Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6737 del 30/01/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 6737 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CASSANO MARGHERITA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PANGALLO ANTONIO N. IL 20/06/1972
avverso l’ordinanza n. 530/2012 GIUD. SORVEGLIANZA di UDINE,
del 28/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA
CASSANO;
c,e,
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 30/01/2014

Ritenuto in fatto.

1.11 28 febbraio 2003 il magistrato di sorveglianza di Udine rigettava il reclamo
proposto da Antonio Pangallo, detenuto in espiazione della pena inflitta con
sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria del 10 giugno 2005 per i reati di
cui agli artt. 73 3 74 d.P.R. n. 309 del 1990, volta ad ottenere la propria

sicurezza, bensì in una sezione comune.
Osservava che non veniva dedotta la lezione in concreto di alcun diritto
soggettivo connesso all’applicazione del regime di assegnazione al circuito dell’alta
sicurezza” e che oggetto del reclamo era, in realtà, il provvedimento on il quale
l’Amministrazione penitenziaria aveva disposto l’inserimento di Pangallo nel
circuito “AS3”.
Rilevava, poi, che l’assegnazione dei detenuti ai diversi circuiti penitenziari è
materia sottratta all’applicazione dei principi dettati dalla 1. n. 241 del 1990,
considerate le esigenze di ordine e di sicurezza ad essa sottese. Essa mira, infatti, ad
assicurare l’ordine interno e la personale incolumità dewi detenuti e non limita la
partecipazione del detenuto al trattamento rieducativo e alle altre attività consentite
dal regolamento interno.
2.Avverso il suddetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione
personalmente Pangallo, il quale lamenta violazione ed erronea applicazione della
legge , illogicità e contraddittorietà della motivazione. Premessa la giustiziabilità
delle pretese legate all’illegittima sottoposizione ad un circuito penitenziario (Corte
Cost. sent. n. 266 del 2009, osservava che la sua destinazione al circuito dell’alta
sicurezza non appariva coerente con il ruolo di mero partecipe nell’associazione ex
art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, stabilito con la sentenza irrevocabile di condanna
pronunziata nei suoi confronti dalla Corte d’appello di Reggio Calabria, era
confliggente con le sue specifiche esigenze rieducative e non gli consentiva di
coltivare gli studi universitari.

Osserva in diritto.

Il ricorso è manifestamente infondato.
1.Dalla lettura logico-sistematica degli artt. 14, 59 e 611. 26 luglio 1975, n. 110
e 115 d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 si evince che la competenza ad operare le

“declassificazione” con conseguente destinazione non nel circuito dell’alta

assegnazioni dei detenuti appartiene all’Autorità amministrativa (Provveditorato
distrettuale o Ministero nel caso in cui si renda necessario il trasferimento in un
distretto diverso da quello nel quale rientrerebbe il soggetto).
La collocazione dell’art. 14 1. n. 354 del 1975 subito dopo la norma (art. 13),
che stabilisce la regola generale per la quale il trattamento <>, evidenzia molto

tema di trattamento. La destinazione e il numero dei detenuti deve essere, infatti,
tale da favorire <> (art.
14, comma 2) in coerenza con il principio fondamentale in base al quale le
possibilità di successo di un programma di risocializzazione sono collegate
all’omogeneità e all’affinità del gruppo di trattamento.
Tali previsioni appaiono coerenti le disposizioni sovranazionali.
L’art. 63 delle regole minime per il trattamento dei detenuti approvato
dall’ONU afferma l’opportunità di realizzare un sistema elastico di classificazione
dei detenuti in gruppi, testo a favorire l’individualizzazione del trattamento, nonché
a contenere il numero dei detenuti negli stabilimenti chiusi.
Le regole minime del Consiglio d’Europa approvate nel 1973 e nel 1987
attribuiscono alla separazione dei detenuti due finalità: quella di evitare influenze
dannose e quella di facilitare il trattamento, considerate anche, da un lato, le
esigenze di recupero sociale e, dall’altro, quelle di sicurezza.
Le regole penitenziarie del Consiglio d’Europa (approvate nel 2006) pongono, a
loro volta, il rispetto dei diritti della persona non più nel Preambolo, ma in apertura
della Parte I a sottolineare la valenza di criterio guida che deve ispirare l’opera delle
Amministrazioni penitenziarie.
2.Tanto premesso, il Collegio osserva che la destinazione di Antonio Pangallo al
circuito dell’alta sicurezza è stato motivatamente adottato sulla base del contenuto
decisorio della sentenza irrevocabile di condanna pronunziata dalla Corte d’appello
di Reggio Calabria in relazione al delitto di associazione per delinquere finalizzata a
traffici di sostanze stupefacenti (art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990).
Il reclamo del detenuto avverso il provvedimento ministeriale di assegnazione,
non deduce, in realtà, specifiche violazioni dei diritti del detenuto conseguenti
all’adozione del suddetto provvedimento, costituente l’espressione del potere
discrezionale riservato all’Amministrazione penitenziaria di organizzare e regolare,

chiaramente lo stretto legame funzionale esistente tra l’art. 14 e le disposizioni in

nel rispetto dei principi in precedenza indicati, la vita all’interno degli istituti,
tenuto anche della pericolosità dei detenuti e della necessità di assicurare l’ordinato
svolgimento della vita intramuraria (Sez. 1, n. 39530 del 4 ottobre 2007).
Il ricorrente non denuncia neppure restrizioni comportanti la sospensione o la
riduttiva applicazione delle ordinarie regole di trattamento carcerario, bensì si duole
genericamente delle limitazioni operanti nei confronti di tutti i detenuti assegnati

negativa incidenza dell’assegnazione all”AS3″ sul diritto allo studio universitario,
pur in assenza di un comprovata volontà di intraprenderlo effettivamente.
Considerato, quindi, che la verifica demandata al Magistrato di Sorveglianza é
limitata all’accertamento o meno di una lesione dei diritti del detenuto in
conseguenza della sua assegnazione ad area riservata del carcere, deve convenirsi
sulla congruità ed esaustività delle argomentazioni svolte nell’ordinanza impugnata,
laddove si esclude ogni illegittima compressione dei diritti del detenuto e si
sottolinea la assicurata fruizione da parte di quest’ultimo sia dei momenti di
socialità sia di ogni istituto trattamentale compatibile con l’assegnazione al circuito
dell’alta sicurezza.
3.Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di
prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost.,
sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di mille euro alla cassa delle
ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 30 gennaio 2014.

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