Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6714 del 18/12/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 1 Num. 6714 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CAIAZZO LUIGI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VITA SALVATORE N. IL 25/05/1975
avverso l’ordinanza n. 702/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 02/07/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI PIETRO
CAIAZZO;
-e-30
leWsentite le conclusioni del PG Dott.

,k4

„LeAT.

Uditi difensor Avv.;

Prxi m

R,,,,,ye„rre-L-At;t_
k

mui-09-4~

Data Udienza: 18/12/2013

RILEVATO IN FATTO
Con ordinanza in data 2.7.2013 il Tribunale del riesame di Catanzaro confermava nei confronti
di VITA SALVATORE l’ordinanza del GIP del Tribunale di Catanzaro in data 9.5.2013 con la
quale era stata disposta la detenzione cautelare in carcere in ordine ai seguenti reati:
-art.644 c.p., aggravato dall’art.7 legge 203/1991, in danno di Famigliuolo Franco, titolare
dell’autosalone BRIATICO AUTO FAMIGLIUOLO (capi L ed M dell’imputazione);
-art.629 c.p., aggravato dall’art. 7 legge 203/1991, per aver costretto Famigliuolo Franco a

noleggiata dal Famigliuolo dietro corrispettivo di 250-350 euro (capo N dell’imputazione);
art. 629 c.p., aggravato dall’art. 7 legge 203/1991, per aver costretto Sgromo Eugenio,
amministratore della EUROSTRADE srl, ad affidare lavori in subappalto a imprese controllate
dalla cosca Tripodi (capo C1 dell’imputazione);
– art.629 c.p., aggravato dall’art. 7 legge 203/1991, per avere, in concorso con Tripodi Sante
Mario, costretto l’impresa VINCENZO RESTUCCIA COSTRUZIONI a prendere a noleggio per
l’effettuazione di lavori mezzi meccanici della T.5.COSTRUZIONI e di imprese a questa
collegate, nonostante la VINCENZO RESTUCCIA COSTRUZIONI fosse in grado di effettuare i
lavori con i propri mezzi (capo E1 dell’imputazione);
– art.356 frode in pubbliche forniture (capo Fl dell’imputazione per il quale non sono stati
presentati motivi di ricorso);
-art.416-bis c.p. per avere partecipato ad una associazione di stampo mafioso di cui era il capo
Tripodi Nicola, associazione attiva sin dagli anni 90 in collegamento con la cosca dei Mancuso e
che si era evoluta inserendosi nel controllo e nella gestione di appalti pubblici tramite imprese
direttamente riconducibili alla cosca Tripodi, o fittiziamente intestate ad altri, ovvero gestite
da persone collegate con la suddetta cosca (capo A dell’imputazione).
Per i delitti di usura, il Tribunale ha riportato le dichiarazioni rese da Famigliuolo Franco, il
quale in un racconto particolareggiato ha spiegato che, all’inizio del 2009, il suo autosalone si
era trovato in difficoltà economiche; tramite un suo conoscente, Comerci Francesco, era stato
messo in contatto con una persona della quale successivamente aveva conosciuto le generalità
(Vita Salvatore), in quanto la stessa gli aveva consegnato i suoi documenti di identità per farsi
intestare un’autovettura (operazione che però non era stata poi effettuata); il Vita, tramite il
Comerci, gli aveva consegnato ventimila euro ed egli aveva versato personalmente allo
stessoVita, fino al novembre 2011, gli interessi mensili del 10% sul capitale prestato; non
riuscendo più a pagare la suddetta somma mensile, si era rivolto di nuovo al Comerci, il quale
gli aveva fatto sapere che avrebbe potuto estinguere il suo debito versando, in dieci rate
mensili, la somma complessiva di ventiquattromila euro; egli era riuscito a versare solo i primi
tre assegni di euro 2.400,00 ciascuno nelle mani di Vita Salvatore.
Il Famigliuolo aveva consegnato, a sostegno delle sue dichiarazioni, copie di assegni ed altra
documentazione comprovante quanto dallo stesso dichiarato.

