rv203767).

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, all ‘udienza del 7-11-13 .

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