Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6705 del 25/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 6705 Anno 2016
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: MOCCI MAURO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Crisafo Massimo, nato a Napoli il 12/05/1983

avverso l’ordinanza del 16/07/2015 del Tribunale di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Mauro Mocci;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paola
Filippi che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Fabio G. Belloni, che ha concluso per l’accoglimento
del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.Con ordinanza del 7 agosto 2015 il Tribunale di Milano – chiamato a
pronunziarsi sull’appello avverso l’ordinanza del GIP del Tribunale di Milano, che
aveva respinto la richiesta di sostituzione della misura della custodia in carcere
per Massimo Grisafo, in relazione a reati di stupefacenti – confermava il
provvedimento impugnato. Affermava il Tribunale che, in ragione della
sopravvenuta sentenza di condanna, mancava ormai la possibilità di contestare

Data Udienza: 25/11/2015

la sussistenza di gravi indizi ed avrebbero piuttosto dovuto valutarsi le esigenze
cautelari. In proposito, di nessun rilievo sarebbe stata l’incensuratezza
dell’indagato, che avrebbe dato luogo ad una mera presunzione superabile,
valorizzando l’intensità del pericolo di recidiva desumibile dalle accertate
modalità della condotta in concreto tenuta. Neppure vi sarebbe stata la
deduzione di fatti nuovi rilevanti e valutabili in favore dell’indagato, visto che
nessun elemento significativo sarebbe emerso dall’interrogatorio del Grisafo
avanti il Pubblico Ministero, avendo l’imputato ammesso quanto già era evidente.

a più di sei anni di reclusione, a fronte della richiesta del PM ad anni tredici,
giacché l’entità assoluta della condanna avrebbe reso palese la gravità dei fatti di
causa. Avrebbe dovuto, infine, reputarsi elemento poco significativo la mancanza
di contatti documentati con gli altri sodali, a partire dal marzo 2014, a fronte
della professionalità evidenziata e della stabilità dei rapporti desumibili dalle
attività prodromiche e successive alle importazioni ed alla luce dell’importante
posizione dell’indagato nella scala gerarchica dell’associazione.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il Grisafo, deducendo due
fondamentali motivi.
In primo luogo, ha eccepito violazione di legge e vizio di motivazione,
rispetto alla ritenuta insussistenza di un mutamento nella situazione di fatto,
rispetto alla concretezza ed attualità delle esigenze cautelari, giacché il Tribunale
si sarebbe sottratto al doveroso compito di “verifica” del quadro cautelare.
Con riguardo all’ammissione di ciò che era già evidente, si sarebbe in ogni
caso trattato di una confessione, a fronte di una tesi processuale ancora da
dimostrare, oltre tutto caratterizzata dalla presa di coscienza del disvalore del
fatto, così da limitare e circoscrivere la capacità a delinquere. Inoltre, la
confessione sarebbe stata integrata da un ulteriore elemento, sinteticamente
indicato come positiva dissociazione. E la dissociazione sarebbe stata un
elemento idoneo ad essere valutato in ordine al pericolo di recidiva. Del resto, la
richiesta di definizione col rito abbreviato avrebbe dimostrato la rinuncia ad una
difesa nel merito, accettando la contestazione. L’irrogazione della pena,
d’altronde, avrebbe determinato un obiettivo ridimensionamento della fattispecie
e la valutazione sostanziale non avrebbe potuto negare i suoi riflessi anche sul
piano cautelare.
In secondo luogo, ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione,
rispetto alla valutazione della possibile irrogazione di una misura alternativa alla
detenzione. Infatti il Tribunale non avrebbe tenuto conto dell’espressa e nuova
volontà legislativa di limitare l’uso della custodia cautelare in carcere a casi di
sicura necessità, ai sensi della legge n. 47 del 2015, ed avrebbe dunque omesso

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Neppure un elemento favorevole avrebbe potuto dirsi la condanna del prevenuto

ogni motivazione circa l’inidoneità di una soluzione alle attuali e residuali
esigenze cautelari.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso è infondato, sotto entrambi i profili prospettati.
L’appello concernente misure cautelari personali, implicando una valutazione
globale della prognosi cautelare, attribuisce al giudice “ad quem” tutti i poteri