1

dare in uso a Vita Salvatore per circa dieci giorni un’autovettura Fiat Punto appositamente

Strettamente collegata con la suddetta vicenda, nel racconto del predetto, era anche
l’estorsione di cui al capo N.
Quando aveva detto al Vita che non era più in grado di versare 2.400 euro al mese, il predetto
gli aveva risposto “sei una persona intelligente, e capiscimi”, e quindi aveva preteso che gli
fosse messa a disposizione un’autovettura; nella stessa occasione aveva avuto modo di
conoscere l’identità del Vita, in quanto lo stesso gli aveva consegnato copia dei suoi documenti.
Il Tribunale giudicava pienamente credibili le dichiarazioni del Famigliuolo, e quindi riteneva

delitto di estorsione.
Riteneva sussistente anche l’aggravante di cui all’art.7 legge 203/1991, perché era risultato
che il Vita ed anche Comerci Francesco erano aderenti alla cosca Tripodi, ed era significativo
che, prima della dazione del prestito usuraio, avesse effettuato un sopralluogo nell’autosalone
unapersona riconosciuta dal Famigliuolo in Tripodi Orlando.
Per inquadrare la vicenda estorsiva in danno di Sgromo Eugenio (capo C1 dell’imputazione), il
Tribunale preliminarmente descriveva in quale ambito detta vicenda si era svolta: la Provincia
di Vibo Valentia, a seguito di una gara d’appalto, aveva assegnato lavori di ripristino stradale
per un importo complessivo di euro 741.000,00 alla EUROSTRADE srl, società di cui era socio e
amministratore unico Sgromo Eugenio; la cosca Tripodi che controllava il territorio in cui si
dovevano svolgere i lavori appaltati dalla Provincia di Vibo Valentia si era interessata a questi
lavori tramite Vita Salvatore, direttore tecnico della società T.5.COSTRUZIONI.
Dalle indagini svolte, e in particolare dal contenuto delle intercettazioni telefoniche, era emerso
che i primi contatti con Sgromo Eugenio, amministratore della società che si era aggiudicata
l’appalto dei lavori, erano stati presi da Vita Salvatore, il quale aveva manifestato allo Sgromo
il suo interessamento allo svolgimento di lavori in subappalto tramite laT.5.COSTRUZIONI ed
altre imprese collegate alla cosca.
Dal contenuto delle telefonate intercettate tra il Vita e il Chiarella (alcune delle quali riportate
integralmente nella motivazione dell’ordinanza del Tribunale del riesame) si evinceva, secondo
il Tribunale, che il Vita aveva posto lo Sgromo nell’alternativa o di giungere ad un accordo per
la distribuzione dei lavori in subappalto a imprese locali (collegate alla cosca Tripodi, tra le

sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico del Vita sia in ordine ai delitti di usura che al

quali la C. & C. IMPIANTI del Chiarella) o pagare una tangente del 5% sull’importo dei lavori.
Dal contenuto delle intercettazioni era risultato anche che il Vita pretendeva di intromettersi
nella gestione della società amministrata dallo Sgromo e, tenuto conto della riluttanza a
parlare al telefono con il Chiarella, si aveva conferma che i due trattavano affari di natura
illecita.
Le minacce nei confronti dello Sgromo venivano desunte dal contenuto e dal tono dei colloqui
tra Vita e Chiarella e dalla carica di intimazione derivante dall’appartenenza del Vita alla cosca
che operava nella zona.
Vi erano gravi indizi anche dell’agevolazione, tramite la suddetta estorsione, della cosca
Tripodi, poiché il Vita era un esponente di primo piano della predetta consorteria criminosa e,
2
C/6

