Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6729 del 28/01/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 6729 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GHIDONI STEFANO, nato il 23/05/1964
avverso l’ordinanza n. 2945/2013 TRIBUNALE SORVEGLIANZA di
ROMA del 15/05/2013;

sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Angela Tardio;
lette le conclusioni del Procuratore Generale in persona del dott.
Roberto Aniello, che ha chiesto annullarsi l’ordinanza del Tribunale
di sorveglianza di Roma in data 15/05/2013 e l’ordinanza del
Magistrato di sorveglianza di Viterbo in data 09/04/2013, con
trasmissione degli atti al Magistrato di sorveglianza di Viterbo per
l’ulteriore corso.

Data Udienza: 28/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 15 maggio 2013 il Tribunale di sorveglianza di Roma
ha respinto l’appello proposto da Ghidoni Stefano avverso l’ordinanza del 9 aprile
2013 del Magistrato di sorveglianza di Roma

(rectius: Viterbo), che aveva

ordinato l’esecuzione della misura di sicurezza della casa di lavoro per la durata
di anni due, applicata allo stesso, previa declaratoria della sua delinquenza

Il Tribunale a ragione della decisione:
– richiamava le argomentazioni poste a fondamento del provvedimento
impugnato, connesse al concreto pericolo di reiterazione da parte del condannato
di condotte criminose e di prosecuzione di un consolidato e mai interrotto stile di
vita deviante, e alla continua commissione da parte del medesimo di reati di
varia natura, all’assenza di attività lavorativa lecita e stabile e alla perdurante
problematica tossicomanica;
– confermava, in via preliminare, il provvedimento impugnato che aveva
rigettato l’eccezione di nullità del decreto di fissazione della udienza per omessa
notifica al difensore di fiducia, nominato dal condannato dopo l’emissione di
detto decreto. Rilevava, al riguardo, che, avendo il procedimento di sorveglianza
natura autonoma, era per esso necessaria la specifica nomina del difensore di
fiducia, mentre la nomina effettuata nel processo di cognizione era valida solo ai
fini di cui all’art. 656, comma 5, cod. proc. pen.; rappresentava la non
accoglibilità della eccezione sotto il dedotto profilo della violazione dell’art. 71
Ord. Pen., poiché detta norma non era più operante in forza della disposizione di
cui all’art. 236 disp. att. cod. proc. pen., e riteneva la correttezza della notifica
effettuata al difensore di ufficio, non avendo il condannato al momento della
emissione del decreto un difensore di fiducia, che poteva nominare, come aveva
poi fatto, prima della data dell’udienza;
– condivideva, nel merito, la prognosi di concreta e attuale pericolosità
sociale del condannato, ripercorrendo i dati esposti, e dichiarava non luogo a
provvedere sulla istanza di sospensione.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione
personalmente Ghidoni Stefano, chiedendone l’annullamento sulla base di due
motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma
1, lett. c), cod. proc. pen., violazione degli artt. 111 Cost. e 178 cod. proc. pen.,
inosservanza degli artt. 96 e ss., 127, 666, comma 3, e 678 cod. proc. pen. in
combinato disposto con l’art. 236 disp. att. cod. proc. pen.

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abituale.

Secondo il ricorrente, il Tribunale, nel ritenere correttamente applicato il
procedimento base dettato dagli artt. 666 e 678 cod. proc. pen. e corretta la
notifica del decreto di fissazione dell’udienza davanti al Magistrato di
sorveglianza al difensore nominato di ufficio, è incorso nei denunciati vizi, poiché
l’art. 71 Ord. Pen., unitamente, in genere, al capo II-bis del titolo II dello stesso
Ordinamento, non è stato abrogato né reso inoperante dall’art. 236 disp. att.
cod. proc. pen., trovando ancora applicazione – almeno in una certa misura – nel
procedimento di competenza del magistrato di sorveglianza; l’applicazione delle

