Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6744 del 07/11/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 6744 Anno 2014
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: DI SALVO EMANUELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI PARMA
nei confronti di:
D’ANGELO ANTONIO N. IL 21/02/1966
avverso la sentenza n. 3705/2011 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di PARMA, del 09/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMANUELE DI SALVO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 07/11/2013

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1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Parma ricorre per
cassazione avverso la sentenza emessa dal Gup , in giudizio abbreviato , in
data 9-5-12, con la quale D’Angelo Antonio è stato assolto, perché il fatto non
costituisce reato , dall’imputazione ex artt 30 e 31 I. 13-9-1982 n. 646 perché ,
essendo stato condannato con sentenza irrevocabile , in data 13-3-2003, della
Corte d’appello di Napoli , per il reato di cui all’art 416 bis cp , ometteva di
comunicare al competente Nucleo di polizia tributaria l’acquisto di una quota
pari al 50 % di un appartamento sito in Torrile , avvenuto in data 27-3-08 ,
comportante una variazione del patrimonio attivo pari a non meno di euro
75000. In Torrile —Parma, in epoca successiva al 27-3-08 e fino al 27-4-08.
2. Il ricorrente sostiene che , nel caso in disamina , ci si trova di fronte non ad
una mancanza di dolo , come ritenuto dal Gip , in relazione alla mancata
conoscenza , da parte dell’imputato, dell’obbligo di effettuare le prescritte
comunicazioni al Nucleo Centrale di Polizia tributaria, bensì ad una ignoranza
inescusabile della legge penale , ai sensi dell’art 5 cp. L’imputato ha infatti
omesso la predetta comunicazione non perché versasse in una erronea
rappresentazione del fatto ma perché non conosceva la norma che gli
imponeva tale obbligo. Né vale ad escludere la responsabilità penale l’avere
concluso la compravendita mediante atto notarile , regolarmente registrato
presso l’Agenzia delle Entrate , non trattandosi di atto destinato a essere
portato a conoscenza della polizia tributaria.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato. L’ art 30 I. 646/82 impone a chi versi nelle condizioni
soggettive indicate dalla norma l’obbligo di comunicare, per dieci anni ed entro
trenta giorni dal fatto , al Nucleo di polizia tributaria del luogo di dimora
abituale, tutte le variazioni nell’entità e nella composizione del patrimonio
concernenti elementi di valore non inferiore ad euro 10.329, 14. Entro il 31
gennaio di ciascun anno gli stessi soggetti sono tenuti a comunicare le variazioni
intervenute nell’anno precedente , quando riguardino complessivamente
elementi di valore non inferiore all’importo poc’anzi indicato . Si tratta , come si
vede , di obblighi di comunicazione funzionali ad un penetrante e capillare
sistema di controlli nei confronti di particolari categorie di soggetti . La ratio
della norma è dunque quella di assicurare ai competenti organi immediata
contezza delle variazioni patrimoniali, preordinatamente alle opportune
verifiche. Se così è, nessuna rilevanza sul piano oggettivo ha la circostanza che
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RITENUTO IN FATTO