risultando la società T.5.COSTRUZIONI una delle principali imprese attraverso cui operava la
cosca di ‘ndrangheta, era evidente che l’inserimento della predetta ditta nel lucroso appalto
agevolava Le attività della cosca.
Con riguardo al delitto di estorsione di cui al capo El dell’imputazione, il Tribunale rilevava che
dalla denuncia presentata da Restuccia Vincenzo si evincevano le seguenti circostanze: in data
13.8.2010 si erano presentati nelcantiere della suddetta impresa Tripodi Sante Mario e Vita
Salvatore, i quali avevano richiesto, in modo fermo e insistito, che l’impresa del Restuccia

tenuto un atteggiamento dilatorio, gli stessi si erano ripresentati nel cantiere e in modo
perentorio avevano chiesto che venisse preso a noleggio qualche mezzo meccanico di cui
avevano la disponibilità; il Restuccia, per scongiurare atti predatori nel cantiere, aveva
assecondato la suddetta richiesta ma, dopo essere venuto a conoscenza dalla Prefettura che le
aziende riconducibili al Tripodi non avevano i requisiti antimafia, nel marzo 2011 aveva
interrotto ogni rapporto con i suddetti; Tripodi e Vita si erano recati nel suo ufficioper chiedere
spiegazionisulle ragioni per le quali aveva interrotto i rapporti e, quando le avevano avute,
contrariati avevano intimato al Restuccia l’immediato pagamento di quanto era loro dovuto per
le prestazioni già effettuate; due mesi dopo, nel cantiere del Restuccia si era verificato un furto
di un notevole quantitativo di ferro e legname.
Da conversazioni telefoniche intercettate nel marzo 2011 tra il capocantiere Arena e suoi
colleghi non identificati era emerso il timore del predetto di subire ritorsioni da parte dei
Tripodi, nel caso in cui non fossero state soddisfatte le loro pretese.
Il Tribunale riteneva sussistente l’aggravante di cui all’art. 7 legge 203/1991, nella forma
dell’agevolazione del sodalizio mafioso, in quanto sia il Tripodi che il Vita facevano parte
dell’associazione sopra indicata come esponenti di primo piano ed entrambi gestivano la T.5.,
che era una delle principali imprese attraverso cui operava la cosca di ‘ndrangheta.
Quanto al delitto di cui all’art.416-bis c.p., il Tribunale, premesso un rinvio ricettizio ai
contenuti dell’ordinanza del GIP e alla richiesta di misura cautelare del P.M., affermava che gli
elementi probatori acquisiti dimostravano l’esistenza di una consorteria mafiosa riconducibile
alla famiglia Tripodi, attiva dagli anni novanta, dedita ad estorsioni ed usura e con capo
indiscusso Tripodi Nicola; detta consorteria negli anni aveva assunto caratteri imprenditoriali,
inserendosi nel mercato degli appalti e dei subappalti; l’affermazione nel territorio del suddetto
sodalizio consentiva agli aderenti di non avere neppure più bisogno di porre in essere condotte
minacciose per assoggettare le persone ai fini perseguiti dal sodalizio.
Dalle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia (che venivano elencati) si ricavava che
la cosca Tripodi era un’articolazione della cosca Mancuso e che per realizzare il suo programma
si avvaleva di varie società e ditte individuali, alcune riconducibili formalmente alla famiglia
Tripodi, altre fittiziamente intestate a persone dipendenti da membri della famiglia, ed altre
ancora, anche se gestite da terzi, erano in stretti rapporti con la suddetta famiglia.

3

utilizzasse mezzi meccanici di imprese gestite dai predetti; poiché il capo cantiere Arena aveva

Emblematica del modo di operare della cosca era una conversazione intercettata 1’11.11.2010
tra Vita Salvatore e Chiarella Antonio, dalla quale si evinceva che un’impresa aggiudicataria di
un appalto, se non avesse trovato un accordo con imprese collegate al sodalizio mafioso per
l’assegnazione di lavori in subappalto, avrebbe dovuto versare una tangente pari al 5%
dell’importo dell’appalto.
Dagli elementi di prova raccolti emergeva anche, secondo il Tribunale, che l’indagato era
inserito nella cosca ed aveva aderito in modo consapevole al programma della stessa.

organicamente inserito nell’associazione e dedito alla commissione dei reati che costituivano il
programma della stessa associazione.