previsto dagli artt. 679 e 680 cod. proc. pen. e avente i canoni tipici della
giurisdizionalità; il modello procedimentale base di cui agli artt. 666 e 678 cod.
proc. pen. non solo è integrato, in tema di misure di sicurezza, dalle speciali
regole di cui agli indicati artt. 679 e 680 cod. proc. pen., ma trova un limite
nell’attuale residua vigenza dell’indicato art. 71 Ord. Pen.
In forza di tale ultima norma, e alla luce dei principi fissati dalla
giurisprudenza di legittimità, ad avviso del ricorrente, egli doveva essere invitato
a esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia, mentre doveva
nominarsi quello di ufficio ove, trascorsi cinque giorni dall’invito, non vi avesse
provveduto.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen., mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione in ordine all’affermazione della sua pericolosità
sociale.
Secondo il ricorrente, che richiama giurisprudenza di legittimità,
l’accertamento della pericolosità sociale deve riguardare la sua attualità,
concretezza e persistenza, mentre una tale verifica è mancata, poiché il
Tribunale ha ripercorso le sue antiche vicende giudiziarie, si è riferito a dati
superficiali e non sintomatici, ha negato rilevanza all’attività lavorativa da lui
svolta e ha richiamato la sua problematica tossicomanica, mai sfociata in reati in
materia di stupefacenti.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria
scritta, e, ritenuto preliminare e assorbente il primo motivo afferente alla
eccezione di nullità dell’ordinanza del Magistrato di sorveglianza,
tempestivamente eccepita, per omesso avviso al difensore di fiducia del decreto
di fissazione dell’udienza, ha concluso chiedendo l’annullamento di detta
ordinanza e di quella impugnata con trasmissione degli atti al Magistrato di
sorveglianza per l’ulteriore corso.

3

misure di sicurezza avviene con un procedimento speciale di sorveglianza,

4. Il 20 gennaio 2014 il ricorrente ha depositato, per mezzo del suo
difensore, memoria insistendo nell’accoglimento del ricorso e ulteriormente
illustrando le ragioni difensive.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso merita accoglimento per la fondatezza del primo motivo, che ha

2. L’art. 236, comma 2, delle norme di attuazione, di coordinamento e
transitorie del codice di procedura penale prevede che “nelle materie di
competenza del tribunale di sorveglianza continuano ad applicarsi le disposizioni
processuali della L. 26 luglio 1975, n. 354 diverse da quelle contenute nel capo

Il-bis del titolo II della stessa legge”.
Detta norma è stata già letta da questa Corte nel senso che, secondo il suo
letterale tenore, l’abrogazione delle disposizioni contenute nel capo

II-bis del

titolo II Ord. Pen. opera limitatamente a quelle, fra le dette disposizioni, che
riguardano il tribunale di sorveglianza e le materie di competenza del medesimo
e non si estende a quelle che riguardano il magistrato di sorveglianza (Sez. 1, n.
1647 del 14/04/1992, dep. 12/05/1992, Ministero di Grazia e Giustizia in proc.
Leggio, Rv. 190108; Sez. U, n. 25079 del 26/02/2003, dep. 10/06/203, Gianni,
non massimata sul punto; Sez. 1, n. 39314 del 20/10/2010, dep. 05/11/2010,
P.M. in proc. Farinella, non massimata sul punto).
2.1. La Corte costituzionale con sentenza n. 53 del 1993 (mass. 0019250)
ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale degli artt. 236, comma 2,
disp. att. cod. proc. pen., 14-ter, commi 1, 2 e 3, e 30-bis Ord. Pen., nella parte
in cui non consentivano l’applicazione delle regole del procedimento camerale di
cui agli artt. 666 e 678 cod. proc. pen. nel procedimento di reclamo avverso il
decreto del magistrato di sorveglianza che esclude dal computo della detenzione
il periodo trascorso in permesso premio, sulla base del rilievo che, continuandosi
a seguire in detto procedimento il sintetico procedimento camerale previsto
dall’art. 14-ter Ord. Pen., richiamato dall’art.

