Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6715 del 18/12/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 6715 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CAIAZZO LUIGI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANTINO ORAZIO RINUNCIANTE N. IL 22/01/1972
avverso l’ordinanza n. 659/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 20/06/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI PIETRO
CAIAZZO;
}e!/sentite le conclusioni del PG Dott. Cr-

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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 18/12/2013

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ordinanza in data 20.6.2013 il Tribunale del riesame di Catanzaro confermava l’ordinanza
del GIP del Tribunale di Catanzaro in data 9.5.2013 con la quale era stata disposta la custodia
cautelare in carcere di MANTINO ORAZIO in ordine al delitto di tentata estorsione aggravata,
anche ex art. 7 legge 203/1991, in danno di Monteleone Pasquale.
Dall’ordinanza del Tribunale si evincono le seguenti circostanze di fatto.
Il Monteleone, intenzionato ad aprire un bar gelateria, aveva dato incarico per la progettazione

gravi distruzioni a causa di un attentato e il predetto – su consiglio del geometra De Pietra
Giovanni della predetta società – aveva dato incarico alla ditta di Valia Angelo di eliminare i
danni cagionati dall’attentato; dopo l’esecuzione dei lavori, in prossimità dell’apertura
dell’esercizio, il locale era stato incendiato; a quel punto il Monteleone aveva venduto il locale
al prezzo di euro 85.000,00, nonostante avesse speso già 170.000,00 euro per poterlo riaprire.
Dopo il primo attentato, erano state sottoposte ad intercettazione le linee telefoniche in uso al
Monteleone e questi, interrogato una prima volta in data 14.5.2012, dopo aver ascoltato
alcune sue conversazioni intercettate nel dicembre 2010, aveva dichiarato che, dopo aver
subito il primo attentato, era stato avvicinato da Orazio Mantino, noto ‘ndranghetista, il quale
gli aveva espresso solidarietà per quanto gli era successo e gli aveva assicurato che avrebbe
potuto aprire il locale; anche per queste assicurazioni egli aveva incaricato la ditta di Valia
Angelo di risistemare il locale; subito dopo il primo attentato si era messo in contatto con lui
anche suo zio Monteleone Francesco, il quale gli aveva detto che per poter aprire il bar
avrebbe dovuto versare diecimila euro a una persona di sua conoscenza, di cui però non aveva
fatto il nome. Dopo il secondo danneggiamento, Valia Angelo gli aveva detto che, per stare
tranquillo, avrebbe dovuto pagare una mazzetta a qualcuno di cui non aveva fatto il nome, ma
egli aveva pensato che si trattasse di Mantino Orazio e Vacatello Antonio, data la fama che i
due avevano.
Interrogato alcuni giorni dopo (il 19.5.2012), il Monteleone aveva precisato – dopo aver
ascoltato la conversazione con suo zio del 21.12.2010 – che suo zio in quell’occasione l’aveva

e sistemazione di un suo locale alla società SAIPEK; in data 25.1.2010 il locale aveva subìto

invitato a mettersi in contatto con i Mantino; che già suo padre, tra il 1990 e il 2001, aveva
pagato una tangente a Fortunato Mantino (padre di Orazio Mantino); che, dopo il primo
attentato, il Mantino Orazio si era offerto di trovargli ditte di sua conoscenza disposte a
concedergli dilazioni di pagamento; che la somma di diecimila euro di cui aveva parlato lo zio
Monteleone Francesco era destinata ad Orazio Mantino.
Alla stregua delle suddette precisazioni, il Tribunale del riesame, ritenendo che l’indagato
avesse fatto pervenire una richiesta di diecimila euro alla parte lesa tramite Monteleone
Francesco, giungeva alla conclusione che a carico di Mantino Orazio fossero stati raccolti gravi
indizi di reità in ordine al delitto contestatogli, commesso con metodo mafioso.
Riteneva sussistenti anche gravi esigenze cautelari, in considerazione delle modalità del fatto e
della pericolosità del l’indagato.
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Avverso l’ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori, chiedendone
l’annullamento per violazione di legge e vizio di motivazione.
Con il primo motivo si è dedotta la nullità dell’ordinanza, poiché nella motivazione della stessa
erano stati soltanto riportati gli argomenti del provvedimento impugnato, omettendo di
prendere in considerazione la memoria presentata dalla difesa dell’indagato.
Con il secondo motivo, dopo aver riportato il testo delle conversazioni telefoniche intercettate
dalle quali erano stati desunti gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente, si è sostenuto

la parte lesa, nelle sue dichiarazioni agli inquirenti, non aveva mosso alcuna specifica accusa al
predetto, nei confronti del quale si erano solo fatte supposizioni e congetture.
Risultava anche che, dopo il primo danneggiamento, non era stato il Mantino ad indicare la
ditta che avrebbe potuto compiere i lavori, avendo il Monteleone precisato che la ditta di Valia
Angelo gli era stata consigliata dal geometra De Pietra.
Il Valia aveva consigliato alla parte lesa di pagare una mazzetta, se voleva stare tranquillo, ma
non aveva dato alcuna indicazione sulle persone alle quali il denaro doveva essere versato.
Dalle stesse dichiarazioni del Monteleone risultava che lo zio l’aveva invitato a rivolgersi ai
Mantino, solo dopo il secondo attentato (in occasione della telefonata del 21.12.2010) e quindi
non poteva essere dato alcun significato accusatorio all’incontro tra la parte lesa e il Mantino
dopo il primo attentato, incontro nel quale quest’ultimo si era limitato ad esprimere solidarietà
per quanto era successo e a dirsi disponibile a consigliare ditte che potevano effettuare i lavori,
alle quali peraltro Monteleone Pasquale non si era rivolto.

In data 11.12.2013 è pervenuto atto di rinuncia al ricorso da parte del ricorrente, avendo lo
stesso ottenuto gli arresti domiciliarLy
L’ intervenuta rinuncia comporta, ai sensi dell’articolo 591, comma 1, lettera

d), C.P.P.,

l’inammissibilità della impugnazione.
Conseguono la relativa declaratoria e la condanna del Mantino al pagamento delle spese
processuali, nonché – valutato il contenuto dei motivi e in difetto della ipotesi di esclusione di
colpa nella proposizione della impugnazione – al versamento a favore della cassa delle
ammende della somma, che la Corte determina, nella misura congrua ed equa, in fra indicata in
dispositivo.

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e al versamento della somma di euro 500 (cinquecento) alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma in data ti mà -rztrZ0121 321\e».5:1\

che dalle predette conversazioni non emergeva alcun indizio a carico del Mantino e che anche

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