Avverso l’ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori, chiedendone
l’annullamento per carenza di motivazione, innanzi tutto poiché il Tribunale aveva omesso di
dare risposta alle obiezioni che la difesa aveva mosso all’impianto accusatorio, contenute in
una memoria che veniva integralmente riportata come premessa dei motivi di ricorso per
cassazione.
Con riguardo ai delitti di usura ed estorsione in danno di Famigliuolo Franco, il Tribunale si era
limitato a riportare le dichiarazioni dello stesso, ritenendole pienamente attendibili.
Non aveva considerato che, essendo il predetto interessato ad apparire vittima incolpevole, le
sue dichiarazioni dovevano essere sottoposte ad un’attenta valutazione, e in particolare si
sarebbero dovuteconsiderare alcune contraddizioni risultanti dalle sue dichiarazioni, poste in
evidenza nella memoria presentata al Tribunale: il Famigliuolo, parlando dei rapporti
asseritamente usurai che aveva anche con altri nello stesso periodo, aveva affermato – con
riguardo al rapporto con il Vita – che non poteva emettere assegni, mentre, con riferimento al
prestito ricevuto dal Marturano, aveva precisato di aver dato in garanzia assegni. Inoltre, dalle
indagini disposte su titoli asseritamente consegnati al Vita, non erano risultate confermate le
dichiarazioni della predetta parte lesa, ed anzi era risultata smentita la dichiarazione della
stessa di avere consegnato al Vita un assegno tratto sul c.c. 1140 UBI CARIME.
La motivazione dell’ordinanza impugnata doveva ritenersi carente, poiché non risultava
riscontrata la sussistenza dei rapporti economici che la parte lesa aveva dichiarato di avere
intrattenuto con il Vita.
Anche con riguardo all’estorsione in danno del Famigliuolo non si era considerato che il
predetto non poteva essere in condizioni di soggezione quando gli era stato chiesto il prestito
di un’auto, poiché dalle sue stesse dichiarazioni risultava che all’epoca non conosceva l’identità
del Vita.
Con riguardo al delitto di estorsione di cui al capo E1 dell’imputazione, il ricorrente ha
preliminarmente eccepito l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da Restuccia Vincenzo, in
quanto nella comunicazione della notizia di reato lo stesso era stato indicato come componente

4

Il Vita risultava, dalle modalità di commissione dei reati, persona pericolosa, essendo

di un’associazione di tipo mafioso, e quindi lo stessoavrebbe dovuto essere sentito con
l’assistenza di un difensore.
Comunque,sulla base delle sue dichiarazioni non poteva desumersi un quadro di gravità
indiziaria nei confronti del ricorrente, poiché non era stato il Restuccia ad avere rapporti con
Tripodi e Vita, ma il capocantiere Arena, il quale non era stato ancora sentito dagli inquirenti.
Non risultavano minacce rivolte dal Vita o dal Tripodi al Restuccia, che neppureera risultato in
stato di soggezione nei confronti dei predetti, avendo interrotto immediatamente i rapporti con