53-bis dello stesso ordinamento,

ed escludendosi, di conseguenza, l’applicabilità del nuovo modello
procedimentale che l’art. 666 cod. proc. pen. aveva ha tracciato per il processo
di esecuzione e che l’art. 678 stesso codice aveva esteso al tribunale di
sorveglianza, erano violate le norme della legge di delega (art. 2, dir. 96) che
anche nella materia

de qua

esigevano l’osservanza di “garanzie di

giurisdizionalità”. L’impossibilità, per il tribunale, data la ristrettezza dello

spatium deliberandi di dieci giorni, di osservare il termine di cui al terzo comma
del citato art. 666, e la preclusione, per l’interessato, della facoltà di partecipare
4

carattere assorbente rispetto al secondo motivo.

al giudizio, non validamente sostituita da quella riconosciutagli di presentare
memorie, che le norme in questione comportavano, e inoltre la non ricorribilità
per cassazione della decisione sul reclamo (talvolta affermata dalla
giurisprudenza di legittimità) privavano infatti il procedimento delle suddette
garanzie.
2.2. La specificità dello strumento previsto dall’art. 53-bis Ord. Pen. in tema
di computo del periodo trascorso in permesso premio, posto a base della indicata
pronuncia di parziale illegittimità dell’art. 236, comma 2, disp. att. cod. proc.

la legittimazione a proporre ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 71-ter Ord.
Pen. avverso i provvedimenti adottati dal magistrato di sorveglianza sui reclami
dei detenuti o internati nelle materie indicate nell’art. 69, comma 6, dello stesso
Ordinamento, non rilevando in contrario il disposto del già indicato art. 236
comma 2, disp. att. cod. proc. pen., in relazione alla lettura fatta della stessa
norma (di cui alle pronunce richiamate sub 2).
2.3. Si rileva ancora in diritto che l’art. 679 cod. proc. pen. riserva al
magistrato di sorveglianza, previa instaurazione del contraddittorio con
l’attivazione del procedimento in camera di consiglio (Sez. 1, n. 46986 del
29/11/2007, dep. 18/12/2007, Santoro, Rv. 238317), i provvedimenti
concernenti le misure di sicurezza e la dichiarazione di abitualità o professionalità
nel reato o di tendenza a delinquere, soggetti a impugnazione ai sensi dell’art.
680 cod. proc. pen. con l’osservanza delle disposizioni generali di cui agli artt.
568 e segg. cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 8644 del 10/02/2009, dep. 26/02/2009,
Sherja, Rv. 242889).

3. La linea interpretativa che consegue a tali condivisi principi consente di
ritenere che, nel procedimento in esame relativo all’applicazione della misura di
sicurezza della casa di lavoro e alla declaratoria di delinquenza abituale,
rientrante nella competenza del magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 679
cod. proc. pen., trova applicazione l’art. 71 Ord. Pen., compreso nel capo II-bis
del titolo II Ord. Pen., non abrogato dall’art. 236, comma 2, e che, in forza di
detta disposizione, fondatamente invocata dal ricorrente, secondo le concordi
conclusioni di cui alla requisitoria scritta del Procuratore Generale presso questa
Corte, il Magistrato di sorveglianza avrebbe dovuto (comma 2) previamente
invitare il ricorrente a “esercitare la facoltà di nominare un difensore”, procedere
alla nomina di un difensore di ufficio nel caso di mancata nomina entro cinque
giorni dalla comunicazione dell’invito, e successivamente fissare con decreto il
giorno della trattazione, facendone comunicare avviso al pubblico ministero,
all’interessato e al difensore.

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pen., è stata rimarcata anche da questa Corte, che ha espressamente affermato

4. Alla inosservanza della indicata disposizione, ritenuta genericamente non
più operante in forza della disposizione di cui al richiamato art. 236 disp. att.
cod. proc. pen., conseguono la nullità dell’ordinanza del Magistrato di
sorveglianza, che ha ritenuto corretta la notifica del decreto di fissazione
dell’udienza al difensore di ufficio in base al disposto dell’art. 666, comma 3, cod.
proc. pen., richiamato dall’art. 678, comma 1, cod. proc. pen. e per l’effetto la
nullità dell’ordinanza impugnata, che non ha rilevato, ripetendola, la dedotta
nullità di ordine generale concernente l’assistenza del condannato.

di sorveglianza di Viterbo.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e l’ordinanza emessa il 9 aprile 2013 dal
Magistrato di sorveglianza di Viterbo e rinvia per nuova deliberazione a
quest’ultimo Magistrato.
Così deciso in Roma il 28 gennaio 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Il rinvio per la nuova deliberazione deve, pertanto, essere fatto al Magistrato

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