le operazioni in disamina siano state effettuate con atti pubblici perchè questi
ultimi, ancorchè liberamente consultabili da parte di chiunque , non sono
destinati a essere portati a conoscenza della polizia tributaria.
La sentenza assolutoria si basa però sull’asserto che , nel caso in esame , vi siano
plurimi elementi probatori a sostegno della tesi che il comportamento tenuto da
D’Angelo non sia dipeso dalla volontà di omettere la dovuta comunicazione di
variazione patrimoniale ma dall’ignoranza dell’esistenza di tale obbligo a suo carico.
dell’obbligo di comunicazione della variazione patrimoniale , in presenza di atti
pubblici regolarmente registrati presso l’Agenzia delle Entrate del luogo di residenza
, deve, ad avviso del giudice a quo, ritenersi rilevante ai fini dell’esclusione del dolo
del reato , implicando il venir meno della consapevole volontà di omettere la
prescritta comunicazione. Orbene , questa suprema Corte ha già avuto modo di
chiarire , al riguardo, che l’ignoranza circa l’obbligo di comunicazione alla polizia
tributaria delle variazioni patrimoniali da parte del condannato per reati di
criminalità organizzata non esclude il dolo del reato, atteso che l’art. 30 I. 646/82,
che impone tale obbligo, è norma integratrice del precetto penale, ancorché la
sanzione per la sua violazione sia contenuta nel successivo art. 31 della stessa legge.
Infatti l’elemento soggettivo del delitto di omessa comunicazione delle variazioni
patrimoniali da parte dei condannati per reati di criminalità organizzata è integrato
dal dolo generico, che si esaurisce nella coscienza e volontà di omettere le
comunicazioni previste dalla norma . Non è pertanto necessario che l’autore abbia
agito allo specifico scopo di occultare alla polizia tributaria le informazioni cui
l’obbligo normativamente imposto si riferisce perché il reato non è a dolo specifico e
una tale finalità esula dall’orizzonte psicologico richiesto , nell’agente , dalla legge
per la configurabilità del titolo d’imputazione soggettiva dell’illecito ( Sez VI, 15-6-12
n. 33590, rv. n. 253199).
4.0ve si assuma , come nel caso in disamina , che l’imputato , pur avendo
coscienza e volontà di non effettuare le comunicazioni in questione , non abbia
espletato tale adempimento perché non era a conoscenza dell’obbligo impostogli
dalla norma , si esula dall’area del dolo e la problematica si colloca sul terreno
dell’ignoranza del precetto . Orbene , l’ignoranza del precetto può assumere
rilevanza sotto un duplice profilo : o come ignoranza della legge extrapenale ,
nell’ottica delineata dall’art 47 co 3 cp ; o come ignoranza inevitabile della norma
penale , ai sensi dell’art 5 cp , nel testo risultante da C.Cost. 24 -3-1988 n 364 (
Cass. pen 1988,1133). La prima ipotesi esula dal caso di specie. In ordine all’ad 47
2

Dunque la situazione soggettiva di ignoranza od errore in ordine alla sussistenza

co 3 cp , infatti, la giurisprudenza , come è noto, distingue fra norme extrapenali
integratrici del precetto che , essendo in esso incorporate , sono da considerarsi
legge penale, per cui l’errore su di esse non scusa , ai sensi dell’ad 5 cp ; e norme
extrapenali non integratrici del precetto , ossia disposizioni destinate in origine a
regolare rapporti giuridici di carattere non penale , non richiamate , neppure
implicitamente , dalla norma penale . L’errore che cade su di esse esclude il dolo,
generando un errore sul fatto, a norma dell’art 47 co 3 cp ( ex plurimis , Sez V 20 —
2000, 2636). Orbene , anche a voler qualificare l’art 30 I. 646/82 come norma
extrapenale , appare difficile sostenere che essa non integri il precetto di cui all ‘art
31 I. cit. , che non solo la richiama espressamente ma si configura come una norma
esclusivamente sanzionatoria della violazione del precetto di cui all’art 30. Di talchè
anzi la fattispecie incriminatrice risulta dal combinato disposto delle due norme :
l’art 30 , norma precettiva, e l’art 31 , norma sanzionatoria. L’ignoranza del
disposto dell’art 30 si traduce quindi in ignoranza della legge penale , che ricade
sotto il disposto dell’art 5 cp.
5.Rimane da verificare se non sia ravvisabile ignoranza inevitabile della legge
penale . Prospettazione che occorre sempre riguardare con cautela , nella
vastissima area dei mala quia prohibita.
Orbene , al riguardo , la giurisprudenza , come è noto , sulla scia della citata
pronuncia della Corte costituzionale, ha elaborato tre criteri: il criterio oggettivo ; il
criterio soggettivo ; il criterio misto. Il criterio oggettivo è basato su una marcata
spersonalizzazione, nel senso che esso opera laddove debba ritenersi che qualsiasi
consociato, in una determinata situazione di tempo, di luogo ed operativa, sarebbe
incappato nell’ignoranza o nell’errore sulla norma penale . Ciò può dipendere
dall’oscurità o dalla contraddittorietà del testo legislativo ; da un generalizzato caos
interpretativo ; dall’assoluta estraneità del suo contenuto precettivo ai valori
correnti nella società. Tali ipotesi esulano dal caso in disamina , trattandosi di
norma dal contenuto precettivo sufficientemente chiaro , che non presenta
particolari asperità ermeneutiche e che non si discosta dai valori correnti nella
società in misura tale da non trovare nessuna rispondenza nella c.d.”sfera parallela
laica ” , alla quale è noto che , nei confronti dei soggetti condannati per reati di
mafia, la legge prevede tutta una serie di controlli e di cautele .In ogni caso, Sez. un
10-6-94 , Calzetta ( Cass. pen. 1994 , 2925) ha stabilito che l’inevitabilità
dell’ignoranza della legge penale può essere ravvisata ogniqualvolta il cittadino
3