antimafia.
Il Tribunale non aveva considerato che il Tripodi ed il Vita avevano preteso solo poche migliaia
di euro per prestazioni effettuate, ed avevano richiesto le somme spettanti alla T.5.
richiedendo all’autorità giudiziaria l’emissione di decreti ingiuntivi.
Anche dalle telefonate intercettate era risultato che l’Arena aveva stima professionale nei
confronti dei Tripodi, mentre aveva parlato male di altri imprenditori.
Con riferimento all’estorsione in danno di Sgromo (capo Cl dell’imputazione), non vi era stata
alcuna minaccia del Vita nei confronti del predetto, ma tra i due si era svolta una normale
trattativa riguardante l’assegnazione di alcuni lavori in subappalto in favore dell’impresa
rappresentata dal Vita (la T.S.COSTRUZIONI) e di alcune altre imprese locali.
La presunta parte offesa non era stata neppure sentita ed era stata male interpretata la
conversazione tra il Chiarella ed il Vita in data 11.11.2010, ritenendo che quest’ultimo avrebbe
posto lo Sgromo nella non rifiutabile alternativa di affidare i lavori ad imprese vicine ai Tripodi,
ovvero di pagare la tangente del 5%.
Nella suddetta conversazione (riportata integralmente nell’ordinanza impugnata) risultava
invece anche dal contesto che la quota del cinque per cento avrebbe dovuta essere
eventualmente trattenuta dallo Sgromo sui lavori dati in subappalto e non consegnata come
tangente.
Anche il delitto associativo contestato al ricorrente era insussistente, poiché i collaboratori
indicati nell’ordinanza impugnata non avevano mai riferito dell’esistenza di una cosca Tripodi,
ma avevano parlato solo di Tripodi Nicola che aveva avuto rapporti negli anni novanta con la
cosca dei Mancuso; alla fine dei suddetti anni il predetto Tripodi, per intervenuti contrasti con i
Mancuso, si era trasferito a Roma, dove aveva fissato la sua residenza ed aveva gestito la
società EDIL SUD. Nessuno dei collaboratori indicati nell’ordinanza impugnata aveva nominato
il Vita o l’aveva in qualsiasi modo coinvolto in vicende illecite.
Né dalle dichiarazioni dei collaboratori né da altre emergenze processuali era risultato che
l’indagato avesse intrattenuto rapporti con Tripodi Nicola a partire dal 2006, epoca nella quale
avrebbe aderito all’associazione mafiosa contestata al capo A) dell’imputazione.
Non vi era alcuna prova della esistenza di una cosca Tripodi e di una partecipazione alla stessa
del ricorrente.
5

loro, appena era venuto a sapere che la T.5. COSTRUZIONI non era in possesso dei certificati

Era stata eccepita l’incompetenza territoriale del GIP di Catanzaro ad emettere l’ordinanza
cautelare, in quanto l’associazione avrebbe iniziato ad operare a Roma, dove aveva sede la
società gestita da Tripodi Nicola, ma anche su questo punto l’ordinanza impugnata non aveva
dato alcuna risposta.
Con motivi nuovi la difesa di Vita Salvatore ha ribadito l’insussistenza di gravi indizi di
colpevolezza con riferimento ai delitti di usura di cui ai capi L) ed M) ed alla condotta estorsiva
di cui al capo N). Non si era data alcuna risposta alle obiezioni della difesa (contenute nella

alla assoluta mancanza di riscontri alle dichiarazioni rese dal predetto. Anzi, i primi risultati
dell’attività di indagine richiesta ai Carabinieri avevano smentito – come aveva riconosciuto il
P.M. nella richiesta della custodia cautelare a pag.163 – quanto aveva affermato il Famigliuolo
circa la consegna di un determinato assegno al ricorrente.
Il Tribunale non aveva dato una risposta neppure all’obiezione della difesa che, secondo quanto
riferito dallo stesso Famigliuolo, all’epoca in cui il Vita l’avrebbe minacciato (estorsione di cui al
capo N dell’imputazione) non conosceva l’identità del predetto, e neppure poteva essere
rimasto intimorito per i rapporti che lo stesso Vita avrebbe intrattenuto con la cosca Tripodi,
poiché di questi rapportiil Famigliuolo all’epoca non risultava assolutamente a conoscenza.
Con riguardo all’estorsione nei confronti di Sgromo Eugenio (capo Cl dell’imputazione), la
sussistenza dell’attività minacciosa da parte del Vita era basata su elementi indiziari incerti e
congetturali nonché sul travisamento del significato della conversazione telefonica
dell’11.11.2010 tra il Vita e il Chiarella.
La difesa ha, infine, ribadito l’assenza di elementi dimostrativi della partecipazione
dell’indagato ad un’associazione di stampo mafioso facente capo alla famiglia Tripodi,
sostenendo che dall’ordinanza non emergevano neppure gravi indizi dell’esistenza e
dell’operatività di una cosca operante all’epoca dei fatti sul territorio della provincia di Vibo
Valentia.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato poiché su punti essenziali riguardanti la sussistenza di gravi indizi di
colpevolezza a carico di Vita Salvatore in ordine ai delitti contestati risulta carente la
motivazione dell’ordinanza impugnata.
Si deve premettere che, ai sensi dell’art. 125 comma terzo cod. proc. pen., ogni
provvedimento del giudice deve essere motivato a pena di nullità, e la mancanza di
motivazione vizio rilevabile in cassazione a norma dell’art. 606 lettera e) – stesso codice. Tale
vizio sussiste non solo quando la motivazione è materialmente assente nel provvedimento
impugnato, ma anche allorché la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di
esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui si è fondata la decisione,
mancando di specifici momenti esplicativi anche in relazione alle critiche pertinenti dedotte
dalle parti (V. Sez. 1 sentenza n.4787 del 10.11.1993, Rv.196361).
6

