Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6711 del 06/12/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 6711 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: LA POSTA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PATANE’ ANTONINO N. IL 05/03/1966
avverso l’ordinanza n. 376/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
11/03/2013
senlita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA LA POSTA;
19Ke/sentite le conclusioni del PG Dott. i. AL LI d„
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Data Udienza: 06/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con provvedimento dell’Il marzo 2013 Tribunale di Catania, costituito ex
art. 309 cod. proc. pen., confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere,
emessa confronti di Antonino Patanè dal Giudice per le indagini preliminari dello
stesso tribunale, in data 13.2.2013, in relazione – per quanto qui interessa – al
reato di cui all’art. 416

bis cod. pen 7 perché gravemente indiziato di far parte

dell’associazione mafiosa denominata Cosa Nostra ed, in particolare / del clan

2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione,
tramite il difensore di fiducia, il Patanè, denunciando la violazione di legge ed il
vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata avuto riguardo alla sussistenza dei
gravi indizi di colpevolezza in ordine alla partecipazione all’associazione mafiosa.
Contesta la valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, tutte
generiche, parziali ed incomplete, avendo il tribunale omesso una effettiva e
concreta verifica dell’attendibilità intrinseca dei dichiaranti, motivando soltanto
genericamente sul punto. Ribadisce, quindi, la impossibilità di valutare la
attendibilità del La Causa, tenuto conto della incompletezza del verbale
illustrativo, e la verosimile mancanza di autonomia rispetto alle dichiarazioni del
Barbagallo, attesa la certa conoscenza delle circostanze riferite da quest’ultimo
nel processo Iblis a conclusione del quale il La Causa ha iniziato a collaborare.
Contesta, inoltre, la rilevanza delle dichiarazioni di Isaia Alessandro, e
sottolinea la circostanza che il Barbagallo ha collocato l’affiliazione del ricorrente
un’epoca in cui lo stesso ger ristretto presso la casa di lavoro di Sulmona.
in un’epoca
Infine, assume la irrilevanza, ai fini della specifica posizione del ricorrente,
della totalità delle intercettazioni ambientali e telefoniche dalle quali emerge la
mancanza di qualsivoglia rapporto di frequentazione e cointeressenza del
ricorrente con i coindagati Sciuto, Brancato e Polisano.
Lamenta la mancata valutazione degli elementi favorevoli ed, in particolare,
della circostanza che il ricorrente non ha alcun procedimento penale per fatti di
mafia successivi alla sua liberazione avvenuta nel giugno 2006, che ha eseguito
regolarmente la misura di prevenzione e ha svolto ininterrottamente attività
lavorativa ( dal maggio 2010 fino al momento dell’arresto. Pertanto, gli indizi di
colpevolezza si risolvono in mere congetture prive di alcuna concretezza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Ad avviso del Collegio, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

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Santapaola-Ercolano, accertato nell’anno 2008.

E’ manifestamente infondato il rilevo mosso dal ricorrente in ordine alla
sussistenza di un compendio indiziario connotato della necessaria gravità ed, in
particolare, alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che
sono state esaminate dal tribunale secondo il paradigma della attendibilità
intrinseca e della verifica dei necessari riscontri esterni.
Richiamata Ol’ordinanza genetica quanto alla ricostruzione del contesto
criminale associativo operante nel territorio catanese riconducibile a Cosa Nostra,
il tribunale ha dato atto che i gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato in

Acicatena sono stati tratti dalle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di
giustizia e dalle circostanze emerse dall’attività di captazione telefonica ed
ambientale.
Premessi i dubbi in ordine alla verificabilità della credibilità del collaboratore
Sciacca Mario, attendibili e rilevanti sono stati ritenute le dichiarazioni del
collaboratore La Causa Santo e quelle di Barbaragallo Ignazio. Il primo,
riferendosi al reggente del gruppo nel periodo 2006-2009, precisava trattarsi del
cognato di Nuccio Coscia, di nome Nino, evidenziando che era stato il padrino
della rituale affiliazione avvenuta in occasione della riorganizzazione del gruppo.
Anche il Barbagallo nei suoi interrogatori aveva indicato il Patanè come
responsabile del gruppo di Acireale ed aveva riferito dell’affiliazione nella quale
era stato padrino il La Causa.
Inoltre, il tribunale ha fornito una spiegazione logica ed immune da
contraddizioni della ritenuta irrilevanza, ai fini della credibilità del Barbagallof%
circostanza che questi avesse indicato l’epoca dell’affiliazione nei sei o sette mesi
antecedenti a quella in cui aveva reso interrogatorio, facendo in tal modo cadere
l’evento nel momento in cui l’indagato era detenuto. Ed ha argomentato
compiutamente in ordine alla infondatezza della mancanza di autonomia tra le
propalazioni dei due collaboratori prospettata dalla difesa, dando atto che non
risulta in alcun modo che il Barbagallo avesse fatto cenno nel procedimento cd.
Iblis, cui partecipava anche il La Causa, alle dichiarazioni relative al Patanè non
coinvolto in alcun modo in detto processo.
Ha evidenziato, altresì, il tribunale che le dichiarazioni convergenti dei
collaboratori trovavano conferma nella accertata frequentazione continuativa e
costante, sino a tutto il 2008, tra l’indagato ed altri componenti di spicco del
sodalizio (Sciuto Stefano, Brancato Camillo e Polisano Calogero), nonché, nelle
circostanze tratte dalle conversazioni intercettate nelle quali si fa riferimento in
un chiaro contesto mafioso Ekcomportamento dell’indagato e al ruolo di gestione
della cassa svolto dal Patanè, indicato con il soprannome «’ucca i cane».
Il tribunale, quindi, ha fatto corretta applicazione dei principi più volte
affermati da questa Corte secondo i quali i riscontri esterni alle chiamate in

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ordine alla partecipazione al gruppo operante nel territorio di Acireale ed

correità possono essere costituiti anche da ulteriori dichiarazioni accusatorie, le
quali devono caratterizzarsi per la loro convergenza in ordine al fatto materiale
oggetto della narrazione; per la loro indipendenza – intesa come mancanza di
pregresse intese fraudolente – da suggestioni o condizionamenti che potrebbero
inficiare il valore della concordanza; per la loro specificità, nel senso che la c.d.
convergenza del molteplice deve essere sufficientemente individualizzante e
riguardare sia la persona dell’incolpato sia le imputazioni a lui ascritte. Con la
necessaria precisazione che non può pretendersi una completa sovrapponibilità

sostanziale della loro concordanza sul nucleo centrale e significativo della
questione fattuale da decidere (Sez. 2, n. 13473, 04/03/2008, Lucchese, rv.
239744).
Si palesa, a fronte della motivazione del tribunale esaustiva e plausibile, la
finalità delle doglianze del ricorrente a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti
esclusivamente attinenti all’apprezzamento, che risulta correttamente operato,
del materiale probatorio.
Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge, ai sensi dell’art. 616
cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
ed al versamento della somma ritenuta congrua di euro 1.000,00 (mille) in
favore della cassa delle ammende.
La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94,
comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa delle
ammende.
Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al
Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att.
cod. proc. pen..

Così deciso, il 6 dicembre 2013.

degli elementi d’accusa forniti dai dichiaranti, ma deve privilegiarsi l’aspetto

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