Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 670 del 21/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 670 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: LAPALORCIA GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RIZZO EMANUELA N. IL 04/06/1977
avverso la sentenza n. 183/2012 CORTE APPELLO di LECCE, del
05/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA LAPALORCIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. e_c- , ‘M\ 2_2,07 -TA
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che ha concluso per _____Q, ■ 3-,..23,3,_),AL- ,-?_.c-Q_c. Le.-_,
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Udito, per parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

.T. C-ei P° ¶0)

Data Udienza: 21/11/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 5-12-2012 la Corte d’Appello di Lecce, confermando quella del Gup
del tribunale della stessa sede in data 5-7-2011, riconosceva Emanuela RIZZO, già
dipendente della società Fustificio Italiano srl, dichiarata fallita 1’8-4-2003, responsabile
del reato di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale per aver ricevuto assegni
dall’amministratore di fatto Michele Profeta per il complessivo ammontare di oltre

depositati assegni dei clienti della società.
2. La corte territoriale escludeva che i prelievi fossero riferibili ad emolumenti della
prevenuta, sia perché effettuati anche in periodi diversi da quelli in cui la stessa aveva
prestato attività lavorativa, sia perché inerenti a somme di gran lunga superiori a quelle
che potevano costituire il corrispettivo dell’attività di lavoro, anche in mancanza di
documentazione relativa all’entità della retribuzione della Rizzo.
3. Pur ritenendosi quest’ultima consapevole dello stato d’insolvenza della società in quanto
addetta alle annotazioni in contabilità e compartecipe alle iniziative tese a cagionarne il
dissesto economico, in sentenza si aderiva all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui è
sufficiente che l’extraneus sia consapevole della sottrazione delle somme alle ragioni dei
creditori indipendentemente dalla consapevolezza della destinazione di esse e della
possibilità che dalla condotta possa derivare uno stato di dissesto (Cass. 10941/1996).
Consapevolezza della sottrazione ritenuta nella specie sussistente a fronte della
monetizzazione degli assegni al di fuori di effettive operazioni commerciali.
4. Tre i motivi del ricorso per cassazione proposto dalla Rizzo tramite il difensore.
5. Primo: violazione di legge in punto di sussistenza dell’elemento psicologico del reato
sulla base dell’orientamento giurisprudenziale (di cui è espressione Cass. 16388/2011)
secondo il quale integra il reato non la sottrazione di ricchezza in sé ma solo quella che
reca danno alle ragioni creditorie, il che sarebbe nella specie da escludere avendo la
stessa corte pugliese osservato che la messa all’incasso degli assegni ricevuti da
Michele Profeta era finalizzata al prelievo del denaro liquido necessario al pagamento
dei fornitori.
6. In sostanza, secondo la ricorrente, sarebbe mancato l’accertamento del carattere
fraudolento dell’azione trattandosi di cambio in denaro di assegni emessi
dall’amministratore di fatto su proprio conto corrente dietro, incarico del medesimo e
con riconsegna del contante prelevato, avvenuto in modo saltuario e per importi esigui
in rapporto al giro d’affari della società, tale da non determinare diminuzione della
consistenza patrimoniale idonea a danneggiare le aspettative dei creditori. Con
conseguente insussistenza dell’elemento psicologico del reato in quanto tale tipo di
condotta non può implicare consapevolezza di concorrere, in supporto ai disegni
criminosi dell’imprenditore, nel depauperamento del patrimonio sociale in danno dei
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60.000 euro, tratti dal predetto su conto corrente a lui intestato sul quale erano

creditori, ben potendo la Rizzo legittimamente supporre che le somme servissero per
esigenze di spesa dell’azienda e in particolare per il pagamento delle forniture, quando
non addirittura del pagamento dei suoi stipendi.
7. Secondo motivo: inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità in
relazione ai primi tre commi dell’art. 192 cod. proc. pen., omessa valutazione di prove
decisive, errata valutazione delle notizie riportate nell’informativa della guardia di
finanza, errata valutazione delle dichiarazioni rese da coimputati o imputati in