memoria difensiva presentata al Tribunale) relative alla ritenuta attendibilità del Famigliuolo e

In particolare, nel procedimento di riesame di misure cautelari, l’obbligo di motivazione non
può ritenersi adempiuto qualora l’ordinanza di riesame contenga una motivazione per
relationem che si risolva nel mero richiamo alle argomentazioni svolte nel provvedimento
impugnato, omettendo la valutazione delle doglianze contenute nella richiesta di riesame; in
tal caso, infatti, si vanifica la garanzia del doppio grado di giurisdizione e viene meno lo stesso
oggetto del procedimento di riesame, costituito dalla revisione critica della precedente
statuizione, alla luce dei rilievi svolti dall’imputato (Sez. 1 sentenza n.43464 dell’1.10.2004,

Le imputazioni di usura di cui ai capi L) ed M) e quella di estorsione di cui al capo N) sono
basate nell’ordinanza impugnata esclusivamente sulle dichiarazioni della parte offesa
Famigliuolo Franco, che sono state ampiamente riportate.
Va detto che le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle
dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a
fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata
da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca
del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a
quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (V. Sez. U, sentenza
n.41461 del 19.7.2012, Rv. 253214).
Una verifica penetrante e rigorosa delle dichiarazioni del predetto non risulta essere stata
compiuta dalla motivazione dell’ordinanza impugnata, in quanto non sono state prese in
considerazione obiezioni sulla credibilità del Famigliuolo segnalate dalla difesa dell’indagato, sia
con riguardo ai reati di usura (aveva dichiarato che non poteva emettere assegni, ma risultava
smentito dagli atti; aveva dichiarato di aver consegnato un determinato assegno al Vita, ma le
indagini svolte l’avevano smentito), sia con riguardo al delitto di estorsione (all’epoca in cui il
Vita gli aveva chiesto un’auto in prestito, secondo la difesa, il denunciante non era ancora a
conoscenza dell’identità del predetto e in ogni caso non sarebbe stato a conoscenza di suoi
rapporti dello stesso con la cosca Tripodi).
La suddetta verifica doveva apparire tanto più necessaria, in quanto le accuse erano sostenute

Rv.231022).

esclusivamente dalle dichiarazioni della parte lesa, essendo le verifiche demandate alla Polizia
giudiziaria sugli assegni indicati dalla stessa parte lesa ancora in corso, e alla stregua dei primi
risultati delle predette verifiche le dichiarazioni in questione non avevano trovato alcuna
conferma.
Anche il contesto nel quale il Vita avrebbe ottenuto in uso un’auto (capo N) non è stato
adeguatamente approfondito, né sul versante delle conoscenze del Famigliuolo sulla caratura
criminale del Vita, né sulla notorietà dell’appartenenza di quest’ultimo ad una cosca, data per
scontata dal Tribunale del riesame senza indicare però specifici elementi dai quali desumere
l’appartenenza del Vita alla cosca Tripodi e la notorietà di questa appartenenza.
tr6
7