compreso quello di decidere, pur nell’ambito dei motivi prospettati e, quindi, del
principio devolutivo, anche su elementi diversi e successivi rispetto a quelli
utilizzati dall’ordinanza impugnata, applicandosi anche a tale procedimento l’art.
603, secondo e terzo comma, cod. proc. pen. [Sez.6, sentenza n. 23729 del
23/04/2015 Cc. (dep. 03/06/2015) Rv. 263936].
Fatta tale doverosa premessa, la motivazione del Tribunale non è
contraddittoria né tanto meno illogica. Rilevato il superamento del profilo
riguardante la sussistenza dei gravi indizi, per effetto della sopraggiunta
sentenza di condanna, il provvedimento impugnato passa alla valutazione delle
esigenze cautelari, analizzando l’intensità del pericolo di recidiva, alla luce delle
modalità della condotta in concreto adottate.
In proposito, corre l’obbligo di ribadire l’insegnamento di questa Corte,
secondo cui “in tema di misure caute/ari personali, l’attenuazione o l’esclusione
delle esigenze cautelari non può essere desunta dal solo decorso del tempo di
esecuzione della misura o dall’osservanza puntuale delle relative prescrizioni,
dovendosi valutare ulteriori elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al
mutamento della situazione apprezzata all’inizio del trattamento cautelare” [Sez.
2, Sentenza n. 1858 del 09/10/2013 Cc. (dep. 17/01/2014) Rv. 258191].
L’ordinanza del Tribunale analizza in effetti il concetto di “fatti sopravvenuti”,
di cui all’art. 299 c.p.p., negandone la sostanza con riguardo all’interrogatorio
avanti il PM ed alla confessione che ne sarebbe scaturita (priva di effetti pratici),
valorizzando in assoluto l’entità della condanna (anche rispetto a quella
maggiore richiesta dalla Pubblica Accusa), nonché la professionalità dimostrata
dal Crisafo e la stabilità dei contatti allacciati.
Contro tale accurata ed esaustiva disamina s’infrange il primo motivo
d’impugnazione, nel vano tentativo di trovare smagliature logiche nella
motivazione. Si tratta infatti di censure che investono quegli stessi elementi già
presi in considerazione in sede di applicazione della misura cautelare, e poi
nuovamente valutati in sede di appello cautelare, ove il Tribunale li ha ritenuti
immutati nella loro valenza e gravità. In definitiva, il ricorrente non ha indicato o

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“ah origine” rientranti nella competenza funzionale del primo giudice, ivi

apportato sostanziali fatti nuovi, diversi da quelli già apprezzati anche in sede di
riesame.
Relativamente alla valutazione in concreto delle esigenze cautelari in rapporto
alle possibili misure alternative, non coglie nel segno la doglianza riguardante il
difetto di motivazione. Va infatti rilevato che il Tribunale ha valutato il profilo
della concretezza e dell’attualità delle esigenze rilevando la necessità della
custodia in carcere del Grisafo, in ragione della sua pericolosità, desunta dalla
perdurante intensità della recidiva nonché dall’entità della condanna, così da

criminale destinata ad essere ripresa. Il tipo di previsione include all’evidenza
quella dell’attualità del pericolo, dovendosi valorizzare il giudizio prognostico
riveniente dalla valutazione personologica. Deve d’altro canto escludersi che in
violazione di quanto previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c), ultimo periodo,
cod. proc. pen., aggiunto dall’art. 2, comma 1, lett. c), legge 16 aprile 2015 n.
47, la valutazione del Tribunale si sia fondata sul dato astratto costituito dalla
gravità del titolo di reato.
Inoltre, se da un lato deve convenirsi che il provvedimento del Tribunale non
contiene una risposta esplicita in merito, dall’altro deve considerarsi che siffatto
rilievo non vale da solo a viziare il provvedimento, comportandone
l’annullamento: tale esito infatti non si determina quando la risposta possa
comunque ricavarsi dal complesso del provvedimento o quando quest’ultimo
faccia leva su argomenti che costituiscano ragione pregiudiziale di rigetto
dell’ulteriore doglianza (per la possibilità di ricavare la risposta dal complesso
della motivazione si rinvia a Cass. Sez. 1, n. 27825 del 22/5/2013, Caniello, rv.
256340, e per la possibilità di valorizzare l’incompatibilità logica della deduzione
difensiva con la decisione adottata e con la motivazione posta a suo fondamento,
si rinvia a Cass. Sez. 6, n. 20092 del 4/5/ 2011, Schowìck, rv. 250105).
Orbene, il Tribunale ha specificamente rilevato che le esigenze cautelari
permangono e impongono il perdurante mantenimento del Grisafo in stato
restrittivo, ciò che alla resa dei conti risulta bastevole al fine di respingere la
doglianza formulata, dovendosi ritenere implicitamente superato l’argomento
relativo a qualunque forma attenuata di misure alternative.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa
al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente, a norma dell’art. 94 comma 10
ter Disp. Att. c.p.p.
Così deciso il 25/11/2015.

potersi delineare una personalità negativa, connotata da una scelta di vita

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