2-2001, Martini, Cass. pen . 2002, 3872 ; Sez. VI, 18-11-98, Benanti , Cass. pen.

abbia assolto , con il criterio dell’ordinaria diligenza , al cosiddetto ” dovere di
informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi accertamento utile per
conseguire la conoscenza della normativa vigente. Ciò che il D’Angelo , che pur
aveva subìto una condanna per un reato particolarmente grave , non risulta aver
fatto.
5.1.Ancor meno può farsi applicazione , nel caso di specie , del c.d. parametro
sulla conoscenza del precetto , come l’elevato deficit culturale , alla luce , ad
esempio , della condizione di straniero proveniente da aree socio-culturali molto
distanti dalla nostra e da poco in Italia ; o l’incolpevole carenza di socializzazione (
Cass. 9-5-96 , Falsino , rv n. 205513; Cass. 4-5-95, Bindi , Cass. pen. 1996 ,
2959):situazioni tutte estranee alle condizioni sociali e culturali del ricorrente.
4.2.Per le ragioni appena indicate , non è applicabile nemmeno il parametro
c.d.misto , che comprende tutte le ipotesi in cui operano , in varia misura e con
diverso spessore , criteri oggettivi e soggettivi , in combinazione tra loro . In
quest’ottica , la giurisprudenza ha evidenziato come l’esimente della buona fede
possa trovare applicazione solo nell’ipotesi in cui l’agente abbia fatto tutto il
possibile per adeguarsi al dettato della norma e questa sia stata violata per cause
indipendenti dalla volontà del reo , al quale quindi non possa essere mosso alcun
rimprovero, neppure di semplice leggerezza. Conseguentemente, non è sufficiente
ad integrare gli estremi dell’esimente il semplice comportamento passivo
dell’agente , qual ‘ è ravvisabile nel caso di specie, essendo invece necessario che
egli si adoperi al fine di adeguarsi all’ordinamento giuridico , ad esempio ,
informandosi presso gli uffici competenti o consultando esperti in materia ( Sez I 1812-2003,n. 25912, rv. n. 228235; Sez V,25-9-2003 n. 41476, rv. n. 227042. ) . Nulla
di tutto ciò , sulla base di quanto si evince dalla motivazione della sentenza
impugnata , risulta aver fatto il ricorrente onde non può essergli applicata
l’esimente in disamina.
La sentenza impugnata va dunque annullata con rinvio , per nuovo giudizio , alla
Corte d’appello di Bologna.

PQM

4

soggettivo, basato sulle caratteristiche personali dell’agente che abbiano influito

Annulla la sentenza impugnata e rinvia , per nuovo giudizio , alla Corte d’appello di
Bologna.

Così deciso in Roma, all ‘udienza del 7-11-13.

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