i

Con riguardo all’estorsione nei confronti di Sgromo Eugenio (capo Cl dell’imputazione),
l’ipotesi d’accusa si basa su uno schema che, in vicende del genere, è stato con frequenza
riscontrato nelle zone dove cosche di `ndranghetacontrollano il territorio.
Dopo che un’impresa si aggiudica l’appalto, la cosca locale, tramite suoi esponenti, avvicina i
responsabili dell’impresa e pretende che alcuni lavori siano subappaltati a imprese collegate
alla cosca, oppure impone una tangente sull’importo dei lavori appaltati, formalmente motivata
con i pretesti più vari.

un importo complessivo di 741.000,00 euro e che alcune società, tra le quali anche la C. & C.
IMPIANTI gestita da Chiarella Antonio, avevano effettuato lavori in subappalto per la
EUROSTRADE.
Risulta anche che a prendere i contatti con i responsabili della società EUROSTRADE per
l’assegnazione di lavori in subappalto era stato Vita Salvatore, il quale, oltre ad essere il
rappresentante della T.5.COSTRUZIONI (una delle società interessate ad avere lavori in
subappalto), era in contatto con il Chiarella, altro imprenditore sicuramente interessato a
svolgere lavori in subappalto per conto della EUROSTRADE.
L’elemento principale a carico del Vita è desunto dalla conversazione telefonica intercettata in
data 11.11.2010 Tra il Vita e il Chiarella dalla quale, secondo il Tribunale, risulterebbe che,
nella trattativa che il Vita stava conducendo con lo Sgromo, quest’ultimo sarebbe stato messo
di fronte all’alternativa o di accettare le condizioni impostegli dal Vita per l’esecuzione dei
lavori in subappalto o di pagare una tangente del 5% sull’importo dei lavori.
Nell’ordinanza è riportata integralmente la suddetta conversazione telefonica, ma dalla lettura
della stessa non si ricava logicamente il senso che ne ha dato l’ordinanza impugnata.
Infatti, sia nella frase incriminata (ci dà… si piglia… il cinque per cento, di legge, come siamo
rimasti) sia nella frase immediatamente successiva (però, fino a dove arriviamo.., io quello che
fattura, il lavoro grosso magari ce lo paga, e il cinque per cento suo se lo tiene) il cinque per
cento risulta riferito ad una somma che lo Sgromo trattiene e non che deve versare, e quindi il
Tribunale avrebbe dovuto spiegare in base a quali elementi, nonostante il tenore letterale della
conversazione, il riferimento sarebbe a una tangente imposta allo Sgromo, in alternativa al
mancato accordo sui lavori da assegnare in subappalto.
Peraltro, conferme delle intimidazioni non si rinvengono neppure in denunce o dichiarazioni
rese dallo Sgromo, delle quali nell’ordinanza impugnata non si parla.

Con riguardo al delitto di estorsione di cui al capo El dell’imputazione, è infondata l’eccezione
di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da Restuccia Vincenzo, sia perché lo stesso era parte
lesa del reato di estorsione, sia perché a carico del medesimo non risulta che fosse emerso
alcuno specifico indizio di reità in ordine ad un delitto connesso o collegato, non potendosi
definire tale quanto – secondo la difesa – sarebbe stato riportato in una informativa dei
8

Nel caso in esame risulta che la EUROSTRADE si era aggiudicata lavori stradali in appalto per

