Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 6695 del 28/01/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 6695 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CAPRIOGLIO PIERA MARIA SEVERINA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PETRACHI FRANCESCO N. IL 06/08/1947
avverso la sentenza n. 5/2012 CORTE APPELLO di LECCE, del
14/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PIERA MARIA SEVERINA CAPRIOGLIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. rt sp,cpvt Et_Lo
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Av
Uditi difensor Avv.

4

Data Udienza: 28/01/2014

Ritenuto in fatto
1.

Con sentenza in data 14.12.2012 la Corte d’appello di Lecce riformava

solo in punto pena la pronuncia emessa il 27.5.2011 dal gip del Tribunale della
medesima città per il reato di tentato omicidio in danno della moglie, Giammaruto
Anna, che era stata colpita con un martello da carpentiere ripetutamente alla testa,
mentre si trovava seduta sul letto, intenta a guardare la televisione. Per questo fatto
di sangue occorso all’interno delle mura domestiche, all’imputato che assumeva di

affetta da emiparesi e che non era in grado di assistere per problemi economici, la
Corte territoriale concedeva le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle
aggravanti ritenute e, ravvisata la diminuente di cui all’art. 56 c. 4 cod.pen., lo
condannava alla pena di anni sette, mesi uno e giorni dieci di reclusione. Riteneva
sussistente il reato di tentato omicidio, perché la donna era stata sorpresa da tergo
e colpita con tre colpi di martello nella zona temporo parietale sinistra, cadendo dal
letto in una pozza di sangue. L’imputato era rimasto in attesa che la moglie
decedesse, ma vedendo dopo circa venti minuti che la stessa era ancora in vita,
aveva allertato il 118. La Corte opinava nel senso che lo stadio dell’azione si spinse
ben al di là della piena integrazione del tentato omicidio, avendo l’agente posto in
essere tutto quanto necessario per condurre all’evento morte, come da lui stesso
ammesso, cosicchè aveva escluso che si potesse ravvisare la desistenza. Veniva
invece ritenuto il recesso attivo, visto che il Petrachi aveva chiamato il 118, cosicchè
evitò che la donna, senza le cure ospedaliere, andasse incontro a sicura morte. Per il
buon comportamento processuale tenuto venivano concesse al prevenuto le
circostanze attenuanti generiche, cosicchè la pena veniva diminuita da anni dodici di
reclusione alla misura suindicata.

2.

Avverso tale decisione, interponeva ricorso per cassazione l’imputato

personalmente, per dedurre violazione degli artt. 56, 575, 577 cod.pen.: in sostanza
la difesa insiste sul fatto che il Petrachi non solo avrebbe operato un recesso attivo,
ma avrebbe desistito volontariamente dalla sua azione, nel senso che decise
autonomamente e volontariamente di non proseguire nell’azione criminosa di colpire
ulteriormente la moglie e di impedire l’evento.

Considerato in diritto.
Il motivo di ricorso che è stato sviluppato è manifestamente infondato, ragion
per cui deve essere dichiarato inammissibile.
Corretto è stato l’operato delle Corti di merito che hanno ravvisato nel
comportamento tenuto dall’imputato, spinto al gesto più estremo per ragioni di

aver agito per uccidere la moglie che non voleva più vedere soffrire, in quanto

disperazione avverso la moglie gravemente malata, il recesso attivo e non già la
desistenza. Corretta è stata l’interpretazione dei due istituti, che come è noto si
distinguono in funzione della tempistica dell’intervento interruttivo dell’evento:
infatti secondo le linee interpretative offerte da questa Corte (Sez. I, 28.2.2012, n.
11746, Rv 252259) la desistenza può aver luogo solo nella fase del tentativo
incompiuto e non è configurabile se siano stati posti in essere atti da cui trae
origine il meccanismo causale che produce l’evento, rispetto ai quali può operare al

valga a scongiurare l’evento. Orbene, nel caso di specie è di solare evidenza che
l’imputato nel chiamare il soccorso medico intervenne in una fase di intervenuto
esaurimento della condotta tipica (circa venti minuti dopo aver infierito), tanto è
vero che disse che dopo averla colpita attese che la donna morisse ma, vedendo che
ciò non avveniva, chiamò l’autoambulanza, mettendo in atto un’azione che nessuno
gli impose, quindi volontaria, che consentì di portare i soccorsi che fronteggiarono
l’emergenza e misero in salvo la Giammaruto. Dunque l’imputato dopo aver
esaurito il suo proposito di morte, ritornò sui suoi passi e si riattivò, interrompendo
il processo di causazione dell’evento, chiamando i soccorsi che si profilarono
provvidenziali per la vita dell’offesa. Non vi era spazio alcuno per poter ritenere che
il Petrachi avesse operato in una fase più anticipata, poichè l’azione fu da lui portata
ad uno stadio talmente avanzato, da non rendere più possibile un arretramento
apprezzabile in termini di desistenza.

Si impone quindi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; a tale
declaratoria, riconducibile a colpa del ricorrente, consegue la sua condanna al
pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si
determina in euro mille, a favore della cassa delle ammende , giusto il disposto
dell’art. 616 cpp, così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della
Corte Costituzionale n. 186/2000 .

p.q.m.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed al versamento della somma di euro mille alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, addì 28 Gennaio 2014.

massimo il recesso attivo, laddove il soggetto abbia tenuto una condotta attiva che

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