8. In primo luogo la corte territoriale non aveva tenuto conto di elementi che, significativi
di impossibilità di ravvisare nelle condotte connotati di indubbia fraudolenza,
determinavano l’impossibilità per l’imputata di apprezzarne la rilevanza penale, quali a)
la somma di circa 60mila euro era stata prelevata in un arco di tempo piuttosto lungo
(dal 7-7-1999 al 14-11-2002) con prelievi tra uno e dieci milioni di lire; b) negli stessi
anni sui conti di Michele Profeta erano transitati alcuni miliardi di lire; c) il suo rapporto
alle dirette di dipendenze del Profeta era durato circa quattro anni; d) il CT del PM
aveva concluso nel senso che la Rizzo era coinvolta nell’indagine soltanto in forma
indiretta.
9. In secondo luogo aveva omesso di valutare che la tesi secondo la quale gli assegni
intestati alla Rizzo rappresentavano il corrispettivo delle sue prestazioni lavorative era
confermata, oltre che da dichiarazioni del Profeta, anche dall’insinuazione al passivo
dell’imputata soltanto per il TFR relativo all’ultimo anno di lavoro. Il fatto poi che alcune
monetizzazioni di assegni fossero avvenute in epoca in cui la Rizzo non era
regolarmente assunta non significava che le relative somme non potessero
rappresentare la sua retribuzione, non potendo escludersi che lavorasse in nero.
10.La corte territoriale aveva poi svalutato le dichiarazioni a favore del Profeta e della
moglie di questi, De Pascalis, in quanto provenienti da persone coimputate trascurando
che il Profeta le aveva rese dopo aver patteggiato la pena con sentenza irrevocabile e
che comunque esse erano riscontrate da una serie di altri elementi nonché da quelle
della De Pascalis.
11.Inoltre era erroneo l’apprezzamento delle risultanze investigative trasfuse
nell’informativa delta guardia di finanza in quanto in essa era ritenuto dubbio che la
sottoscrizione di alcune fatture fosse della Rizzo, mentre in sentenza questo dato era
ritenuto certo e se ne era dedotta la conoscenza in capo alla prevenuta dell’andamento
gestionale della società.
12.Terzo motivo: vizio di motivazione in punto di riconoscimento che la messa all’incasso
degli assegni era finalizzata al pagamento dei fornitori per poi giungere alla
contraddittoria conclusione del concorso nel reato e in punto di mancato riconoscimento
che gli assegni fossero il corrispettivo di prestazioni lavorative solo perché in certi
periodi non risultava regolarmente assunta, trascurando che avrebbe potuto lavorare in

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procedimento connesso.

nero, o perché di importo superiore a quello del presumibile corrispettivo dovuto,
trascurando che potevano rappresentare il pagamento contestuale di più mensilità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va disatteso.
2. Il primo motivo, afferente al tema del dolo dell’extraneus che concorre nella bancarotta

principio di diritto, affermato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità e condiviso
nella sentenza impugnata, per il quale la consapevolezza del terzo estraneo all’impresa
o alla società fallite deve investire non già necessariamente lo stato d’insolvenza di
queste, ma soltanto la natura di depauperamento delle garanzie del ceto creditorio della
condotta posta in essere, fermo restando che, se la conoscenza dello stato di decozione
costituisce dato significativo della consapevolezza del terzo di arrecare danno ai
creditori, ciò non significa che questa non possa ricavarsi da diversi fattori, quali
esemplificativamente la natura fittizia o l’entità dell’operazione che incide
negativamente sul patrimonio della società (Cass. 10941/1996, 23675/2004,
10742/2008, 9299/2009, 16579/2010, 16388/2011).
3.

Gli assunti dei giudici di merito e della ricorrente divergono, invece, laddove la
sentenza impugnata afferma che la monetizzazione degli assegni da parte della Rizzo
era sostanzialmente priva di causa e quindi a chiaro carattere distrattivo, mentre nel
ricorso, facendo leva sulla pronuncia di questa corte (Cass. 16388/2011 relativa
peraltro alla distrazione di utili, per loro natura non destinati a garanzia dei creditori, e
comunque citata per stralci anche in parti che si riferiscono all’ipotesi di bancarotta
impropria di cui all’art. 223, secondo comma, legge fall., estranea al caso in esame)
secondo la quale le sottrazioni di ricchezza non sono fraudolente se non determinano
impoverimento delle ragioni creditorie, si sostiene, con il secondo motivo attraverso il
quale si contestano i criteri di valutazione della prova, che le operazioni di prelievo dei
titoli da parte della Rizzo erano a tal punto saltuarie e di valore economico esiguo in
rapporto al movimento di affari della società, da essere prive del carattere fraudolento,
o almeno dell’apparenza fraudolenta percepibile dal terzo estraneo, e da non
determinare comunque lesione delle aspettative dei creditori in rapporto al giro di affari
della società.

4. Mentre quest’ultima affermazione è priva di consistenza trattandosi comunque di
importo complessivamente considerevole, sta di fatto che, per quanto il patrimonio
conoscitivo dell’extraneus sia solitamente inferiore a quello dell’imprenditore fallito o
dell’amministratore della società fallita, nella specie le sentenze di primo e secondo
grado, le cui argomentazioni si integrano a vicenda trattandosi di c.d. doppia conforme,
danno conto che il ruolo dell’imputata nella società Fustificio Italiano era, come da
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fraudolenta per distrazione, pone solo apparentemente in dubbio, a ben vedere, il

risultanze del giudizio abbreviato, quello di addetta alle annotazioni in contabilità e ai
rapporti con i creditori, con conseguente conoscenza del fatto che ai prelievi di somme
di denaro dal conto su cui confluivano gli assegni dei clienti della Fustificio, ai quali il
Profeta, amministratore di fatto -non già di diritto- della società, la delegava senza
peraltro averne i poteri, non corrispondevano operazioni commerciali per conto della
società soggette a registrazione contabile.
5.

Delle possibili destinazioni non distrattive delle somme monetizzate dalla Rizzo,

alcun supporto, hanno già fatto giustizia i giudici di merito osservando, con motivazione
non manifestamente illogica, che dell’utilizzo per il pagamento dei fornitori non vi era
alcuna prova, neppure sulla base di una contabilità parallela (va incidentalmente dato
atto dell’errore a pag. 3 della sentenza impugnata, sul quale la ricorrente non ha
mancato di far leva con il terzo motivo assumendo contraddittorietà della motivazione,
dove si afferma che la messa all’incasso degli assegni era finalizzata al prelievo della
liquidità necessaria al pagamento dei fornitori, affermazione smentita sia a pag. 5 della
stessa sentenza, che in quella di primo grado), mentre l’impiego per il pagamento delle
spettanze dell’imputata, quale dipendente della società (peraltro non sorretto da alcuna
produzione circa il relativo ammontare), non era plausibile sia per la cadenza e l’entità
degli importi monetizzati, eccedenti le presumibili retribuzioni relative alla sua qualifica
(si tratta di circa 60.000 euro da rapportare a circa due -non quattro, come sostenuto
nel ricorso- anni lavorativi), sia per la loro localizzazione anche in periodi di tempo in
cui la donna non figurava alle dipendenze della Fustificio o di altre società del gruppo, in
relazione ai quali l’assunto che essa lavorasse in nero è meramente ipotetico ed
assertivo. Né assume carattere decisivo la circostanza che l’imputata si sarebbe
insinuata al passivo fallimentare solo per il TFR relativo all’ultimo anno di lavoro,
trattandosi di una sua scelta possibile frutto di strategia difensiva.
6.

Erroneamente poi il difensore, dapprima con il secondo motivo di gravame, poi
nell’odierna discussione orale, ha sostenuto che, avendo la corte territoriale ritenuto che
le dichiarazioni dei coimputati atte a sminuire il ruolo della Rizzo, fossero di comodo e
prive di riscontri, ciò rendeva indimostrato tale ruolo. Infatti il riconoscimento di esso è
ancorato a risultanze obiettive, quali la sottoscrizione di numerose fatture e di altri
documenti da parte della prevenuta, risultante dall’informativa 18-3-2009 della Guardia
di Finanza Compagnia di Gallipoli e dagli allegati alla CT disposta dal PM, come
evidenziato nelle sentenze di primo e secondo grado ad esito della valutazione del
materiale probatorio confluito nel giudizio abbreviato, conclusione non scalfita dai rilievi
della ricorrente che, proponendo una non consentita interpretazione alternativa di detto
materiale, ritiene meramente ipotetica e non accertata la sottoscrizione di cui sopra.
Risulta infine aspecifico l’assunto secondo cui a favore dell’imputata militerebbero le

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adombrate dalla difesa al fine di sostenere la mancanza del dolo, ma senza fornirne

dichiarazioni della De Pascalis, moglie del Profeta, delle quali nel ricorso non è stato
illustrato il contenuto.
7. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Il consigliere est.

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 21-11-2013

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