Carabinieri su possibili collegamenti del Restuccia con la cosca a cui appartenevano il Tripodi e
Vita Salvatore.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, l’inutilizzabilità assoluta nei confronti di
terzi, prevista dall’art. 63, comma secondo, cod. proc. pen., per le dichiarazioni rilasciate da
persona che fin dall’inizio avrebbe dovuto essere sentita in qualità di indagato o imputato, è
subordinata, in ogni caso, alla condizione che il dichiarante sia colpito da indizi in ordine al
medesimo reato ovvero al reato connesso o collegato attribuito al terzo ed è finalizzata ad

indirettamente, in un possibile nocumento nei confronti di chi le ha rese. Ne consegue che
devono ritenersi utilizzabili le dichiarazioni rese allorquando, rispetto al delitto attribuito al
terzo, il dichiarante, indagato di altro reato, assuma solo la specifica veste di testimone (V.
Sez. 4 sentenza n.15451 del 14.3.2012, Rv. 253510).
Con riguardo al merito del reato di estorsione contestato al capo E1 dell’imputazione, non
risultano sufficientemente individuate le minacce da parte del Tripodi e del Vita per imporre
all’impresa del Restuccia l’utilizzo di mezzi meccanici in dotazione ad aziende di fatto
amministrate dai predetti Tripodi e Vita.
Dalla ricostruzione del fatto ad opera del Tribunale si evince che Tripodi e Vita avevano trattato
con il capocantiere Arena l’utilizzo dei suddetti mezzi meccanici, ma nulla si dice delle minacce,
esplicite o implicite, che i due avrebbero utilizzato per imporre l’uso dei loro mezzi meccanici,
anche perché non risulta che in proposito sia stato sentito dagli inquirenti l’Arena.
Neppure le vicende successive chiariscono il clima nel quale si era svolta la trattativa con
l’Arena, poiché – per quanto risulta dalla stessa ordinanza – era stato il Restuccia a prendere
l’iniziativa di interrompere ogni rapporto con le imprese gestite dal Tripodi e dal Vita, appena
era venuto a conoscenza che queste imprese non erano dotate delle prescritte certificazioni
antimafia; vi era stato un confronto tra i predetti ed il Restuccia nel corso del quale non si
afferma nell’ordinanza impugnata che i due avrebbero tenuto atteggiamenti minacciosi;
sembra, invece, che dopo questo incontro i predetti si siano rivolti al Tribunale per ottenere le
loro spettanze in relazione al periodo in cui i mezzi meccanici erano stati utilizzati dall’impresa
del Restuccia.

Con riguardo alla contestazione del delitto associativo, sono indicati in generale i caratteri
dell’associazione di tipo mafioso che avrebbe operato fin dagli anni novanta nella provincia di
Vibo Valentia con a capo Nicola Tripodi, il quale alla fine dei suddetti anni, per contrasti con la
cosca dei Mancuso, si era trasferito a Roma dove gestiva una sua impresa (EDIL SUD).
Risulta, invece, carente nell’ordinanza impugnata l’indicazione degli elementi dai quali
desumere l’inserimento del Vita nella contestata associazione, non potendosi trarre la
partecipazione all’associazione dalla commissione dei reati fini contestati, non essendo stati
indicati gravi indizi di colpevolezza in ordine alla commissione di detti reati, né comunque
risulta un collegamento specifico di detti reati con le attività dell’associazione .
9

impedire che l’utilizzazione di dette dichiarazioni possa risolversi, comunque, sia pure

Trasmessa copia ex art. 23
n, 1 ter L. 8-8-95 n. 332
fisima, i . 1 2 FEB. 2014._

Nell’ordinanza si fa riferimento alle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, ma non
si indica qualcuno che tra questi avrebbe riferito della partecipazione dell’indagato
all’associazione e neppure si danno indicazioni su rapporti tra Tripodi Nicola e il Vita o sugli
elementi dai quali desumere che lo stesso fosse inserito, in una posizione di rilievo, nella
cosca.
E’ fondato anche l’ultimo motivo di ricorso, in quanto il Tribunale ha omesso di pronunciarsi
sulla eccezione di incompetenza territoriale formulata dalla difesa.

nuovo esame.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Catanzaro.
Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al direttore dell’istituto
penitenziario, ai sensi dell’art. 94/1-ter disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma in data 18 dicembre 2013
Il Consigliere estensore

Il Presidente

Pertanto, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Catanzaro per

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA